Monsieur le Capital

Il saggio di Jacques Bidet «Il capitale. Spiegazione e ricostruzione» (manifestolibri) dichiara inutile una lettura filologica del testo per stabilire cosa ha veramente detto Karl Marx. Più realisticamente, questa la tesi, bisogna avvicinarsi all’opera marxiana parafrasando l’invito fatto dal filosofo di Treviri per la produzione teorica: «I filosofi hanno fin qui interpretato il capitale, ora bisogna trasformarlo»

Il saggio di Jacques Bidet «Il capitale. Spiegazione e ricostruzione» (manifestolibri) dichiara inutile una lettura filologica del testo per stabilire cosa ha veramente detto Karl Marx. Più realisticamente, questa la tesi, bisogna avvicinarsi all’opera marxiana parafrasando l’invito fatto dal filosofo di Treviri per la produzione teorica: «I filosofi hanno fin qui interpretato il capitale, ora bisogna trasformarlo»

Il percorso teorico di Jacques Bidet, professore emerito all’Università di Paris-Nanterre e fondatore (con Jacques Texier) della rivista «Actuel Marx» si è articolato, negli ultimi decenni, secondo una straordinaria linea di coerenza teorica. All’origine della lunga riflessione di cui Spiegazione e ricostruzione del Capitale è l’approdo maturo vi è infatti il testo che Bidet pubblica nel 1985 (poi riedito presso Puf nel 2000) col titolo abbastanza provocatorio Que faire du Capital?. È il libro inaugurale della ricerca teorica di Bidet poiché in esso l’autore già espone criticamente una serie di punti chiave dell’analisi marxiana, quali le nozioni di valore, mercato, forza-lavoro, classe, produzione, ideologia che ritroveremo, passando per ripensamenti e più ampie riformulazioni, per tutto il corso della sua produzione, attraverso le sue diverse tappe: Théorie de la modernité (Puf), tradotto anche in italiano (Editori Riuniti), Théorie générale – Théorie du droit, de l’économie et de la politique (Puf), Explication et reconstruction du ‘Capital’ (Paris) fino ad Altermarxisme: un autre marxisme pour un autre monde (Puf), scritto assieme all’economista Gérard Duménil. Si potrebbe dire di Bidet ciò che egli stesso afferma a proposito di Marx: egli è un normale ricercatore che, attraverso prove ed errori, rotture e sperimentazioni, continue riscritture e messe a punto della teoria, persegue un’unica e medesima indagine, «il cui oggetto è il pensare allo stesso tempo il capitalismo e l’alternativa al capitalismo»1.
Il laboratorio marxiano
Come altri intellettuali di primo piano del panorama teorico d’oltralpe (da Etienne Balibar a Jacques Ranciére) anche Bidet è allievo di Louis Althusser; anzi si potrebbe dire che, per certi aspetti, è quello che ne prosegue direttamente una delle linee di ricerca: in un certo senso, infatti, il lavoro di Bidet riprende quella volontà di Lire le Capital (Leggere il Capitale) che Althusser aveva messo in campo con il testo pubblicato da lui e dal suo gruppo nel 1965 presso Maspero. Come quella di Althusser, anche quella di Bidet non è certo una lettura «innocente»: non si tratta di interrogare la «Critica dell’economia politica» per scoprire «cosa abbia veramente detto Marx» e per restituire al Capitale la sua presunta «trasparenza», ma per trovarvi degli strumenti, una cassetta di attrezzi ancora utilizzabili insieme a molti ferri arrugginiti che invece devono essere messi da parte. Ripercorrere il faticoso lavoro teorico attraverso il quale Marx viene incessantemente precisando il suo punto di vista, emancipandosi da Hegel e da Ricardo, vuol dire per Bidet eseguire un’opera di «re-construction théorique» che per un verso è quella cui Marx stesso ha dato vita, per altro verso «non chiede che di essere proseguita».
