In Sicilia per mafia indagato Lombardo L’imbarazzo del Pd

ROMA
Sul New York Times di ieri la cronaca giudiziaria dall’Italia non riguardava gli scandali di Berlusconi, ma la retata di 48 mafiosi nell’inchiesta che coinvolge il governatore Raffaele Lombardo. L’alleato siciliano del Pd.

ROMA
Sul New York Times di ieri la cronaca giudiziaria dall’Italia non riguardava gli scandali di Berlusconi, ma la retata di 48 mafiosi nell’inchiesta che coinvolge il governatore Raffaele Lombardo. L’alleato siciliano del Pd. Alleato scomodo, tanto che ieri sia da destra che da sinistra in tanti hanno chiesto conto al Pd della «doppia moralità». Il berlusconiano Nania si è chiesto «dove sono finiti i paladini della legalità pronti a chiedere le dimissioni di Verdini e silenti quando sono impegnati a sostenere una giunta regionale di scippatori del voto e di indagati per concorso esterno in associazione mafiosa». Il coordinatore di Sel Claudio Fava, invece, ha invitato Bersani a staccare la spina al «peggior esecutivo nella storia dell’Isola» visto che «oggi la sfiducia al governo Lombardo è imposta anche di ragioni di decenza morale». Il Pd si è difeso con il capogruppo all’Ars Cracolici che ha rivendicato il merito di aver lasciato fuori dal governo «l’area che fa capo a Miccichè, Dell’Utri, Cuffaro, Alfano e Schifani» e con Anna Finocchiaro, che fu l’avversaria di Lombardo alle elezioni regionali, secondo la quale «se gli atti processuali diranno che Lombardo è colpevole il Pd sarebbe fuori dalla giunta».
Lombardo e suo fratello Angelo, deputato nazionale dell’Mpa, sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa dallo scorso marzo, ma è stato reso noto ieri – contemporaneamente all’ordinanza in base alla quale sono stati disposti gli arresti dei mafiosi, in tutta Italia. Allo stato contro di loro ci sono le testimonianze di numerosi uomini d’onore, in molti casi si tratta di intercettazioni. Così che il procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata ha precisato che «non si ritiene, allo stato, esistere l’idoneità per adottare alcuna iniziativa processuale nei confronti» del governatore. Come per esempio la custodia cautelare. Lombardo ha reagito annunciando querele e i suoi avvocati hanno precisato che «le capillari investigazioni svolte in questi anni non hanno registrato alcun contatto di alcun genere tra Lombardo e soggetti appartenenti a Cosa nostra, né alcuna sua iniziativa volta a favorire interessi illeciti».
È vero però che il presunto boss di Ramacca (Catania) Rosario Di Dio, gestore di una pompa di benzina, è stato intercettato mentre si lamentava del governatore che «è venuta da me all’una e mezza di notte… ho rischiato la vita e la galera per lui» cercando voti nonostante fosse sorvegliato speciale, senza aver poi aver ricevuto alcuni favori dai fratelli Lombardo. Contro Lombardo ci sono anche le vecchie accuse del pentito Maurizio Avola che però, secondo la procura, «non hanno trovato riscontro» perché altri pentiti «non erano in possesso di notizie» sul governatore. Agli atti dell’inchiesta anche l’episodio del pestaggio – non denunciato – di Angelo Lombardo e della sua festa con la partecipazione di mafiosi nella casa di campagna del geologo Giovanni Barbagallo, uomo collegato al reggente di Cosa nostra a Catania Vincenzo Aiello.

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