SCIOCCHEZZE, direte, ne diciamo tutti. Perché non dovrebbe dirne un ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca? Infatti: ma quando l’ho sentita dichiarare a un boschetto di microfoni che “vedere gli studenti e i giovani manifestare insieme ai pensionati mi fa uno strano effetto”, non credevo ai miei orecchi. Un paradosso, secondo la signora Gelmini: un’assurdità . (Veniva in mente – vergogna: ormai ci vengono subito in mente queste malignità da Mrs.Dibble – un uomo ben oltre l’età delle pensioni e una ragazza minorenne, e un intero governo che trovava la cosa naturalissima). Quale esasperazione può spingere un ministro, sia pure dell’istruzione eccetera, a scivolare dall’accusa spericolata agli studenti di fare comunella coi baroni a quella di sfilare al fianco dei pensionati?
SCIOCCHEZZE, direte, ne diciamo tutti. Perché non dovrebbe dirne un ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca? Infatti: ma quando l’ho sentita dichiarare a un boschetto di microfoni che “vedere gli studenti e i giovani manifestare insieme ai pensionati mi fa uno strano effetto”, non credevo ai miei orecchi. Un paradosso, secondo la signora Gelmini: un’assurdità . (Veniva in mente – vergogna: ormai ci vengono subito in mente queste malignità da Mrs.Dibble – un uomo ben oltre l’età delle pensioni e una ragazza minorenne, e un intero governo che trovava la cosa naturalissima). Quale esasperazione può spingere un ministro, sia pure dell’istruzione eccetera, a scivolare dall’accusa spericolata agli studenti di fare comunella coi baroni a quella di sfilare al fianco dei pensionati?
Cento anni fa la città di Oslo, che allora si chiamava Christiania, indisse un concorso di pittura per le vaste pareti dell´aula magna della sua università. Fra i progetti presentati, prevalse, dopo una serie di selezioni, quello del trentenne Edvard Munch, che ci lavorò per sette anni. Il quadro più grande – un olio su tela di 4,5 metri per quasi 12 – raffigura la Storia. C´è una platea di mare e roccia e una quercia secolare, e in quel “paesaggio remoto impregnato del senso della storia siede un vecchio, uno che ha lottato e si è battuto per aprirsi la strada nella vita. Ora riposa con la sua scia di ricordi e racconta storie a un bambino che ascolta incantato” (sono le parole di Munch). Un´università è il luogo per eccellenza della trasmissione del sapere tra le generazioni. Nel dipinto colui che racconta è un vecchio, quello che ascolta un bambino – un nonno e un nipote, piuttosto che un padre e un figlio. (Sulla parete di fronte, intitolata “Alma mater”, una madre allatta il suo piccolo, mentre altri bambini giocano). Il vecchio con la lunga barba bianca la casacca le scarpe grosse e i calzoni rattoppati occupa l´aula magna ma non è un barone, è un pescatore, un uomo dei fiordi a riposo.
Le turbolenze della nostra demografia hanno messo in disordine la nostra immaginazione civile. Hanno distorto vanitosamente la parola “giovane”, facendole designare un´età indefinibile (tutte le età, nella nostra longevità, vogliono diventare indefinibili) fra i 45 e i sessant´anni, e non hanno trovato parole nuove per l´età in cui si immagina di nuovo il mondo, i giovani di 16 anni o di ventidue, e dunque li hanno semplicemente messi da parte. Salvo sfotterli, per invidia, i bamboccioni. E i baroni accademici, qualunque età anagrafica abbiano, sono di mezza età per definizione, come si è mezzo di tutto, mezzo vivi e mezzo morti. Studiosi che si sono impegnati a disegnare un cambiamento nella distribuzione della povertà in favore dei giovani, hanno auspicato che questo cambiamento avvenisse grazie a un lungimirante riformismo di gente adulta. Preferirei puntare su un´alleanza di vecchi e giovani, quelli che pensano al futuro. E forse sono ottimista, ma il “movimento” è il luogo in cui più seriamente si superano le divisioni fra i “figli di qualcuno” e i “figli di nessuno”. Provvisoriamente, certo, perché domani i figli di notai ridiventeranno notai: ma intanto…
C´è una buona base materiale: il risparmio a carico dei più anziani per il prolungamento dell´età lavorativa non è andato ai più giovani ma ai più furbi. La gerontocrazia c´è, ma riguarda una minoranza di ruoli e di vecchi, mentre la gran parte dei loro coetanei è fuori gioco quanto i ragazzi. Si riconosce il ruolo delle famiglie nella resistenza alla crisi, ma una parte essenziale la giocano i nonni, ed è con la loro pensione che si pagano motorini e telefonini e carriere scolastiche e attese senza speranza. Sempre meno, certo, perché si assottigliano i ranghi dei pensionati e il potere d´acquisto delle loro pensioni, e si impiccioliscono le famiglie. Ma di fronte a una perdita di un milione di posti di lavoro in due anni e a una riduzione del 9 per cento del reddito pro capite dei lavoratori dipendenti, i nonni sono ancora gli unici ammortizzatori sociali certi, benché la pressione fiscale abbia ridotto anche il valore reale delle pensioni.
Ai sindacati, e soprattutto, guardacaso, alla Cgil, si è rinfacciato di essere organizzazioni residuali e di privilegiati, “garantiti”, gli operai della grande industria e i pensionati, e intanto gli operai sono ributtati indietro fino agli inizi del movimento dei lavoratori e i pensionati, soprattutto le donne, fino a vergognarsi della propria povertà. E´ sembrato che si dovesse scegliere fra vecchi e giovani: ed è vero che, a lasciare che le cose vadano giù per la china, ai giovani di oggi spetta un debito ereditario e un futuro senza pensioni. C´è da meravigliarsi se ai ragazzi che si rimettono in strada assieme venga voglia di affiancarsi ai vecchi “che hanno lottato e si sono aperti una strada nella vita”, e se a quei vecchi si apra il cuore? I giovani che si sono messi in moto – lo fanno ogni anno, e ogni anno sembra che sia la volta buona, ma prima o poi lo sarà davvero – non sono soprattutto in pensiero per la loro dubbia pensione, e nemmeno soltanto per il merito della cosiddetta riforma Gelmini: hanno altre ragioni, all´ingrosso e al dettaglio. Ma è vero che i giovani (quelli che hanno davvero 17 anni o 25, e vogliono esistere, non solamente come chi non è più qualcosa e non è ancora qualcos´altro) sono oggi, per così dire, sindacalizzabili in quanto tali. Si è giovani oggi non solo per una passeggera condizione anagrafica: per una condizione sociale. E il paradosso supposto di cui si è abusato per sfottere il sindacato – ridotto a “tesserare i pensionati”, cioè dei supposti non – lavoratori – cambia faccia, quando accosta chi non è più lavoratore perché è vecchio a chi non lo sarà più perché è giovane; se non nei mille casi derisori in cui si declina la precarietà.
Morale: è bellissimo che gli studenti siano entrati nel corteo coi pensionati, e che questo sia avvenuto in una piazza in cui nessuno ha contato quanti erano, perché erano tanti, e che a salutarli dal palco ci fosse una signora cui piace che il mondo sia più femminile, più misto, e meno stirato dalla perenne mezza età uguale per tutti.
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