L’onda che fa tendenza

Dopo il Colosseo, la Mole e la Torre di Pisa è il turno di San Marco a Venezia. La protesta di studenti e ricercatori mette a segno un altro monumento. E in attesa di martedì, il giorno del voto al Parlamento, la ministra Gelmini moltiplica pani e pesci. E spuntano fuori 12,5 miliardi a scuola e università  del Sud MILANO Alla facoltà  di Fisica si sale sul tetto sotto la neve e il «no» alla Gelmini diventa design

Dopo il Colosseo, la Mole e la Torre di Pisa è il turno di San Marco a Venezia. La protesta di studenti e ricercatori mette a segno un altro monumento. E in attesa di martedì, il giorno del voto al Parlamento, la ministra Gelmini moltiplica pani e pesci. E spuntano fuori 12,5 miliardi a scuola e università  del Sud MILANO Alla facoltà  di Fisica si sale sul tetto sotto la neve e il «no» alla Gelmini diventa design

Milano è una città fredda. Non solo perché nevica ma anche perché quando si parla di proteste universitarie non si riscalda facilmente. Gli studenti si muovono eccome. Molte scuole sono occupate, le manifestazioni sono continue e spesso finiscono con la polizia che carica, come è avvenuto l’altro giorno in piazzale Loreto. Ma le mobilitazioni riescono a coinvolgere per lo più gli alunni delle superiori. Giovedì però alcuni ricercatori e studenti universitari sono saliti sul tetto della facoltà di Fisica e ci sono rimasti una notte dentro tende da alta montagna, sotto il primo nevischio della stagione. Qualcosa di inaudito che ha scosso il torpore che da anni soffoca gli atenei milanesi.
Il dipartimento di Fisica è in via Celoria a pochi passi dal Politecnico, ma è parte della facoltà di Scienze della Statale. Da mesi è l’epicentro di Città studi. Sono stati i primi ad occupare ad ottobre e a Fisica si trovano ricercatori e studenti degli altri poli universitari milanesi: Bicocca, Bovisa, Statale e Politecnico. Sì, perché ormai la protesta non è più solo nelle facoltà umanistiche, Lettere e Filosofia, Scienze politiche, ma ha come protagoniste le facoltà scientifiche, dove i ricercatori con il camice bianco e fanno esperimenti. 300 ricercatori e professori del Politecnico, con l’avvallo del rettore Giulio Baglio, hanno addirittura comprato una pagina del Corriere della Sera per spiegare le difficoltà della loro università. Mai visto prima.
Sul pianerottolo del primo piano di Fisica ci sono vestiti ad asciugare. Fuori il tetto imbiancato. Ci sono saliti in trenta e una quindicina hanno pernottato all’addiaccio. Adesso sono a scaldarsi in una stanzetta. Max è argentino e distribuisce il mate, la tipica bevanda calda della sua terra. È venuto in Italia per studiare. Non tutti i cervelli sono in fuga. Fiammetta, ricercatrice a tempo indeterminato dopo 12 anni di gavetta, distribuisce le cartoline (postcard e flyer) realizzate dagli studenti di design del Politecnico, quelli che poi lavorano nella moda e nella pubblicità. Si chiama «No stop» ed è stata l’idea con cui a ottobre hanno deciso di fare sciopero. Un contest creativo con tema il «No» alla riforma Gelmini. Non sarà la torre di Pisa ma colpisce il segno. Molto milanese. Michele è studente di Fisica. Racconta le manganellate che si è preso giovedì, mentre sistema la sua tesi in statistica. «È vero – spiega – gli studenti universitari a Milano sono centinaia di migliaia, ma questa non è una città universitaria, a partire dai servizi che offre, o meglio non offre a chi studia. Niente case, pessimi mezzi di trasporto per i tanti studenti pendolari, tagli agli orari delle biblioteche. Qui hanno chiuso anche la mensa di via Golgi. Per studiare bisogna stare insieme, servono luoghi di aggregazione e gli atenei milanesi non lo sono. Questo non permette che si accendano le proteste ma non fa affatto bene neanche allo studio e alla qualità della vita degli studenti».
Tra i «giovani» ricercatori c’è chi ha già i capelli bianchi ma non ha ancora un lavoro. O meglio ce l’ha ma non è nè stabile né riconosciuto. Anche a Milano i ricercatori hanno provato a non dare la disponibilità per l’insegnamento nella didattica. In quanto ricercatori non dovrebbero farlo e invece lo fanno e tengono in piedi le facoltà. Alla fine, però, molti hanno ricominciato ad insegnare. «A me piace – dice Donatella – lo faccio volentieri da 11 anni. E mi fa arrabbiare che questo lavoro venga squalificato». Poi ammette: «I professori ti invitano caldamente a non astenerti: Ti dicono: presto c’è un concorso, sai come funziona, meglio non rendersi troppo visibili…». L’università è troppo chiusa ai giovani che sono sempre in attesa e costretti a pendere dalle labbra dei loro superiori. Eppure non accettano gli attacchi di chi denigra l’università perché questo è il loro mondo e loro si sentono parte essenziale dell’università. Quando si nomina la parola «baroni» sbuffano. «Questo ddl – spiega Paolo, ricercatore di Fisica – tutela i professori ordinari e se ci sono dei baroni sono fra loro. Noi siamo schiacciati tra le rigidità e le ingiustizie del sistema universitario di cui siamo le prime vittime. Ma gli attacchi a questo sistema colpiscono ancora una volta noi. Il punto sono i soldi e i posti di lavoro. Più tagli si fanno, meno c’è merito e più è facile che vadano avanti quelli che hanno agganci e protettori. La lotta per riformare l’università si può fare soprattuto dall’interno, dando maggior potere contrattuale ai giovani che lavorano all’università. Se invece si punta sulla lotte fra poveri, si tutela sempre chi il potere lo ha già e si umilia chi invece ha voglia di impegnarsi e di fare i cambiamenti che sono necessari». Quanto al rapporto con i privati i ricecatori del Politecnico sanno di cosa parlano. «Il Poli lavora da una vita per i privati, ma un conto è lavorare con e per loro in autonomia, un conto è che entrino nei consigli d’amministrazione…». Tutti in aula D. Duecento persone da tutte le università si trovano per discutere come andare avanti. L’appuntamento è lunedì per una manifestazione in centro. E martedì mattina nuovo corteo studentesco. Partenza da largo Cairoli alle 9,30.

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