ECHI di Eco

L’ultimo romanzo di Umberto Eco, Il cimitero di Praga, appena uscito da Bompiani, ruota intorno a un testo falso, «I protocolli dei Savi Anziani di Sion», che condensa in modo esemplare l’intera gamma delle violazioni possibili nei confronti della verità  storica. La materia è quella radioattiva dell’antisemitismo: da qui le accuse di ambiguità  all’autore, quasi a suggerire che certe scorie andrebbero maneggiate solo con le pinze asettiche dello storico e conservate in apposite teche

L’ultimo romanzo di Umberto Eco, Il cimitero di Praga, appena uscito da Bompiani, ruota intorno a un testo falso, «I protocolli dei Savi Anziani di Sion», che condensa in modo esemplare l’intera gamma delle violazioni possibili nei confronti della verità  storica. La materia è quella radioattiva dell’antisemitismo: da qui le accuse di ambiguità  all’autore, quasi a suggerire che certe scorie andrebbero maneggiate solo con le pinze asettiche dello storico e conservate in apposite teche In questo suo sesto romanzo, Il cimitero di Praga, Umberto Eco è riuscito, con la solita abilità, a immettere molti temi ripresi dai romanzi precedenti, alcuni temi nuovi, una quantità straordinaria di informazioni di disparata provenienza e a rendere il tutto leggibile per lettori appassionati o distratti, in un bel tomo di più di cinquecento pagine, che si presenta con i titoli e le illustrazioni tipici di un feuilleton ottocentesco. Le storie, i personaggi, le immagini provengono dai tanti libri che si allineano negli altissimi scaffali della sua biblioteca e da documenti, stampe, e rarità tenuti in teche preziose in casa a Milano o a San Marino, negli uffici della Scuola superiore a Bologna o negli archivi del computer, o ancora da quell’immensa giungla di notizie sbalorditive, curiosità, pregiudizi e luoghi comuni che si trovano in rete.
In un intrico di rimandi
Dai romanzi precedenti e dai tanti suoi saggi vengono il tema delle dispute teologiche sempre sull’orlo dell’eresia (Il nome della rosa), della cospirazione, dell’occultismo e delle trame segrete (Il pendolo di Foucault), dell’intreccio fra vicende personali e vicende storiche, dispute filosofiche e avventure (Baudolino), dello sdoppiamento della personalità (L’isola del giorno prima), degli scarti fra memoria e oblio (La misteriosa fiamma). Dai grandi modelli della letteratura popolare, da Sue, Dumas e seguaci, viene il gusto per i personaggi che impersonano, in pochi tratti a tinte forti, il bene e il male: sullo sfondo scene di gruppo come nelle litografie di Daumier (Il superuomo di massa). Perfino dall’antologia einaudiana dedicata alla nebbia derivano descrizioni di paesaggi invernali a Parigi («un confortevole mantello di nebbia») e immagini metaforiche («sento tutto come si svolgesse nella nebbia»). Dalla rete e dai sistemi di classificazione e gerarchizzazione (spesso arbitraria) della realtà, deriva la rappresentazione di situazioni pulviscolari, frammentate, apparentemente ingovernabili che devono comunque essere riportate a un qualche ordine logico, o falsamente tale (Vertigine della lista). E se è quasi inevitabile che molti di noi, navigando in rete, rischino di perdere la bussola e di accumulare materiali incoerenti, Eco sembra possedere una sua suprema capacità di mettere ordine nella congerie di fatti, documenti falsi, dubbie testimonianze, situazioni oscure, personaggi più o meno attendibili. 
A una vicenda, che si svolge fra la Torino città d’origine del capitano Simonini, il protagonista falsario e spia, la Sicilia della spedizione dei Mille e le viuzze di Parigi attorno alla place Maubert nel Quartiere latino, Eco riesce a dare uno svolgimento governato dalle regole intricate del feuilleton, basandosi sui diari scritti dal protagonista e dal suo doppio l’abate Della Piccola, e affidando il ruolo di mediazione e messa in ordine delle vicende a un narratore esterno. 
Questa volta temi, personaggi e intrecci sono sottoposti a un procedimento di estremizzazione e esasperazione. Forse è la reazione di un Eco che resta fedele ai suoi ideali illuministici e razionalistici, ma che vive, come molti di noi, uno stato di scoramento di fronte ai continui rigurgiti di ideologie semplicistiche e rigide, pretese di possesso assoluto della verità, fondamentalismi vari e movimenti oscurantisti. Ha scelto, per l’occasione, un personaggio decisamente sgradevole, addirittura ripugnante. È l’unico veramente inventato del libro, provenendo tutti gli altri dagli angoli più tenebrosi della storia, o anche da quelli luminosi, dopo avere subito una profonda deformazione nella mente distorta del diarista: sono Ippolito Nievo, Garibaldi, Dumas, il dottor Freud divenuto Froïde, Marx divenuto Marsh e tanti altri. Il personaggio si guarda a volte da dentro, a volte da fuori, come il Conte di Montecristo di Calvino, altre volte, per penetrare nelle zone più oscure della sua memoria e coscienza di sé, usa le diffrazioni del suo alter ego, cinico e assassino come lui, più di lui. 
A un certo punto il diarista, parlando con un suo interlocutore poco raccomandabile a proposito di un altro personaggio poco raccomandabile, prete spretato divenuto monaco ortodosso, pedofilo, persecutore degli ebrei pronto a vendersi agli ebrei, commenta: «Mi è stato detto che i grandi narratori si descrivono sempre nei loro personaggi». Difficile pensare che ci possa essere il minimo rapporto di simpatia o affinità fra il narratore di Eco e questo suo orrendo personaggio. Tutto lo allontana da lui: le inclinazioni sessuali (misantropia accompagnata da impotenza e orrore del contatto carnale di qualsiasi tipo), dipendenza da ogni pregiudizio e stereotipo culturale accompagnata dalla dichiarazione «io non ho pregiudizi», cinismo totale, immaturità psicologica e ideologica che lo ha spinto a tradire la memoria del padre, mazziniano e idealista caduto nella difesa di Roma repubblicana, e a recuperare quella di un nonno reazionario follemente antisemita. 
Dai piaceri della cucina 
L’unico aspetto che forse può fare pensare a un minimo di complicità è la tendenza nel personaggio, chiaramente sostituiva di altri piaceri, a coltivare quelli della buona cucina e a frequentare i più seducenti ristoranti di Parigi. Si tratta, mi pare, di un tema nuovo in Eco, che non si risparmia questa volta di darci il menù di ogni pasto e illustrarci i procedimenti di preparazione dei cibi. È solo un’occasione per fare altre liste e tirar fuori dagli archivi le ricette dei grandi libri di cucina e le descrizioni dei templi della gourmandise francese come in un TripAdivsor dell’Ottocento? O è un altro modo di mostrare le ossessioni del personaggio? Forse è un procedimento allegorico per rappresentare, sotto forma di eccesso, una malattia profonda delle nostre società democratiche, quella che Richard Hofstadter ha definito lo «stile paranoico» del nostro tempo, che si esprime attraverso congiure paventate, reali, ipotetiche, sovradeterminate, espresse da gruppi segreti come la Trilaterale e la P2, e inoltre servizi deviati, grandi corporazioni economiche e finanziarie, gruppi terroristici sfuggiti a ogni controllo e coerenza ideologica.

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