Riattraversando il laboratorio marxiano, Bidet mostra come, per Marx, il problema del «cominciamento» dell’esposizione sia sempre stato decisivo, e come egli lo abbia risolto diversamente nel corso del suo sviluppo: in un primo tempo si tratta di muovere dalla «circolazione semplice» delle merci verso la «produzione capitalista»: il passaggio sarebbe quindi quello dalla circolazione alla produzione, il che significa al tempo stesso da una sfera superficiale ad una più profonda ed essenziale. Solo più tardi Marx esce da questo schema per assumere come punto di partenza (questa è la tesi di Bidet) il sistema astratto della produzione-circolazione mercantile; ed è da questa struttura concettuale iniziale che deve essere generata la comprensione del meccanismo di funzionamento della produzione capitalistica. Nel momento in cui non individua più il punto di partenza nella «circolazione semplice», fraintesa come sfera di «superficie», Marx affronta nel Capitale un compito nuovo, e cioè quello di costruire il passaggio dalla produzione-circolazione mercantile alla produzione-circolazione capitalista. La prima è il regno di produttori scambisti che commerciano gli uni con gli altri i loro prodotti sul mercato, nella seconda appaiono invece il lavoratore «libero» (cioè privo di mezzi di produzione), la compra-vendita della forza lavoro e lo sfruttamento. Ma come si deve pensare il rapporto tra queste due dimensioni? Bidet, da buono strutturalista di scuola althusseriana, contesta le interpretazioni che vedono il capitale scaturire dal mercato attraverso un processo «dialettico»; ma la posta in gioco che è sottesa da questa problematica va molto al di là di un conflitto esegetico. Il tema è che rapporto vi sia tra mercato e capitale; se le relazioni di mercato generino necessariamente, attraverso una loro dinamica immanente, rapporti capitalistici di sfruttamento; insomma, se mercato e capitale siano dialetticamente uniti oppure si possano separare l’uno dall’altro (il che implicherebbe, per esempio, la legittimità della proposta di un «socialismo di mercato», che dal punto di vista marxiano non potrebbe essere altro che una contraddizione in termini). Insomma, separare nettamente mercato e capitalismo avrebbe consentito di pensare l’uso che il socialismo avrebbe potuto fare del mercato. Marx, invece, non fa che distinguere le due forme per poi meglio riunirle: secondo lui l’epoca dei rapporti mercantili si risolve nel capitalismo, destinato a risolversi a sua volta nell’epoca post-mercantile del socialismo (e infine del comunismo). Ma la prospettiva di un totale superamento del mercato non rappresenta per Bidet nient’altro che una delle grandi illusioni nelle quali sono caduti i marxisti e i comunisti del Novecento.
L’incognita della lotta di classe
Nella sua rilettura di Marx, Bidet persegue costantemente un duplice obiettivo polemico: per un verso egli critica le letture «dialettiche» del sistema marxiano che lo riportano «indietro» verso Hegel; con altrettanta fermezza respinge le letture economicistiche, che perdono anch’esse la novità di Marx (una novità che lui stesso si conquista con fatica e non sempre con successo) in quanto lo riconducono a ritroso verso Ricardo. Questo tema risalta in primo piano nel modo in cui Bidet ritorna, nei primi capitoli di Que faire du Capital? sulla categoria marxiana di valore-lavoro. Egli infatti mostra come la teoria di Marx, muovendo dal progetto di costruire uno spazio economico omogeneo che permetta l’analisi quantitativa, consista però in realtà nel trascendere il significato meramente economico e quantitativo del valore, che nell’opera di Marx rivela la sua altra dimensione, quella socio-politica, che lo mette in relazione con la questione della lotta tra le classi. Il valore viene infatti immediatamente a connotarsi, osserva Bidet, come «valore sociale» nella misura in cui in esso si trova oggettivato lavoro astrattamente umano la cui grandezza non dipende solo dalla durata, ma anche dall’intensità.
Se osservato da questo punto di vista, «il tempo di lavoro non è più quello della fisica: l’intensità denaturalizza la durata. Il tempo socialmente necessario che il mercato prescrive, si stabilisce nell’antagonismo sociale, in cui il dispendio è costrizione. Così la definizione del valore attraverso il lavoro astratto apre al tempo stesso sia lo spazio omogeneo di un’economia, proprio di un’analisi quantitativa, sia lo spazio della lotta di classe». Questa è la dimensione che i classici come Smith e Ricardo non hanno visto: che l’economico è «sempre immediatamente politico», che il dispendio della forza-lavoro non è separabile dai rapporti di dominio. Per Bidet, dunque, il valore-lavoro non è che un «mezzo concetto» privo di significato operativo se non si chiama da subito in causa la sua altra metà, quella che riguarda i rapporti determinati di dominio e di costrizione sociale implicati nel modo di produzione capitalistico.
