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La rivolta degli studenti modello

C’è già  chi parla di un nuovo ’68 “Perché spesso le rivoluzioni partono dagli studenti”. Il giorno dopo la manifestazione contro l’aumento delle tasse, siamo andati in uno dei migliori atenei del Regno Unito Dove nessuno vuole mollare”Il vero progetto è privatizzare le università , come in America. E noi non lo vogliamo”La riforma propone di far salire le rette a 9 mila sterline all’anno: 40-50 mila euro per una laureaCarl, 23 anni, è uno dei leader della protesta: “Basta far pagare ai deboli la recessione”

C’è già  chi parla di un nuovo ’68 “Perché spesso le rivoluzioni partono dagli studenti”. Il giorno dopo la manifestazione contro l’aumento delle tasse, siamo andati in uno dei migliori atenei del Regno Unito Dove nessuno vuole mollare”Il vero progetto è privatizzare le università , come in America. E noi non lo vogliamo”La riforma propone di far salire le rette a 9 mila sterline all’anno: 40-50 mila euro per una laureaCarl, 23 anni, è uno dei leader della protesta: “Basta far pagare ai deboli la recessione” Il ´68 cominciò a Berkeley e a Parigi, il ´77 in Italia e in Germania, chissà se un giorno diremo che un nuovo movimento è sbocciato nell´autunno 2010 sulle rive del Tamigi. «Ne sono certo, è l´inizio di qualcosa di importante», dice lo studente con i libri sottobraccio, ignorando di ripetere lo slogan dei suoi padri, la frase che dalle barricate del maggio francese, più di quarant´anni or sono, incendiò il mondo. «Sì, la manifestazione di ieri a Londra non è che l´inizio», insiste Carl, 23 anni, iscritto a sociologia, davanti al portone della London School of Economics, la più prestigiosa università di scienze politiche del pianeta.
«Continueremo a lottare, non solo per impedire l´aumento delle tasse universitarie, ma per contrastare una politica che, in Gran Bretagna e in tutto l´Occidente, sta facendo pagare ai più deboli le colpe dei più forti, ai più poveri gli eccessi dei banchieri che hanno provocato la recessione globale». Intorno a lui i suoi compagni assentono, ciascuno dice la sua: sugli scontri con la polizia, i vetri rotti, l´autunno caldo e l´inverno dello scontento. «È già successo che le rivoluzioni sociali partano dagli studenti», concordano. Forse sognano. Ma hanno l´età giusta per sognare.
Pioggia e folate di vento: basterebbe il clima a spegnere i fuochi che mercoledì sera brillavano attorno a Millbank Tower, il grattacielo in cui ha sede il partito conservatore, occupato e preso d´assalto dalla più grande manifestazione studentesca nella capitale in un paio di decenni. Il premier David Cameron condanna «l´intollerabile» accaduto, il sindaco Boris Johnson, pure lui dei Tory, assegna la responsabilità a «una minoranza di facinorosi».
Ma basta risalire un poco il Tamigi, lasciarsi alle spalle le transenne della polizia e il parlamento di Westminster, per sentire pareri assai diversi tra i “facinorosi” reduci dall´attacco.
Fondata oltre un secolo fa dalla Fabian Society, la London School of Economics (Lse) non è il covo del movimento studentesco, almeno non il solo: ma è l´università dove la passione politica è più forte. A dispetto del nome, vi si studiano non solo l´economia ma soprattutto le scienze politiche e sociali. Ci sono passati in tanti, sui suoi banchi, da John Kennedy a Romano Prodi, fino a Ed Miliband, nuovo leader del partito laburista britannico. I suoi rettori hanno incluso il filosofo Ralph Dahrendorf e il sociologo Anthony Giddens. C´è un incredibile rapporto docenti-studenti di 1 a 9: più di mille insegnanti, tutori e ricercatori per 9 mila allievi. E´ l´università della terra in cui è più difficile entrare: 15 domande di iscrizione per ogni posto. E la più etnica: si dice che abbia studenti di più nazionalità di quanti sono i paesi membri dell´Onu. Eccoli qui: un banchetto di studenti israeliani fa propaganda per la pace in Medio Oriente, uno di cinesi per la democratizzazione a Pechino, uno di islamici per gli aiuti al Pakistan alluvionato. C´è anche un minicorteo di giovani che agitano cartelli con su scritto “free the fees”, cioè liberalizzate le tasse universitarie: «Noi vogliamo che vengano aumentate, non diminuite», dicono, «siamo per il libero mercato, anche in campo accademico».
