Governanti e giudici, il caso non è chiuso

In questa lunga fase dell’era berlusconiana – che si spera non uguagli in durata il fatidico ventennio – ci siamo logorati in una strenua lotta di resistenza per la salvaguardia della Costituzione repubblicana e dei suoi principi fondamentali e, in particolare, di quello che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. I tentativi del Cavaliere di togliersi dai guai giudiziari con lodi e scudi, oltre a minare questo principio tendono alla scomposizione dei poteri dello stato e della loro autonomia, iniziando dall’affievolimento del ruolo di garanzia delle varie magistrature da rendere ancillari e funzionali all’esercizio del potere politico, specie quando questo infrange le regole, costituzionali, penali o amministrative che siano.

In questa lunga fase dell’era berlusconiana – che si spera non uguagli in durata il fatidico ventennio – ci siamo logorati in una strenua lotta di resistenza per la salvaguardia della Costituzione repubblicana e dei suoi principi fondamentali e, in particolare, di quello che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. I tentativi del Cavaliere di togliersi dai guai giudiziari con lodi e scudi, oltre a minare questo principio tendono alla scomposizione dei poteri dello stato e della loro autonomia, iniziando dall’affievolimento del ruolo di garanzia delle varie magistrature da rendere ancillari e funzionali all’esercizio del potere politico, specie quando questo infrange le regole, costituzionali, penali o amministrative che siano. Il sogno di un ordine giudiziario sottoposto all’esecutivo, formalmente (come nel ventennio fascista) o sostanzialmente (come per alcuni decenni dopo l’avvento della Repubblica), viene rincorso con tenacia e se non si è ancora avverato lo si deve principalmente al baluardo posto dalla Costituzione e dai suoi difensori, a partire dal popolo sovrano e passando per il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale e la stragrande maggioranza dei giudici.
È una resistenza fatta di grandi momenti, come la schiacciante vittoria dei no nel referendum confermativo dello stravolgimento costituzionale abborracciato dai «saggi» berlusconiani o le ripetute dichiarazioni di incostituzionalità delle varie leggi ad personam, ma anche di piccoli episodi che si consumano con atti o interventi giudiziari non meno importanti che andrebbero difesi con la stessa fermezza dato che quello dell’uguaglianza, proprio perché è un «principio», non tollera eccezioni.
Il caso della minorenne Ruby, accusata di furto, rilasciata e consegnata dalla questura di Milano non ad una struttura pubblica o ad essa equiparata, ma ad una intermediaria della presidenza del Consiglio con l’asserito avallo del sostituto di turno della procura dei minori, aveva destato nei più notevoli perplessità di forma e di sostanza, rafforzate dalle dichiarazioni del ministro dell’interno e del procuratore capo di Milano. Non stupiva che la qualifica di «nipote di Mubarak», attribuita alla minore, avesse potuto impressionare la polizia, ma rattristava che il nepotismo fosse stato determinante anche per la decisione di una pm. Ora sappiamo che non è andata proprio così come l’ha raccontata Maroni e che, anzi, ad onore della professionalità e anche della cultura della magistratura italiana, è andata diversamente. Annamaria Fiorillo, la pm interessata, ha dichiarato di aver disposto l’invio di Ruby in una comunità e ha smentito il suo consenso per quel rilascio irrituale, precisando anche di non aver creduto alla favola egiziana e di aver detto alla polizia: se la ragazza è la nipote di Mubarak, io sono la regina Nefertiti!
Nel caso Ruby ora si intrecciano due problemi dai quali siamo partiti in premessa. Primo, quello dell’uguaglianza, non tanto di Ruby nei confronti degli altri minori che vengono fermati come lei, ma diversamente da lei non vengono rilasciati tanto facilmente, quanto del presidente del consiglio che, diversamente dagli altri cittadini, può alzare il telefono e far rilasciare un fermato con riconsegna ad una sua incaricata. Secondo, quello del rapporto tra l’esecutivo (questura – Berlusconi – Maroni) e il giudiziario, dovendosi ritenere che, nel caso specifico, la polizia non avesse nessun potere autonomo su Ruby, ma dovesse attenersi alle disposizioni della pm di turno che, interpellata con urgenza per telefono, le aveva date con lo stesso mezzo, come usualmente si fa.
Se dovessero passare per buoni la richiesta di rilascio avanzata da Berlusconi, il comportamento della polizia e il racconto di Maroni, si consumerebbe una grave violazione del principio di uguaglianza e avemmo una riaffermazione della preminenza dell’esecutivo sul giudiziario. Corollario: l’archiviazione del caso non regge anche perché mette un sigillo di legittimità ad una rottura della legalità costituzionale.

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