Feltrinelli. “La vita, i libri, giangiacomo e il mistero della sua fine”

Il 14 marzo 1972 ci dovevamo vedere a Lugano. Alle tre non era arrivato e ripartii. Il giorno dopo vidi la foto di un morto sul giornale: sapevo che era lui. Anticipiamo alcuni brani tratti dal dvd che raccoglie un’intervista sulla sua storia, dall’infanzia in Germania all’Italia 

Il 14 marzo 1972 ci dovevamo vedere a Lugano. Alle tre non era arrivato e ripartii. Il giorno dopo vidi la foto di un morto sul giornale: sapevo che era lui. Anticipiamo alcuni brani tratti dal dvd che raccoglie un’intervista sulla sua storia, dall’infanzia in Germania all’Italia  Anticipiamo alcuni brani dell´intervista di Simonetta Fiori a tratti dal dvd di Luca Scarzella

Mio padre ebreo
Il mio ricordo più tragico è la Notte dei Cristalli, quando i nazisti bruciarono le sinagoghe. Sento ancora l´odore della carta bruciata e del legno, e ancora vedo le rovine fumanti della mattina dopo. Un´emozione molto forte, anche l´unica immagine di mio padre in Germania. Per fortuna riuscì a partire presto perché altrimenti l´avrebbero ammazzato. Fu lui a dire a mia madre che, per il nostro bene, sarebbe stato meglio divorziare e non avere più il nome Schoental. La cosa più importante era cancellare il cognome ebreo. Io avrei potuto avere lo stesso destino di Anna Frank.
Volevo essere internazionale
A 18 anni non riuscivo a studiare, volevo lasciare Goettingen. Era tutto miserabile e io inseguivo il sogno dell´America. Chiamai mio padre, che nel frattempo era diventato cittadino statunitense. Gli dissi che volevo raggiungerlo, ed ero disposta a lavorare pur di mantenermi agli studi. Lui mi rispose di no. Si era risposato con una donna di Hannover, e questa signora non mi voleva. «Va bene, ho capito». In fondo oggi sono molto felice di non essere andata a vivere in America. Però all´epoca volevo essere internazionale. Arrivai ad Amburgo in bicicletta, e dopo poche settimane incontrai il fondatore dello Spiegel, Alex Springer, zar dell´editoria. (…) A vent´anni conoscevo già il mondo».
14 luglio 1958, l´incontro
Abbiamo sempre festeggiato l´anniversario della Rivoluzione Francese, un giorno per noi molto importante. Ero arrivata ad Amburgo dal Ghana e chiamai il mio amico Rowohlt (ndr uno dei più grandi editori europei). Ledig mi accolse con entusiasmo, proprio quella sera aveva organizzato un ricevimento per l´editore de Il dottor Zivago. Arrivai alla festa un po´ tardi e notai in disparte un uomo con i baffi, completamente solo. Era Giangiacomo Feltrinelli. Gli dissi che sapevo tutto di lui perché avevo fotografato sua madre al ballo del Duca di Windsor. Ma mi accorsi subito di aver fatto una gaffe: la sua faccia era diventata grigia. Mi raccontò che stava andando a Helsinki, Oslo e Stoccolma per incontrare tutti gli editori di Pasternak, poi avrebbe proseguito per il Polo Nord con la tenda. «Interessante», pensai. Fummo gli ultimi ospiti a lasciare la festa, e io gli offrii un passaggio in macchina. Alloggiava al Quattro Stagioni, l´albergo più bello di Amburgo, affacciato sul lago Edersee. Di fronte allo specchio d´acqua c´era una panchina. Ci sedemmo e parlammo fino al mattino seguente. Cominciò tutto così.
Brecht vestito di seta
Milano era una città speciale. A una prima di Brecht, arrivavano i critici da Berlino. Andai con Max Frisch a una prova del Galileo diretto da Strehler e davanti a tutto quello sfarzo, a quel cuoio ricamato e alla seta pregiata, Max non si trattenne: «Brecht si sarebbe rivoltato nella tomba».
Romanticismo tragico
Giangiacomo era schivo, anche un po´ timido. Molto sospettoso, certo non allegro. Però aveva un senso dell´umorismo pungente e raffinato. Il suo romanticismo conteneva sempre un elemento di tragicità, secondo la grande tradizione tedesca. Negli ultimi tempi, poco prima della sua morte, lo affascinava lo studio del romanticismo, un pensiero molto complesso che sfocia nella tristezza e nella malinconia. Tutti i romantici tedeschi, da Kleist a Hoelderlin, erano grandi figure tragiche. (…) Era un homo novus, come disse Kurt Wolff. Era un moderno imprenditore di cultura, non soltanto un editore. Non si accontentava di fare una cosa sola, era ansioso di fare sempre di più. Voleva cambiare il mondo, e rimase prigioniero della sua utopia. Così facendo, purtroppo, ha sbagliato moltissimo.
L´ultimo appuntamento
Il 14 marzo (ndr 1972), alle 9, Carlo ed io avevamo un appuntamento con Giangiacomo, nella piazza principale di Lugano. Avevamo programmato di ripartire alle tre del pomeriggio, ma a quell´ora lui non era ancora arrivato. Ero sfinita. Mi sembrava impossibile. Ripartimmo per Milano perché Carlo aveva la partita alle cinque (…). Il mattino seguente aprii il Corriere della Sera. Non parlava di Giangiacomo, ma c´era la foto di un morto. Senza nome, nessuno sapeva chi fosse. Io capii immediatamente: era lui. (…) Non credo a nessuna versione ufficiale. Non mi lascio convincere da nessuno. Sarà uno dei tanti misteri italiani, dai Borgia in poi.
Le parole per Carlo
Il giorno dopo Carlo andò a scuola. La vita continua, non volevo traumatizzarlo ancora di più. La nonna Giannalisa insistette perché andasse in un collegio svizzero. Io invece lo mandai al Parini, a dieci minuti da casa nostra. Credo che per un bambino di quella età il vero dolore arrivi dopo. Aveva appena dieci anni.
Non sono un´intellettuale
Credo di avere la capacità di essere un buon catalizzatore tra le persone. Sono abbastanza intelligente e svelta, il mio background è ricco, soprattutto ho avuto molte opportunità nella vita. Ma non mi considero un´intellettuale. Non è necessario che un editore lo sia. Rowohlt annusava i libri e solo dopo tre pagine sapeva se andava bene. Il vecchio Knopf, quando un redattore gli presentava un libro dicendo che era «abbastanza buono», aveva l´abitudine di rispondere: «Lei mangerebbe mai un uovo abbastanza buono?».

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