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Mistero sulle lettere il Dottor Morte Heim potrebbe essere vivo

Il ritrovamento di un epistolario dal suo rifugio in Egitto riapre i dubbi sulla sorte del “medico” di Mauthausen e giovedì, a pochi mesi dal processo, è morto Samuel Kuntz, accusato degli stermini nel lager di Belzec.   Sarebbe stato dato per morto nel 1992 Ma il Centro Wiesenthal lo cerca ancora

 

Il ritrovamento di un epistolario dal suo rifugio in Egitto riapre i dubbi sulla sorte del “medico” di Mauthausen e giovedì, a pochi mesi dal processo, è morto Samuel Kuntz, accusato degli stermini nel lager di Belzec.   Sarebbe stato dato per morto nel 1992 Ma il Centro Wiesenthal lo cerca ancora

 
BERLINO. Lo chiamavano “il Dottor Morte”, pronunciavano il suo nome con terrore. Il dottor Aribert Heim compì spietati esperimenti criminali sui deportati nel lager di Mauthausen, poi riuscì a sopravvivere al nazismo che aveva servito fedele e ai processi degli alleati. Anche se 95enne, potrebbe essere ancora vivo. Le sue lettere segrete dal nascondiglio in Egitto alla famiglia rimasta in Europa, a un medico ebreo, Robert Braun, e a politici tedeschi, pubblicate da El Paìs, riaprono il dubbio sulla sua sorte. E con il mistero sul destino di Aribert Heim riemerge uno dei capitoli più atroci del Terzo Reich.
«Heim fu in Egitto almeno fino all´inizio degli anni Novanta, io non posso dichiararlo morto finché non ne ho la certezza scientifica, quindi per me il caso non è chiuso», dice al telefono da Gerusalemme il dottor Efraim Zuroff, l´erede di Simon Wiesenthal, direttore appunto del Centro Wiesenthal per la caccia ai criminali nazisti ancora a piede libero. La caccia ai nazisti di Zuroff è sempre più una corsa contro il tempo: ieri un altro dei suoi ricercati, Samuel Kunz, ex guardia del lager di Belzec, è morto in libertà in Germania qualche mese prima del processo contro di lui per crimini contro l´umanità. Ancora a piede libero sono altri super-ricercati, dall´ungherese collaborazionista Sandor Kepiro al croato, ex guardiano di lager, Milivoj Asner. Ma Aribert Heim, nella lista del centro Wiesenthal, è una delle figure più mostruose.
«Caro dottor Braun», scrisse negli anni ´80 il “Dottor Morte” al medico ebreo, «lei capisce che le accuse contro di me sono assurde, opera delle fantasie di fanatici. Io non avrei mai potuto compiere crimini così mostruosi contro pazienti o prigionieri, il giuramento d´Ippocrate me lo avrebbe impedito. Fui volontario nelle SS, ma non sono un criminale né un mostro». Dall´Egitto Heim inviò lettere anche a Lothar Spaeth, cavallo di razza della Cdu, per rivendicare la sua innocenza, dipingendosi come «vittima di fanatici sionisti».
Le testimonianze dei sopravvissuti all´inferno di Mauthausen narrano altro: ad alcuni prigionieri, Heim aprì il ventre senza anestesia strappando loro il fegato, ad altri estrasse a vivo il cuore o altri organi. Altri ancora furono narcotizzati in parte da lui, poi aperti sul tavolo operatorio, per ricevere un´iniezione letale di benzene nei muscoli cardiaci. Lui studiava tempi e decorso della loro morte, conservò come fermacarte i crani di alcuni giovani prigionieri ebrei finiti nella sua famigerata “sala operatoria”. Almeno trecento deportati morirono sotto i suoi ferri.
Dopo la disfatta nazista, Heim trascorse due anni prigioniero degli americani. Ma, come fecero anche Mengele, il principale responsabile dell´uso dei deportati come cavie, e l´ingegnere dell´Olocausto Adolf Eichmann, anche lui riuscì a spacciarsi per un militare come tanti altri e fu rilasciato. Solo nel 1962 alcuni testimoni lo identificarono, e lui finì nel mirino della giustizia. Fuggì in America Latina, poi in Egitto. Le sue lettere segrete sono un eccezionale documento del suo continuo tentativo di trovare, dal rifugio al Cairo, presunte prove a sua discolpa. «Cara Gerda», scriveva alla sorella Hertak, chiamandola in codice come faceva con tutti i destinatari, «mettiti in contatto con la famiglia Thyssen perché ti confermino che nell´estate del ‘42 vissi da loro, alcune settimane o due o tre mesi, non ricordo». Dall´Egitto, si mostrava anche spavaldo, lui che aveva stroncato tante vite: «La lotta per la vita va presa come uno sport, succeda quel che succeda, si vive una volta sola, mai dimenticare l´umorismo».

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