MUMBAI - «Le elezioni in Birmania non sono né libere né giuste, non hanno alcuna legittimità . E' stato un esercizio truccato, il regime continua la repressione». ">

L’attacco di Obama “Una truffa quelle elezioni la Birmania liberi Aung”

E il presidente balla con i giovani di Mumbai   

Bagno di folla con gli universitari “Gandhi cambiò la vostra storia e quella del mondo”

MUMBAI – «Le elezioni in Birmania non sono né libere né giuste, non hanno alcuna legittimità . E’ stato un esercizio truccato, il regime continua la repressione».

E il presidente balla con i giovani di Mumbai   

Bagno di folla con gli universitari “Gandhi cambiò la vostra storia e quella del mondo”

MUMBAI – «Le elezioni in Birmania non sono né libere né giuste, non hanno alcuna legittimità . E’ stato un esercizio truccato, il regime continua la repressione». Barack Obama sceglie l´India, la più grande democrazia del mondo ma anche una potente alleata di Myanmar, per una condanna dura delle elezioni-truffa. Parla ai giovani di Mumbai, in un discorso appassionato cita più volte la figura ispiratrice del Mahatma Gandhi, affronta il terrorismo islamico, Pakistan e Afghanistan. Sostiene il popolo birmano oppresso nella speranza che il governo di New Delhi si associ alle sue pressioni. «In quel paese – denuncia Obama – ci sono 2.100 prigionieri politici, inclusa Aung San Suu Kyi, agli oppositori è stato impedito di partecipare alle elezioni. Il partito democratico è stato imbavagliato, le minoranze etniche sono state escluse. Non c´è voto credibile quando il regime reprime le libertà fondamentali di espressione». Segue l´avvertimento: «Terremo sotto controllo la situazione in Birmania, continueremo a esercitare ogni pressione. Devono liberare subito e senza condizioni Aung San Suu Kyi e tutti i prigionieri politici, cessare le violazioni dei diritti umani». Oggi nel suo incontro a New Delhi col premier Manmohan Singh e il Parlamento indiano, Obama rivolgerà a loro un invito pressante: per i suoi intensi rapporti economici con la giunta militare, l´India può e deve agire. Mette il dito su una contraddizione: l´India è sì una grande democrazia, ma nelle relazioni internazionali segue la realpolitik, e nel caso di Myanmar pensa soprattutto a contrastare l´influenza della Cina.
La domenica a Mumbai è cominciata su una nota più leggera. In una scuola Barack e Michelle festeggiano Diwali, il Natale induista, tra una scolaresca scatenata nelle danze che ricordano i musical di Bollywood. Michelle sembra una star del hip-hop, ride imitando le mosse dei ragazzini, lui fa del suo meglio per non sfigurare ma non regge la competizione con la moglie. «L´avete vista ballare? – dirà più tardi – era impressionante».
Dopo la festa un altro bagno di folla, tra gli studenti universitari del college Saint Xavier. Bella cornice coloniale decadente, il cortile dell´antica facoltà sembra un angolo di Oxford, la biblioteca ricorda i film di Harry Potter. Obama si prende una simbolica rivincita sull´analogo incontro organizzato un anno fa a Shanghai. Allora il regime cinese lo aveva beffato, circondandolo di giovani iscritti al partito comunista, con domande controllate dal governo e nessuna ripresa tv. A Mumbai è tutto diverso, Obama in maniche di camicia affronta un dibattito vero all´americana, un fuoco incrociato a contatto con la gioventù indiana. Li spiazza con i continui riferimenti a Gandhi: un padre spirituale un po´ sbiadito nell´India di oggi, soprattutto fra questi giovani laureandi di una università prestigiosa che puntano a diventare manager di successo. Nel cuore della metropoli più capitalista dell´India, dove la dinastia Ambani si è costruita un grattacielo «di tanti piani quanti sono i miliardi accumulati», Obama si emoziona ricordando la sua visita nella casa di Gandhi: «C´erano solo una carta geografica, un telaio, dei sandali, dei giornali, ma con quegli strumenti ha cambiato la vostra storia e la storia del mondo». Li esorta a non dimenticare: «Il capitalismo crea ricchezza, e l´India di oggi ha bisogno di giovani imprenditori. Ma qualunque professione scegliate, sappiate restituire qualcosa alla comunità. Fare del bene vi renderà anche più felici». Il pubblico lo adora, il carisma di Obama qui è ancora potente. Ma non gli fanno sconti. Una ragazza lo affronta: «Lei ieri ha commemorato le vittime dell´attentato del 2008 ma non ha nominato i mandanti della strage, cioè il Pakistan. Quel paese è così importante per l´America, che lei non osa definirlo uno Stato terrorista?». Obama misura le sue parole perché dalla collaborazione del Pakistan dipende la lotta contro Al Qaeda. «E´ un grande paese – risponde – ma al suo interno ha il cancro del terrorismo. Noi facciamo pressione perché devono estirparlo. E´ una minaccia anche per loro: il terrorismo ha ucciso più cittadini pachistani che di qualsiasi altra nazione. Anche l´India ha interesse a che il Pakistan abbia successo, un vicino stabile vi renderà più sicuri». Incalzato sulla promessa di iniziare il ritiro dall´Afghanistan nel 2011, risponde che «il ritmo del ritiro dipenderà non solo dalle condizioni militari ma anche da quelle politiche». Arriva implacabile la domanda sulla disfatta elettorale: «Gli americani si sono già stufati del suo cambiamento?». Obama annuncia «correzioni nelle politiche del governo», spiega che «sono stati due anni terribili e in queste condizioni gli elettori puniscono chi sta al potere». Conclude legando la politica interna alla sua tournée asiatica: «Abbiamo vissuto a lungo in un mondo dove l´America era dominante e dettava le sue regole. Ora abbiamo una vera competizione, e siamo ancora alla ricerca della risposta giusta».

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