Dopo Lula, oltre Lula Le tre sfide di Dilma

IL BRASILE HA SCELTO – Il presidente ha fatto molto ma ha lasciato anche «debiti» alla neo-presidenta: le riforme politica, fiscale e agraria
Una differenza di 12 milioni di voti. Serra ne esce a pezzi non tanto per la sconfitta ma per «la sua campagna indecente». Fra astensioni, schede bianche e nulle quasi il 30%. Festa nelle città  brasiliane e perfino in Bulgaria. La vincitrice ringrazia Lula e si impegna a «sradicare la povertà ». Da ieri già  al lavoro come presidente-in-pectore

IL BRASILE HA SCELTO – Il presidente ha fatto molto ma ha lasciato anche «debiti» alla neo-presidenta: le riforme politica, fiscale e agraria
Una differenza di 12 milioni di voti. Serra ne esce a pezzi non tanto per la sconfitta ma per «la sua campagna indecente». Fra astensioni, schede bianche e nulle quasi il 30%. Festa nelle città  brasiliane e perfino in Bulgaria. La vincitrice ringrazia Lula e si impegna a «sradicare la povertà ». Da ieri già  al lavoro come presidente-in-pectore

RIO DE JANEIRO. Celebriamo con allegria la vittoria di Dilma Rousseff. E non rinunciamo a esultare per la sconfitta di José Serra, che non meritava di vincere visto il livello indecente della sua campagna, per quanto eccessi ci siano stati da entrambe le parti. Sia i vescovi conservatori che, ribellandosi alla posizione della Conferenza episcopale brasiliana, si sono posti fuori del gioco democratico e hanno manipolato la de-penalizzazione dell’aborto arrivando a mobilitare il papa a Roma, sia i pastori evangelici rabbiosamente politicizzati, masticano amaro.
Passata la festa, occorre ora una riflessione pacata su quelle che potrà essere il governo di Dilma. Siamo d’accordo con la tesi di quanti sostengono che nel governo Lula si è vista una transizione di paradigma: da uno Stato privatizzatore, ispirato ai dogmi del neo-liberismo, verso uno Stato di tutti i brasiliani che al suo centro ha messo il sociale per rispondere alla domanda dei settori della popolazione più spossessati. Ogni transizione implica una parte di continuità e una di rottura. La continuità è l’aver mantenuto il progetto macro-economico per offrire la base della stabilità politica ed esorcizzare i fantasmi del sistema. La rottura è l’avvio di sostanziali politiche sociali destinate all’integrazione di milioni di brasiliani poveri, ben rappresentate dalla «Borsa Famiglia». Non si può negare che, almeno in parte, questa transizione sia avvenuta dal momento che Lula è riuscito a includere socialmente in una condizione di decenza una fetta di Brasile popolata come l’intera Francia. Ma fin dall’inizio c’è stato chi ha puntato il dito sull’inadeguatezza fra il progetto economico e il progetto sociale. In quanto il primo riceve dallo Stato miliardi di reais all’anno, sotto forma di profitti, e il secondo deve accontentarsi di molto meno.
Adesso l’interrogativo è: la presidenta approfondirà la transizione, spostando l’accento sul lato sociale, ossia sulla maggioranza del paese, o manterrà l’equazione che garantisce il lato economico, obliquamente monetarista, con tutte le contraddizioni denunciate dai movimenti sociali e dalla miglior intellighenzia brasiliana?
Credo che Dilma abbia dato segnali di volersi inclinare sul lato sociale-popolare. Ma alcuni problemi nuovi, come il riscaldamento globale, devono essere affrontati immediatamente. Mi pare che la neo-presidenta abbia capito la rilevanza dell’agenda ambientalista introdotta dalla candidata Marina Silva. Il Pac, Progetto di accelerazione della crescita, deve assumere la nuova coscienza che sarebbe irresponsabile portare avanti opere che non tengono conto di questi dati. Per di più all’orizzone si annuncia una nuova crisi economica visto che gli Usa hanno deciso di esportare la loro crisi svalorizzando il dollaro, ciò che ci danneggerà molto.
Dilma Rousseff carettizzerà il suo governo con una propria identità se realizzerà con più forza l’agenda che è stata di Lula: l’etica e le riforme strutturali. L’etica sarà riscattata solo se ci sarà trasparenza totale nella pratica politica, senza più rispetto per la mercantilizzazione dei rapporti partitici (qualcuno ricorda il caso del «mensalão»?).
Le riforme strutturali sono il debito che il governo Lula ci ha lasciato. Non c’erano le condizioni, visto che mancava la base parlamentare per farle: quella politica, quella fiscale e quella agraria. Se vuole riscattare il profilo originario del Pt, Dilma dovrà realizzare una riforma politica. Sarà difficile, per via degli interessi corporativi dei partiti, in gran parte svuotati di ideologia e famelici di benefici. La riforma fiscale dovrà fissare un minimo di equità fra i contribuenti, visto che finora risparmiava i ricchi e castigava i salariati. La riforma agraria non si esaurisce solo con gli insediamenti sulle terre. Deve essere integrale e popolare portando la democrazia nella campagne e alleggerendo la «favelizzazione» delle città.
Ritengo che la cosa più importante sia il salto di coscienza che la presidenta deve fare, nel caso voglia prendere sul serio gli effetti funesti e perfino letali della nuova situazione della Terra, in crisi socio-ecologica. Il Brasile sarà un paese-chiave in quanto racchiude i principali fattori ambientali in grado di riequilibrare il sistema-Terra. Potrà essere la prima potenza mondiale ai tropici, non imperiale ma cordiale e corresponsabile del destino comune. Questo pacchetto di problemi costituisce la sfida più pesante per la neo-presidenta. Ha la competenza e il coraggio per esserne all’altezza.
*Teologo e scrittore brasiliano
**©Carta maior-il manifesto

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