Il tea party non sfonda, s’appanna la stella Palin

ULTRADESTRA Batoste in Nevada e Delaware

NEW YORK
È stata quella di Rand Paul, uno dei «poster boy» del Tea Party, la prima vittoria annunciata della serata: un seggio al Senato per la «nuova onda» populista di destra, sulla cresta del cui scontento il partito repubblicano ha giocato gran parte della sua campagna elettorale. «Siamo venuti a riprenderci il governo» ha annunciato, durante le celebrazioni per la vittoria l’oftalmico del Kentucky, figlio dell’ex candidato libertario alla presidenza Ron Paul. Ma, esaminato alla luce del mattino dopo, il contributo dei Tea Parties al successo repubblicano del medio termine sembra molto meno determinante.

ULTRADESTRA Batoste in Nevada e Delaware

NEW YORK
È stata quella di Rand Paul, uno dei «poster boy» del Tea Party, la prima vittoria annunciata della serata: un seggio al Senato per la «nuova onda» populista di destra, sulla cresta del cui scontento il partito repubblicano ha giocato gran parte della sua campagna elettorale. «Siamo venuti a riprenderci il governo» ha annunciato, durante le celebrazioni per la vittoria l’oftalmico del Kentucky, figlio dell’ex candidato libertario alla presidenza Ron Paul. Ma, esaminato alla luce del mattino dopo, il contributo dei Tea Parties al successo repubblicano del medio termine sembra molto meno determinante. Certo, le vittorie di Rand Paul e Marc Rubio in Florida significano due seggi in più al Senato. Ma a quelle vittorie vanno contrapposte alcune clamorose sconfitte: prima di tutto quella di Sharron Angle, che sembrava pronta a battere in Nevada il leader del senato Harry Reid. A sorpresa invece Reid è riuscito a spuntarla, non tanto, dicono i sondaggi, perché, in corner, l’elettorato abbia riacquistato fiducia in lui ma perché Angle – una delle candidate più bizzarre di questa iperbizzarra elezione – deve essere parsa all’elettorato un salto nel buio troppo grosso.
Altra dura sconfitta per il Tea Party è quella subita in Delaware, dove dopo aver agilmente battuto alle primarie un candidato dell’establishment repubblicano, martedì sera, Christine O’Donnell, una creatura modellata sul prototipo di Sarah Palin, ha perso grosso contro il democratico Chris Coons. E, in Connecticut, le carenze dell’ex presidentessa della World Wrestling Federation Linda McMahon, candidata repubblicana al senato sponsorizzata dal Tea Party (che ha investito 50 milioni di tasca sua per essere eletta), sono sembrate nulla rispetto a quelle del ministro della giustizia dello stato, il democratico Dick Blumenthal, che si è aggiudicato il seggio.
Stando ai conteggi di martedì mattina, anche il candidato del Tea Party in Colorado, Ken Buck, avrebbe perso la corsa al senato contro il democratico Michael Bennett. Mentre sono ancora in alto mare i dati dell’Alaska (un’elezione a tre), dove però la stagionata ex senatrice repubblicana Linda Murkowski sembra destinata ad avere la meglio su un candidato sponsorizzatissimo dalla «madrina» del Tea Party Sarah Palin, Joe Miller (il democratico Scotto McAdams è per ora al terzo posto).
Alla luce di questi risultati, in stati dove si è combattuto fino all’ultimo momento, qualcuno sta cominciando a chiedersi se dei repubblicani più moderati avrebbero avuto maggiori possibilità di vincere. E quindi se, in un certo senso, non siano stati proprio quegli stessi candidati del Tea Party a cui è stato riconosciuto di aver dato nuova linfa al partito, e che per mesi hanno fatto furore nei media, ad essere costati ai repubblicani la conquista del Senato e aver quindi impedito loro di replicare la vittoria a 360 gradi del 1994.
In questo quadro pesano anche le responsabilità di Sarah Palin, che si è buttata a tappeto dietro a candidati teapartisti e che anche in California ha appoggiato ad oltranza quella che in definitiva si è rivelata una perdente, Carly Fiorina.
Erano circa 140 in totale i candidati esplicitamente affiliati al Tea Party in queste elezioni. Circa la metà correva in distretti a maggioranza democratica e aveva quindi poche chance. Almeno una dozzina erano dati come vincitori martedì mattina con in più una ventina di casi ancora indecisi. L’impatto di questi nuovi arrivati al Congresso è ancora tutto da valutare.
Tra le loro priorità ci sono la riduzione del deficit e il taglio della spesa pubblica – due traguardi su cui la leadership repubblicana tradizionale beneficerà del loro appoggio. Ma anche obbiettivi molto meno condivisi dalla maggioranza dell’elettorato (repubblicano e non) come l’eliminazione del social security, e del popolarissimo programma di assistenza sanitaria per anziani, Medicare, o la revoca della legge sulla sanità.

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