Il vuoto di verità  brucia l’utopia

L’ITALIA DELLE STRAGI
Si è aperto ieri a Firenze un nuovo processo per le stragi del maggio 1993, Roma, Milano, Firenze, e in particolare va ricordata quella che sventrò il palazzo dei Georgofili, colpì gli Uffizi e soprattutto uccise cinque persone e ne ferì più di quaranta.
È imputato Francesco Tagliavia, capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille. Venne arrestato il 22 maggio ’93, subì una condanna a due ergastoli per 26 omicidi, ma non come responsabile di quelle stragi. Finché non è stato chiamato in causa da Gaspare Spatuzza.

L’ITALIA DELLE STRAGI
Si è aperto ieri a Firenze un nuovo processo per le stragi del maggio 1993, Roma, Milano, Firenze, e in particolare va ricordata quella che sventrò il palazzo dei Georgofili, colpì gli Uffizi e soprattutto uccise cinque persone e ne ferì più di quaranta.
È imputato Francesco Tagliavia, capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille. Venne arrestato il 22 maggio ’93, subì una condanna a due ergastoli per 26 omicidi, ma non come responsabile di quelle stragi. Finché non è stato chiamato in causa da Gaspare Spatuzza.
Il quale ha rivelato che Tagliavia partecipò a una riunione per la preparazione delle stragi e mise a disposizione per la loro esecuzione tre suoi uomini.
Il processo fiorentino si svolge in un momento politicamente molto caldo. Emergono infatti sospetti gravissimi di complicità e trattative della politica con Cosa nostra e la Camorra. E i magistrati fiorentini sembrano puntare proprio alla ricerca della verità oltre le responsabilità direttamente mafiose ormai accertate. Chi ha voluto la strage degli Uffizi forse non aveva messo nel conto che non sarebbe stato di poco conto il contributo di Firenze a scoperchiare la pentola dei veleni che da piazza Fontana in poi hanno intossicato l’Italia.
Il problema infatti non riguarda solo le stragi del 1993, ma interessa tutta la sequela di stragi che ha insanguinato il paese, da Portella delle Ginestre a Piazza Fontana, e via seguendo il fiume di sangue fino a quel maggio maledetto di diciassette anni fa.
In Italia la cosa non è ancora di dominio comune. Lo affermano con forza i familiari delle vittime e alcuni coraggiosi magistrati. Ma sono sostanzialmente isolati. Bisogna andare a Parigi per sentirsi dire con chiarezza che aldilà delle differenze di modalità e di obbiettivi contingenti, un’unica strategia e un medesimo perverso intreccio fra politica collusa-neofascismo-servizi deviati-Gladio-logge segrete-mafia unifica lo stragismo dell’ultimo quarto di secolo. E’ di questo tenore l’analisi del prof. Raufer, docente di criminologia dell’Università di Parigi sul settimanale francese Express del 1993.
Molto, troppo buio avvolge tutt’ora la stagione delle stragi. Depistaggi di ogni tipo. Segreti di stato. Assoluzioni generalizzate come nel recente processo di Brescia.
È possibile liberarsi dal berlusconismo e soprattutto dal dominio devastante del liberismo derivazione diretta della strategia della tensione finché resta questo buio?
La crisi che stiamo vivendo è il frutto di un vuoto di civiltà creato da una strategia repressiva globale e mondiale, talvolta feroce, attuata in ogni settore della società nel dopoguerra, per annullare la creatività dal basso che stava dando alla modernità quella completezza e umanità sociale che alla genesi stessa della modernità era mancata. È innegabile che la modernità nasce e si sviluppa sull’altare sacrificale di alcuni grandi linciaggi: dei maghi e delle streghe, degli indios, degli schiavi, dei novatori, delle guerre di religione. Furono incenerite le utopie, le esperienze e le voci che avrebbero potuto aprire orizzonti se non di pace almeno di attenuazione della distruttività. E vennero l’affossamento delle rivoluzioni, i totalitarismi e le guerre.
Giunti come siamo in vista del fondo di un baratro occorre forse recuperare l’anima sociale della modernità che ha resistito alla strategia dell’annullamento nella miriade di esperienze soprattutto di base che hanno continuato a vivere e svilupparsi creativamente in tutto il mondo, specialmente negli anfratti della cosiddetta «grande storia».
Gli enormi problemi che gravano sulle nostre esistenze, la crisi economica, ecologica, morale, il razzismo, la disoccupazione, la precarietà del lavoro, il terrorismo e la guerra, sono il frutto di uno schema culturale basato sull’assoluta autoreferenzialità del potere. E dunque non è dal potere che verranno le soluzioni.
Saremo anche degli illusi a credere e scommettere nella forza della luce, della verità e della vita. Ma c’è per noi un’alternativa? Che nuovo nasce se resta impunito e vitale il vecchio che ha fondato il suo dominio stringendo il patto con le stragi e la repressione?
Occorre sempre più investire risorse e realizzare progetti innovativi e creativi «dal basso», per un nuovo rinascimento che ci consenta di uscire da questo orrido pantano culturale, politico, ecclesiale, recuperando l’anima sociale della modernità e liberando la politica dall’autoreferenzialità.
Che il manifesto viva fa parte di questa strategia di creatività.

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