Viene così a costituirsi nello spazio del materialismo storico «la base economica» del modo di produzione capitalista in cui l’economico è già sempre immediatamente politico. Ma il grande limite di Marx, secondo Bidet, sta proprio nel non aver posto compiutamente alla base del suo sistema questa unità categoriale dell’economico e del politico. Nell’aver pensato che si potesse partire dal mercato senza chiamare in causa fin dal principio anche le articolazioni categoriali dello Stato.
Le considerazioni fin qui svolte vengono corroborate, e illustrate con una chiarezza forse ancora maggiore, se ci si accosta ad un altro luogo cruciale del pensiero di Marx (cui Bidet dedica il quarto capitolo di Que faire du Capital?) e cioè quello che concerne la coppia concettuale del valore e del prezzo della forza-lavoro.
L’unità di politica ed economia
Nella interpretazione di Bidet, Marx ci dice che il valore della forza-lavoro deve essere tematizzato secondo due approcci possibili: il primo, puramente fisico, fa riferimento all’esistenza di un certo numero di «bisogni naturali» e alla necessità di assicurare una data quantità di mezzi di sussistenza indispensabile alla riproduzione fisica della classe lavoratrice; l’altro, storico e sociale (o morale, in termini marxiani), introduce un elemento di variabilità nella determinazione del numero e della tipologia di tali «bisogni naturali», e nella produzione dei mezzi atti al loro soddisfacimento. Abbiamo così, dice Bidet, un valore che definiremo «minimo», un «minimo vitale» che situeremo «al di sotto del valore normale della forza-lavoro», e un valore che definiamo appunto «normale», e che risponde a una norma o a una consuetudine stabilitasi storicamente e socialmente. Ma è evidente che questa norma è sostanzialmente il risultato (più o meno stabilizzato o acquisito, ma anche revocabile) del conflitto di classe e dell’antagonismo sociale.
Quale sia di volta in volta il prezzo della forza-lavoro risulta dunque da un meccanismo di mercato che è assolutamente sui generis: «Si tratta qui di un mercato di tipo particolare, dove la “merce” è anche attore, dove la forza-lavoro non è mai solamente una merce troppo o troppo poco offerta, ma è anche l’elemento di un gruppo più o meno costituito, dove la sua messa in concorrenza ha come limite la sua capacità di organizzarsi in una forza relativamente unificata, ossia di costituirsi in classe. Per questo il rapporto di mercato diventa rapporto di classe». Il concetto di prezzo in tale maniera modifica e, specifica Bidet, si tratta di una «modifica originaria», per nulla accidentale, il concetto di valore della forza-lavoro inserendolo in un contesto che non è più quello del mercato ma quello della lotta di classe. Il prezzo «diseconomizza» il valore ridefinendo al tempo stesso la teoria sin dal suo principio. Se dunque, come emerge dalle osservazioni di Bidet, il rapporto salariale non si riduce ad un rapporto mercantile, ciò che va sottolineato è che esiste una specificità propria del rapporto di tipo capitalistico sostanzialmente differente e irriducibile a quello semplicemente mercantile. E ciò senza dubbio mette in discussione il presupposto di una derivazione lineare fra le due tipologie di rapporti. O meglio, apre l’interrogazione circa il nesso, che come abbiamo visto è tutto da ripensare, fra due tipologie (mercato e capitale) che appaiono in qualche misura eterogenee fra loro.
Potremmo dire quindi che, attraverso Que faire du Capital?, emergono due tematiche che saranno decisive per tutto quello che Bidet scriverà successivamente: per un verso la necessità di pensare davvero, nella critica dell’economia politica, l’unità dell’economico e del politico, il fatto che la seconda dimensione è da sempre implicata nella prima. Per altro verso il tema da precisare ed elaborare è quello del rapporto tra mercato e capitale, ovvero la necessità di ristrutturare quello spazio concettuale che, nell’architettura di Marx, sta prima della costituzione del rapporto propriamente capitalistico.

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