Padre inglese e madre tedesca, lo studente che mi fa da guida storce il naso. «Protestiamo anche per questo, per impedire che la nostra università diventi un´altra cosa», spiega Carl. «Una volta quelli che volevano fare soldi andavano a Oxford, quelli che credevano nelle cause sociali venivano qui. Non più. L´anno scorso mille studenti della Lse hanno presentato domanda di lavoro alla Goldmans Sachs. Almeno metà degli iscritti vorrebbero diventare banchieri. Se le tasse universitarie triplicano, per loro non è un problema». Il primo a triplicarle fu il laburista Blair, portando le tasse d´iscrizione da 1000 a 3 mila sterline l´anno. Adesso la riforma presentata dal governo conservatore di Cameron propone di farle salire fino a 9 mila sterline (10600 euro) l´anno. Significa 40-50 mila euro per una laurea: il prezzo più alto d´Europa per un´istruzione universitaria. Quei soldi si possono ottenere in prestito e restituire gradualmente in base a quanto alto è il reddito che si guadagna dopo la laurea. Un patto accettabile, secondo i Tory: un´università di élite – e le università britanniche sono le migliori di tutte, dopo quelle Usa – costa cara, ma garantisce lauti guadagni a chi ne esce. «Ragionamento che presenta due problemi», obiettano Carl e compagni. «Se non voglio un lavoro che mi dia lauti guadagni, se ne preferisco uno che mi dà soddisfazione ma non mi fa diventare ricco, come li restituisco tutti quei soldi? E in secondo luogo un sistema del genere introduce la logica del marketing nell´istruzione superiore, spinge implicitamente a scegliere corsi di studio per professioni altamente retribuite. Perfino in un posto come la London School of Economics, la riforma Cameron aumenterà il numero degli aspiranti alla Goldman Sachs e ridurrà quelli come me, attirati dall´impegno sociale».
Provo a farmi raccontare la sua giornata tipo, ma si riassume in due righe: «Vengo in facoltà alle dieci del mattino ed esco a mezzanotte, tranne le pause per mangiare qualcosa qui intorno». Bè, i contestatori del ´68 e del ´77 non facevano proprio la stessa vita. «Non sono un secchione», sorride Carl alla battuta. «Facciamo quasi tutti così. Non ha senso iscriversi alla Lse, se vuoi perdere tempo. Per me andare a lezione o studiare in biblioteca è un piacere». Come prolungare quel piacere, tuttavia, se mancano i soldi? La Gran Bretagna, come buona parte dell´Occidente, è uscita dalla recessione con un debito spaventoso. Tutti gli esperti concordano che non c´è altra scelta che tagliare la spesa pubblica: molto o poco, subito o dopo, comunque tagliarla. Chi paga, allora, per avere un´università di élite? «Cameron non si limita ad aumentare le tasse universitarie, sta anche azzerando i finanziamenti pubblici all´istruzione. Il suo vero progetto è privatizzare le università, come in America. E´ questo che vogliamo, per l´Europa di domani? Noi del movimento degli studenti pensiamo che i servizi di pubblica utilità, in particolare l´istruzione e la sanità, debbano essere forniti dallo stato. E pensiamo che sia ingiusto far pagare questa crisi alle categorie più deboli, quando è stata provocata dagli errori e dagli eccessi delle categorie più forti, come i banchieri. Che siano loro a pagare più tasse, non gli studenti».
Ci sarebbero tante altre domande, ma adesso Carl e i suoi compagni vogliono andare a studiare in biblioteca, diversamente dai loro padri del ´68-‘77, che il giorno dopo una manifestazione come quella di ieri l´avrebbero trascorso chiusi a discutere in assemblea generale. «C´ero anch´io alla manifestazione e davanti al palazzo dei Tory», racconta lo studente. «Non ho tirato pietre né spaccato vetrine, in via di principio sono contrario alla violenza, ma abbiamo marciato tante altre volte e ottenuto solo dei modesti trafiletti sui giornali, mentre stavolta, grazie al casino che è scoppiato, tutte le tivù e i giornali parlano di noi, compreso il suo». Va bene, ma adesso? «Adesso aspettiamo i sindacati, i dipendenti pubblici, gli operai. Torneremo a manifestare, anche insieme a loro, anche per le loro battaglie. Il mondo non deve essere per forza come piace ai banchieri. Questo è stato l´inizio, continueremo a lottare». Ce n´est qu´un debut, continuons le combat: dove l´abbiamo già sentita, questa storia?

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