Non c’è patto che tenga

PREMIER D’EGITTO. Ultima chiamata per il governo. Il gioco del cerino consuma Berlusconi e Fini. Il premier: «Se cado si torna al voto».

Bocchino: «C’è già  un’altra maggioranza». Il presidente della Camera prepara la convention di Perugia

PREMIER D’EGITTO. Ultima chiamata per il governo. Il gioco del cerino consuma Berlusconi e Fini. Il premier: «Se cado si torna al voto».

Bocchino: «C’è già  un’altra maggioranza». Il presidente della Camera prepara la convention di Perugia

Tardivo, senza prospettive e deludente. Così Gianfranco Fini avrebbe definito l’intervento di Silvio Berlusconi alla direzione nazionale del Pdl. Immediata ma inutile la smentita del suo portavoce: quel commento è già notizia anche perché, in fondo, non fa che confermare gli umori della maggiorparte dei finiani che – fatti i soliti distinguo tra falchi e colombe – non hanno apprezzato il discorso del premier. «Il governo è fermo al palo – ha detto Bocchino – e ricominciare da capo sui cinque punti rischia di diventare un teatrino della politica. Berlusconi dica se è in condizione di governare il Paese». 
E a giudicare dal voto in finanziaria – quello che ieri ha mandato sotto la maggioranza grazie all’intesa tra finiani, Udc, Mpa e opposizione – così non parrebbe. Non solo. La chiarezza che il premier ha chiesto ieri ai finiani, proprio in quel voto – e nel coevo delinearsi di una maggioranza alternativa a quella di governo – deve andarsela a cercare. 
Più chiari di così, del resto, i deputati di Futuro e Libertà non avrebbero potuto essere: primato del Parlamento e briglie a Tremonti anche in virtù di un’altra (e per Berlusconi ancor più temibile) intesa: quella tra il presidente della Camera e Confindustria. Silvio Re può appellarsi al popolo – della libertà, dell’amore, del fare – quanto vuole ma a far cadere la sua testa saranno «i padroni», quelli veri, quelli che illusoriamente ha creduto di poter comandare e che oggi gli danno il benservito. 
Va detto, a salvare il salvabile c’ha provato in tutti i modi. Discorso blindato per evitare sconsigliabili intemperanze, l’offerta di un patto di legislatura con relativo rinnovamento delle alleanze nel centrodestra e persino il tentativo (un po’ goffo) di scambio di confidenze con Fini sull’Altare della Patria. «E’ maggiorenne», «è incensurata», «tutto questo è incredibile», interpreta qualcuno leggendogli le labbra mentre Fini prima lo snobba poi è costretto a annuire. Scandali, donne, ville e festini: il premier cerca complicità cameratesca ancor prima di nuovi patti per il governo. Il massimo della diplomazia silviesca.
Finte aperture, dirà qualcuno più tardi, ripensando a quel video mandato ossessivamente in onda prima dell’inizio dei lavori della Direzione e che della storia del Pdl ripercorre le tappe significative. Meno male che Silvio c’è, verrebbe da dire, perché invece Fini nel video non c’è. Sparito. 
Quasi soporifero il discorso del premier almeno sino alla seconda metà quando – sia pur blindato – Berlusconi comincia un po’ a scaldarsi. La mafia, la sinistra, i giornali, i comunisti. «Siamo sotto attacco della mafia che si sta vendicando» urla, mentre Di Pietro a distanza gli risponde che viste le sue frequentazioni deve trattarsi di un regolamento di conti. Ma, battute a parte, è ai finiani che il suo discorso – direttamente o indirettamente – è rivolto. Dall’accenno iniziale al frazionamento dei partiti – definito il peggior guaio per la democrazia – al rischio che gli uomini di Fini possano cadere «nella subalternità culturale dell’opposizione», dalla bocciatura senza appello di un eventuale governo tecnico alla sfida finale: «Se volete archiviare Berlusconi dovete chiederlo al popolo, non potete farlo voi con una congiura di palazzo e non potete farlo perché gli italiani non ve lo permetterebbero». 
E in serata la doccia fredda: discorso tardivo e deludente. Che l’abbia detto o no, questa rimane per Berlusconi la risposta di Fini mentre la sua reazione si fa isterica: «Solo pretesti strumentali, la verità è che vuole logorarmi, farmi fuori. Non ci sono assolutamente motivi politici nella sua risposta. A questo punto la situazione è chiara e il tempo è scaduto. Noi andiamo avanti per la nostra strada. Se vuole rompere si prenda la responsabilità di farlo». 
Del resto che Futuro e Libertà abbia tutte le intenzioni di uscire da Perugia con un segnale di discontinuità è ormai posizione quasi unanimemente condivisa nel partito. E delle possibili forme che la discontinuità potrebbe assumere si parlerà oggi nel corso dell’ufficio politico del partito. Sul tavolo resta sempre l’appoggio esterno anche se il discorso del premier pare abbia rafforzato la posizione di chi fra i finiani chiede di metterne alla prova le buone intenzioni. Ma i falchi sembrano al sorpasso con Bocchino fermo nel sostenere che dopo Perugia non sarà più la stessa cosa e Granata che già parla di «fase nuova». Di certo lo sarà per i circa 1000 circoli del Pdl fondati dal ministro Brambilla e ieri passati a Futuro e Libertà.

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