Crollo delle vendite (-40%), modelli fuori produzione e nessuna novità 
«Contrordine, signori. A Pomigliano non rispetteremo nemmeno l'accordo che vi abbiamo fatto firmare con la pistola alla tempia». Si potrebbe riassumere così il «sospetto» suscitato dal cambio di «causale»per la cassa integrazione che dovrà  partire nello stabilimento campano dal 15 novembre. ">

«Dietrofront su Pomigliano?»

FIOM CGIL La Fiat cambia la causale della cassa integrazione: da straordinaria a «in deroga»

Crollo delle vendite (-40%), modelli fuori produzione e nessuna novità 

«Contrordine, signori. A Pomigliano non rispetteremo nemmeno l’accordo che vi abbiamo fatto firmare con la pistola alla tempia». Si potrebbe riassumere così il «sospetto» suscitato dal cambio di «causale»per la cassa integrazione che dovrà  partire nello stabilimento campano dal 15 novembre.

FIOM CGIL La Fiat cambia la causale della cassa integrazione: da straordinaria a «in deroga»

Crollo delle vendite (-40%), modelli fuori produzione e nessuna novità 

«Contrordine, signori. A Pomigliano non rispetteremo nemmeno l’accordo che vi abbiamo fatto firmare con la pistola alla tempia». Si potrebbe riassumere così il «sospetto» suscitato dal cambio di «causale»per la cassa integrazione che dovrà  partire nello stabilimento campano dal 15 novembre. Una domanda che a Sergio Marchionne, domani, potrebbe esser posta anche dal ministro Romani in sede di incontro ufficiale al «tavolo» per Termini Imerese (per cui ci sarebbero cinque proposte considerate «concrete», anche se non tutte provenienti dal settore auto).
Il fatto. Nell’«accordo» di luglio il Lingotto aveva messo nero su bianco che per «il radicale intervento di ristrutturazione dello stabilimento per predisporre gli impianti di produzione della futura Panda», si sarebbe ricorso alla «cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione per due anni dall’avvio degli investimenti». Oggi, invece, la Fiat chiederà al ministero del Lavoro la «cassa in deroga» per otto mesi. 
La differenza non è da poco. La prima prevede «investimenti» da parte dell’azienda, se evidentemente pensa di avere un futuro. La «deroga» è invece l’ultima risorsa chi chi non sa più che fare; per i lavoratori è l’anticamera della mobilità, ovvero l’ultimo ammortizzatore prima del licenziamento. Non solo. La prima prevede che l’azienda paghi una parte della «cassa», mentre la seconda attinge per intero ai fondi dell’Inps. Anche sul tfr di questo tipo di cig c’è in essere un contenzioso aperto con l’Inps: chi deve pagarlo? In sintesi, si tratta del passaggio da un progetto industriale – sicuramente molto discutibile – a una prospettiva di dismissione.
Forte di questa oggettività, la Fiom Cgil ieri mattina ha dato corpo alle sue preoccupazioni. I dati sulle immatricolazioni di ottobre – confermato ieri sera dalla Motorizzazione un calo in ottobre del 39,9% rispetto al 2009 – «sono i peggiori di sempre». Giorgio Airaudo, segretario nazionale con delega al settore auto, ricorda che «sono peggiori di quelli che trovò Marchionne al suo arrivo; allora la quota Fiat sul mercato italiano era del 28,4%». Ora è del 27,46. 
L’azienda si giustifica ricordando che un anno fa c’erano gli incentivi alla rottamazione, che sostenevano le vendite. Ma «gli incentivi c’erano per tutti i marchi, mentre solo Fiat perde il doppio degli altri». La media del calo vendite dei marchi stranieri in Italia viaggia infatti intorno al -22%. Smentita anche la frase choc pronunciata da Marchionne in tv: «Senza l’Italia staremmo molto meglio». In questo paese, infatti, «Marchionne vende il 60% delle auto, ma ne produce molte meno». Senza l’Italia, insomma, sarebbe nulla o quasi. Quanto al «non prendiamo soldi pubblici», il pensiero corre ai 20.000 dipendenti che passano di frequente per la cassa integrazione.
La crisi di idee e progetti della Fiat è così evidente che ieri, per Mirafiori, i sindacati «complici» (come Sacconi chiama Cisl Uil, Fismic) hanno chiesto «la mobilità»; e che per ogni licenziato venga assunto «un giovane». Ironico, in questo caso, il commento di Airaudo: «è curioso che nel momento di massima cig, senza alcun segnale di ripresa, siano i sindacati a proporre a un’azienda i licenziamenti collettivi».
Le domande poste dalla Fiom riguardano il piano industriale. Ossia quali modelli produrre nel nostro paese («Croma e Multipla escono di produzione», senza sostituzione), con quali prospettive occupazionali. Invece «qui costringe il paese a parlare di quel che dovrebbero fare i lavoratori per la competitività della Fiat, mentre Fiat non prende impegni con il paese e sta cambiando pelle, forse anche proprietà». In tutto il riassetto del gruppo (spin off dell’auto, rilancio di Chrysler, ecc) «l’azionista di riferimento – la famiglia Agnelli – non mette un euro». Si chiede insomma fiducia «fuori» mentre se ne mostra assai poca «dentro casa». Al punto che «c’è anche il sospetto che qualcuno stia lavorando sul ‘modello Alitalia’, con una newco per la parte buona e una bad company per tutto quello che si vuol buttare».
Resta, clamoroso, il fatto che un accordo «imposto e decantato» – che la Fiom non ha firmato e che il 36% dei dipendenti di Pomigliano ha respinto – in soli tre mesi «si è già dimostrato sbagliato», quantomeno nelle previsioni. La Fiom chiama in causa il governo, invitato ad agire almeno quanto Obama negli Usa («lì hanno dovuto squadernare tutti i bilanci e firmare impegni precisi»), cessando di «fare il tifo» e «lavorare a escludere la Fiom».
Un problema di democrazia, infine. «Tutta l’Italia legge sui giornali o in tv come sta cambiando la Fiat; gli unici a non poter partecipare alla discussione sono i lavoratori dell’azienda». Delle 10 ore annue di assemblea, infatti, nei vari stabilimenti ne sono state usate in media solo tre. Sette di queste sono «nella disponibilità dei lavoratori». Non possono essere però convocate se i cari sindacati non calendarizzano le riunioni in orario di lavoro. Fim-Cisl e Uilm «frenano», per evidenti difficoltà con la base. La Fiom propone di indirle subito, garantendo la gestione «pacifica» e il diritto di parola per tutti. «A Pomigliano, in quelle condizioni di ricatto, i lavoratori sono stati ritenuti maturi per dire sì o no a Marchionne; penso che lo siano a sufficienza anche per dire sì o no alle organizzazioni sindacali». Dove la Fiom è maggioranza assoluta, le assemblee sono state fatte. In altri stabilimenti, invece, il «modello Pomigliano» rischia di diventare una coppoliana proposta che non si può rifiutare… 

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