Dal no all’ergastolo a Carlo Giuliani, un garantista doc

PISAPIA. IL PROFILO POLITICO
Doveva essere il ministro della giustizia del governo dell’Unione, nel 2006. E invece no, un po’ perché Bertinotti ottenne la presidenza della camera, un po’ perché Prodi ascoltò l’Anm: le toghe preferivano chiunque altro. Anche Mastella. Sportivamente, Giuliano Pisapia accettò l’incarico del ministro democristiano di presiedere la commissione di riforma del codice penale. Ne venne fuori una proposta tanto bella – depenalizzazioni, pene alternative – quanto impossibile per un governo nato mezzo morto. A Mastella venne un colpo quando lesse dell’abolizione dell’ergastolo.

PISAPIA. IL PROFILO POLITICO
Doveva essere il ministro della giustizia del governo dell’Unione, nel 2006. E invece no, un po’ perché Bertinotti ottenne la presidenza della camera, un po’ perché Prodi ascoltò l’Anm: le toghe preferivano chiunque altro. Anche Mastella. Sportivamente, Giuliano Pisapia accettò l’incarico del ministro democristiano di presiedere la commissione di riforma del codice penale. Ne venne fuori una proposta tanto bella – depenalizzazioni, pene alternative – quanto impossibile per un governo nato mezzo morto. A Mastella venne un colpo quando lesse dell’abolizione dell’ergastolo.
Proposte del genere Pisapia ne ha fatte tante nella sua carriera “politica”, cominciata nel 1996 quando si presentò con il Prc a Milano, contro Bossi e Berlusconi. Indulti, amnistie, legalizzazione delle droghe leggere e persino quella di dare ai figli il cognome della madre. E alla moglie non più quello del marito: in parlamento fu considerata poco più che una provocazione. Estremista del garantismo, nelle scelte politiche generali Pisapia è sempre stato molto accorto, quasi moderato: quando si candidò per la prima volta in parlamento, da indipendente, precisò di non volerlo fare in opposizione ai candidati del Pds. E quando due anni dopo Bertinotti scelse di rompere con Prodi, Pisapia lo smentì confermando la sua fiducia al professore, ma un attimo dopo si dimise da presidente della commissione giustizia e rifiutò di seguire Cossutta nel Pdci.
Per uno attento alle garanzie come lui, debuttare in parlamento sull’onda di Mani pulite non fu facile. Cominciò a litigare con il pool di Milano piuttosto presto, accusando i magistrati di interferenze politiche e di uso disinvolto della carcerazione preventiva. Quando si trattò di modificare l’art. 513 del codice di procedura penale, Pisapia finì in una polemica al giorno con il pool e con la procura antimafia di Palermo. Da notare che l’autore originario di quel codice era stato suo padre, Giandomenico Pisapia. Negli anni in cui Berlusconi aveva già cambiato idea e andava all’assalto della procura di Milano, il candidato a sindaco del centrosinistra è stato per la sua parte politica l’unico avversario della procura della sua città. Almeno fino quando, nel 1998, Gherardo Colombo stroncò la bicamerale «frutto del ricatto».
Stando così le cose non è stato insolito per Pisapia ritrovarsi con i complimenti e gli apprezzamenti imbarazzanti dei berlusconiani. Una volta il cavaliere accettò di fare propria una sua proposta (per risolvere l’incompatibilità tra gip e gup stabilita dalla Consulta), a memoria un caso unico per Berlusconi. Che pure in Pisapia, a ben vedere, ha trovato il suo avversario peggiore, non in parlamento ma in tribunale visto che da avvocato di Carlo de Benedetti ha ottenuto la condanna in primo grado della Fininvest a un risarcimento di 750 milioni per il Lodo Mondadori. Eppure non si contano le volte in cui i fan del cavaliere hanno fatto i complimenti all’avvocato, citandolo per giustificare i più spregiudicati tentativi di leggi personali. Applausi e complimenti interessati gli sono giunti anche dalla difesa di Andreotti e dal presidente della provincia di Palermo Musotto per tutte le volte che ha ricordato che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è un’invenzione della giurisprudenza. Fino al punto in cui giunsero a chiedergli di votare in favore di Previti quando la camera doveva autorizzarne l’arresto. Al contrario Pisapia votò per accogliere la richiesta dei magistrati, ma «con sofferenza». Cosa che gli valse immediate accuse di conflitto di interessi, in quanto parlamentare e avvocato della parte civile nei processi Sme e Lodo Mondadori, argomento più sostenibile se non fosse stato proposto dagli avvocati deputati Ghedini e Pecorella. Avvocato e deputato Pisapia lo è stato anche dopo le violenze del G8, da difensore della famiglia di Carlo Giuliani e sostenitore della commissione parlamentare d’inchiesta su Genova.
Alla vigilia delle elezioni del 2006, quando tutto il centrosinistra prometteva che avrebbe cancellato le leggi sulla giustizia di Berlusconi, spiegò che il nuovo governo non avrebbe dovuto perdere tempo con il passato, e che meglio sarebbe stata una moratoria per sospendere le cose peggiori e dedicarsi a una riforma generale del settore. Una dichiarazione che scosse la fragile Unione e forse gli costò anch’essa la poltrona ministeriale. Fatto sta che leggi come la Cirielli non furono né sospese né cancellate. E che adesso, da candidato sindaco, gli toccherà cercare anche il voto di Antonio Di Pietro, lui che quando l’ex pm fu candidato da D’Alema nel Mugello così commentò: «Ognuno ha i senatori che merita».

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