Il sogno di Marchionne: buttare fuori la Fiom

All’inizio sembrava il solito sospetto tipico di «gente che odia le imprese». I fatti stavano lì, in bella fila, non c’era altro da fare che leggerli tutti insieme. Ora ci è arrivata anche la grande stampa – Repubblica, ieri – e all’improvviso diventa una certezza per tutti: la Fiat vuone estirpare la Fiom dai suoi stabilimenti. Come negli anni ’50, insomma, alla faccia della post-modernità .

All’inizio sembrava il solito sospetto tipico di «gente che odia le imprese». I fatti stavano lì, in bella fila, non c’era altro da fare che leggerli tutti insieme. Ora ci è arrivata anche la grande stampa – Repubblica, ieri – e all’improvviso diventa una certezza per tutti: la Fiat vuone estirpare la Fiom dai suoi stabilimenti. Come negli anni ’50, insomma, alla faccia della post-modernità . L’idea viaggia tra le righe del «modello Pomigliano», là dove si prevede che non venga riconosciuta l’agibilità (e la possibilità di presentare propri candidati alle elezioni dei delegati) ai sindacati che non hanno firmato il contratto nazionale di categoria. A corroborare giuridicamente il progetto viene invocato l’accordo del luglio 1993 e persino lo Statuto dei lavoratori. La situazione contrattuale per i metalmeccanici è in effetti alquanto confusa, per «merito» delle imprese e della «coalizione» sindacale tra Cisl, Ul, Fismic e associazione dei «capi». Il contratto tuttora in vigore è stato firmato anche dalla Fiom e scade a dicembre 2011. A fine 2009, però, ne è stato firmato un altro con i suddetti «complici», peraltro corretto con ampie «deroghe», appena un mese fa, per venire incontro alle esigenze del Lingotto. In ogni caso, su questa base, non c’è possibilità di impedire a nessuno di presentare candidati e, se si prendono i voti necessari, di avere delegati. 
A questo servirebbe dunque la minacciata «newco», ossia una società che «rileva» le attività di uno stabilimento, non si iscrive alla Confindustria e Federmeccanica, e quindi non deve nemmeno rispettare i contratti esistenti, ma solo l’«accordo» fatto sottoscrivere sotto minaccia di chiusura. Anzi, dopo aver iniziato con Pomigliano, la Fiat si sta preparando a fare altrettanto con Mirafiori, ecc. 
I problemi non mancano, però. Quelli legali, nonostante la buona volontà del governo in uscita, sono notevoli. Quelli sindacali sono forse anche più numerosi, pure se Sergio Marchionne affetta ormai fastidio quando qualcuno gli nomina la Fiom. Basti pensare che le assemblee degli operai di Mirafiori convocate da Fim e Uilm si sono concluse con la richiesta di sottoporre a referendum qualsiasi accordo sullo stabilimento. Quasi una bestemmia, per orecchie «complici».
Ieri ci sono state altre assemblee, questa volta in conto Fiom, con oltre 1.000 lavoratori («un numero alto, se si tien conto che 700 addetti alla produzione della multipla sono in cig»), e naturalmente – ha spiegato Giorgio Airaudo, segretario nazionale e responsabile del settore auto della Fiom – «ci siamo impegnati a tornare in assemblea seguendo la trattativa, che dovrà avvenire a fabbrica aperto e non chiusa per cig, e a sottoporre a referendum un eventuale accordo».
Per Maurizio Landini, segretario generale dei metalmeccanici Cgil, se questa è davvero l’intenzione della Fiat, «siamo di fronte a un attacco senza precedenti al sistema democratico, di relazioni sindacali e costituzionale». L’idea sarebbe quella di «uscire dalla crisi cancellando i diritti di chi lavora, il contratto nazionale e la democrazia». Ma coglie qualcosa di forzato nel continuo gioco «al rilancio» praticato dal Lingotto. «Prima impongono ai lavoratori di votare un accordo sotto minaccia di chiusura; poi lo disattendono chiedendo la cassa integrazione in deroga (senza garanzie di continuità aziendale né investimenti, ndr), poi vogliono la deroga al contratto nazionale, infine pensano a una newco anche per Mirafiori…». Vien da pensare che la Fiat stia cercando di nascondere difficoltà tutte sue, perché «altri produttori di auto hanno proposto nuovi modelli e mantenuto i livelli di vendita a scapito della quota Fiat, che solo ora dice di non aver lanciato nuovi modelli per una scelta di strategia». 
Anche sulla newco Landini è cautamente scettico. «Dopo il caso Alitalia ci sono state sentenze europee di cui bisogna tener conto». In realtà, «con lo spin off del settore auto, la Fiat rischia di diventare solo Chrysler; e allora chissà quanti stabilimenti rimarranno in Italia». La cosa più strana? «Il governo e la politica dovrebbero seguire con attenzione questa involuzione. E invece niente…».

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