Guerra delle monete, la tregua è armata

Si chiude con un nulla di fatto il summit coreano. Nessun impegno preciso sugli squilibri commerciali e finanziari né sullo scontro sulle valute. A farla da padrone sono Stati uniti e Cina. Il G20 si avvia a diventare un’altra passerella per capi di stato e di governo. Mentre la crisi brucia. Soprattutto in Europa

Nella notte di giovedì il braccio di ferro tra gli sherpa è continuato fino alle quattro, al punto di dover telefonare ai piani alti degli hotel cinque stelle di Seoul dove dormivano i principali leader del G20. Ma l’accordo vero non c’è stato, come previsto. Il testo licenziato non ha convinto. Di fatto i paesi del G20 si impegnano a monitorarsi da soli sui propri squilibri commerciali e finanziari e quindi riferire ai partner. Un gruppo di lavoro cercherà  nel frattempo di definire linee guida indicative per valutare collegialmente la situazione. Una volta pronte le linee guida, il Fondo monetario internazionale le testerà  e raccomanderà  alcune soluzioni entro la metà  del 2011. Un bizantinismo che certifica la mancata decisione sulla scottante materia.

Si chiude con un nulla di fatto il summit coreano. Nessun impegno preciso sugli squilibri commerciali e finanziari né sullo scontro sulle valute. A farla da padrone sono Stati uniti e Cina. Il G20 si avvia a diventare un’altra passerella per capi di stato e di governo. Mentre la crisi brucia. Soprattutto in Europa

Nella notte di giovedì il braccio di ferro tra gli sherpa è continuato fino alle quattro, al punto di dover telefonare ai piani alti degli hotel cinque stelle di Seoul dove dormivano i principali leader del G20. Ma l’accordo vero non c’è stato, come previsto. Il testo licenziato non ha convinto. Di fatto i paesi del G20 si impegnano a monitorarsi da soli sui propri squilibri commerciali e finanziari e quindi riferire ai partner. Un gruppo di lavoro cercherà  nel frattempo di definire linee guida indicative per valutare collegialmente la situazione. Una volta pronte le linee guida, il Fondo monetario internazionale le testerà  e raccomanderà  alcune soluzioni entro la metà  del 2011. Un bizantinismo che certifica la mancata decisione sulla scottante materia. Allo stesso tempo si dichiara che i tassi di cambio dovranno essere determinati dai mercati, l’ennesima illusione che il G20 vende per dire di aver scongiurato guerre monetarie. Però concede alla Cina e agli emergenti di poter mettere in campo politiche monetarie macro-prudenziali in situazioni particolari. Contemporaneamente si confermano le reti di sicurezza finanziarie internazionali messe in piedi con la crisi, espandendole su scala regionale e a livello di Fondo monetario. Nonché si ripete che gli interventi nazionali straordinari saranno ritirati contemporaneamente per evitare distorsioni del mercato.
Proprio perché tante azioni sono demandate al Fondo monetario internazionale, il G20 vende la magra riforma del sistema di governo dell’istituzione come un successo storico. Peccato che del sei per cento di quote di voto riallocate ai paesi emergenti, la metà venga da quelli più poveri, e che di conseguenza il Nord del mondo mantenga la maggioranza. Comunque il processo di ulteriore riforma continuerà nei prossimi anni. Per la serie: anche la guerra nelle stanze di Washington non finisce mai.
Allo stesso tempo il G20 si auspica che il ciclo negoziale di Doha alla Wto riparta e si chiuda finalmente entro il 2011, a dieci anni dal suo inizio. Le liberalizzazioni commerciali e degli investimenti sono caldamente raccomandate ai paesi più poveri. Come se gli squilibri del commercio mondiale non fossero alla radice degli squilibri da risolvere urgentemente.
Per non dimenticarsi proprio dei più poveri, a Seoul è stato lanciato il nuovo «Consenso sullo sviluppo», che, capite le lezioni del fallimento del consenso neoliberista di Washington, propone ai Paesi meno sviluppati nuove politiche: investimenti esteri per le infrastrutture a tutto campo, trasferimento di tecnologie – proprietarie – e quindi impegni per la sicurezza alimentare, con eventuali analisi da affidare alla Banca mondiale. Qualcosa di già ascoltato tante volte. Infine si lancia un’iniziativa per l’inclusione finanziaria globale, in breve come far arrivare prestiti agli indigenti e le piccole e medie imprese. «Dobbiamo investire nello sviluppo dei paesi poveri, perché questi saranno i nuovi mercati di cui abbiamo bisogno», per sintetizzare le parole di Barack Obama al termine del vertice. Insomma, la crescita come unico motore dello sviluppo, se per risollevare le stanche economie dei paesi avanzati ancora meglio.
L’unico vero accordo è arrivato sulle banche: passa «Basilea 3» con i nuovi criteri di accantonamento per le banche e i principi per definire ulteriori vincoli per i conglomerati finanziari globali troppo grandi da essere lasciati fallire. Rimane ancora lunga però la lista di regole da definire per tutti gli altri mercati e prodotti finanziari, inclusi i famigerati prodotti derivati con cui gli speculatori e gli istituti di credito continuano a far extra profitti. Il G20 rassicura i contribuenti che così non pagheranno più per salvare le grandi banche. Ma non fa tempo a dirlo che si diffondono velocemente i timori che l’Irlanda non ce la possa fare a superare la buriana che la ha investita. L’isola di smeraldo potrebbe quindi aver bisogno di soldi pubblici europei. La crisi continua.

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