Ha conservato la maggioranza al Senato: ma questo complica ancora di più la situazione
Appena 48 ore dopo la batosta il presidente in partenza per il G20 in Asia.
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IL MEA CULPA DI OBAMA “ORA ASCOLTERà’ L’AMERICA LAVORERà’ CON LA DESTRA”

Terremoto politico in America: trionfo del Tea Party, i democratici conservano il Senato
“Lavorerò con i repubblicani, ma non cambio linea”

Ha conservato la maggioranza al Senato: ma questo complica ancora di più la situazione
Appena 48 ore dopo la batosta il presidente in partenza per il G20 in Asia.

Terremoto politico in America: trionfo del Tea Party, i democratici conservano il Senato
“Lavorerò con i repubblicani, ma non cambio linea”

Ha conservato la maggioranza al Senato: ma questo complica ancora di più la situazione
Appena 48 ore dopo la batosta il presidente in partenza per il G20 in Asia.
«Mi sento male dopo una batosta simile, triste e pieno di dubbi: dove ho sbagliato?». Reso umile dalla sconfitta, Barack Obama scopre un lato vulnerabile.
Si confessa in pubblico, abbandona quell´immagine “cerebrale” che lo ha fatto sentire distante. Il giorno dopo la storica perdita di 60 deputati – la massima emorragia dal 1948 – il presidente non cerca attenuanti. Era un voto legislativo ma si era trasformato in un referendum sulla sua presidenza.
«Mi prendo tutta la responsabilità – dice nella conferenza stampa alla Casa Bianca – il potere è dei cittadini, io sono qui per servirli, ho il dovere di ascoltare il messaggio». La prima lezione è inevitabile: se uno dei rami del Congresso è finito alla destra, «sono pronto a sedermi a un tavolo e cercare delle intese, dobbiamo lavorare insieme». Fissa dei limiti invalicabili: «Non sono disposto a rovesciare completamente le mie politiche». Sanità, scuola, ambiente: su queste non cederà, a costo di duri scontri con la Camera che ha l´ultima parola sulle leggi di spesa. «Ridurre il deficit, rilanciare la competitività globale dell´America», sono i due terreni su cui pensa che sarà possibile l´intesa coi repubblicani. Il rigore nella spesa serve anche a placare le paure dei moderati che votarono Obama nel 2008 e lo hanno disertato. Purché la destra riconosca che «non ci sono soluzioni semplici, non c´è un´ideologia che ha il monopolio della verità, bisogna ristabilire un confronto civile tra noi». Non si fa illusioni: «Ormai si guarda già alle prossime elezioni, le presidenziali del 2012, non sono ingenuo». Sa che uno degli slogan più urlati nei comizi della destra era «un solo mandato Obama».
Non promettono nulla di buono i proclami del suo futuro interlocutore, John Boehner, che diventerà il presidente della Camera. Da lui dovrà passare ogni compromesso futuro. Boehner annuncia battaglia: «Abroghiamo la mostruosa riforma sanitaria di Obama». Boehner scopre la sua tattica: «C´è poco da cantar vittoria quando la nazione è stremata da una crisi spaventosa. Sia chiaro che in America governa il presidente, non il Parlamento». Questo conviene alla destra: continuare a fare opposizione, pur controllando uno dei rami del Congresso. Boehner ha capito che chi diventa “proprietario” di questa crisi rischia la prossima ondata di malcontento elettorale nel 2012. Lo sa Obama, che indica così la causa della sua disfatta: «Gli americani sono profondamente frustrati per la debolezza dell´economia, hanno paura per il futuro dei figli».
Che fare nei prossimi due anni? Un´opzione è giocare allo scaricabarile, come fece Bill Clinton con successo nel 1994: arrivò perfino alla chiusura di tutti gli uffici pubblici perché il Congresso non gli approvava il bilancio. Per Obama è più difficile perché il suo partito ha comunque conservato il Senato, quindi c´è “coabitazione” e condivisione di responsabilità. Clinton costruì la sua riscossa e rielezione anche su dei compromessi spregiudicati: una riforma del Welfare che recepiva idee reaganiane contro l´assistenzialismo. Obama indica i suoi «valori irrinunciabili», e i terreni su cui negoziare. E´ la mappa per la navigazione nel prossimo biennio. «Il risanamento dei conti pubblici non deve avvenire sacrificando la scuola, la ricerca, le energie rinnovabili, le infrastrutture per i trasporti pubblici. Sarebbe come sacrificare il nostro futuro, proprio quando la Cina ci sorpassa nella ferrovia ad alta velocità e ci sottrae il primato nei supercomputer per la ricerca scientifica». Dove invece c´è spazio di manovra: «Siamo tutti d´accordo che le tasse non devono aumentare, neanche sulle imprese».
Dunque Obama è flessibile sul rinnovo degli sgravi fiscali varati da George Bush, anche per i contribuenti più ricchi (oltre 250.000 dollari di reddito annuo). “Apre” agli imprenditori, capisce che averli contro gli è costato caro in questa campagna elettorale. «Giusto è stabilire regole e farle rispettare, ma non si deve dare l´impressione che demonizziamo il mercato e l´impresa». Domani porterà con sé una folta delegazione di imprenditori nella sua lunga tournée asiatica, «per aiutarli a conquistare nuovi mercati». Altro terreno su cui il compromesso è possibile: l´energia. I tetti alle emissioni di CO2 erano già naufragati per l´efficace pressione delle lobby “fossili” (anche sul partito democratico), ma con la destra «si può andare d´accordo sullo sviluppo dell´auto elettrica, del gas naturale, del nucleare», come strumenti per ridurre la dipendenza dal petrolio.
Qui Obama tocca una contraddizione che lo inseguirà nel prossimo biennio. E´ quando chiude la conferenza stampa tornando all´autocritica personale. «Alla Casa Bianca – sospira – corro il pericolo di vivere come in una bolla. Quando ero un candidato gli americani s´identificavano con la mia storia personale, nonostante lo strano nome che porto. Ora ho bisogno di ritornare più spesso là fuori». Ammette di aver tradito la speranza più grande: «Cambiare il modo di fare politica qui a Washington, lavorare con più trasparenza». E´ la promessa che nel 2008 attirò alla politica una generazione di giovani, di immigrati, ora disillusi. Ma se la nuova artimetica dei rapporti di forza al Congresso impone compromessi e negoziati a non finire con i repubblicani, Obama rischia di ricadere nella “vecchia politica”. E comunque sarà giudicato alla fine sui risultati: quella che chiama la capacità di «accompagnare i miei concittadini in questa traversata difficile». Oltre la crisi, oltre un declino che a molti sembra irreversibile: questa è una sfida che Franklin Roosevelt dopo la Grande Depressione risolse solo con una guerra mondiale. Se Obama avesse una ricetta, l´avrebbe già provata prima di queste elezioni. Per ora l´unico strumento attivo è la Federal Reserve, che da ieri ha ricominciato a stampar moneta alla grande, per curare la crisi con overdose di liquidità. A sole 48 ore dalla sconfitta Obama prende il volo per l´Asia dove lo attenderà un G20: chissà mai che il resto del mondo possa dargli una mano.
 

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