Cgil, allarme precari: «State attenti ai 60 giorni»

COLLEGATO LAVORO.Tempi strettissimi per le cause

Non solo arbitrato, certificazione, apprendistato a 15 anni e altri «mostri». La legge «brucia-diritti», il Collegato lavoro promulgato la settimana scorsa dal presidente della Repubblica, contiene purtroppo un’altra «chicca»: limita a 60 giorni il periodo in cui è possibile fare causa a un’impresa dopo la fine di un contratto temporaneo che si ritiene irregolare.

COLLEGATO LAVORO.Tempi strettissimi per le cause

Non solo arbitrato, certificazione, apprendistato a 15 anni e altri «mostri». La legge «brucia-diritti», il Collegato lavoro promulgato la settimana scorsa dal presidente della Repubblica, contiene purtroppo un’altra «chicca»: limita a 60 giorni il periodo in cui è possibile fare causa a un’impresa dopo la fine di un contratto temporaneo che si ritiene irregolare. Una mannaia che si abbatte sui precari – l’ennesima – e su cui la Cgil ha avviato una campagna di sensibilizzazione e informazione, dato che purtroppo le nuove regole mettono improvvisamente in una condizione di urgenza tantissimi lavoratori.
Il Collegato (all’articolo 32) parifica sostanzialmente la fine di un contratto a un licenziamento: così se fino a oggi si potevano aspettare 5 anni prima che intervenisse la prescrizione, avendo tempo per riflettere sull’opportunità di fare causa, e potendo raccogliere il materiale, dal 24 novembre in poi (data di entrata in vigore della legge) ci saranno solo 60 giorni per l’impugnativa generica (e successivamente ulteriori 270 per accedere alla causa con il materiale di prova, come appunto funziona per i licenziamenti). Ma la fine di un contratto, e il licenziamento, sono due cose ben diverse: e questo i lavoratori precari lo sanno.
«Se sei precario, e sei cosciente che qualcosa nel tuo contratto non funziona – spiega il segretario confederale Cgil Fulvio Fammoni – comunque aspetti diversi mesi prima di intentare una eventuale causa, perché magari preferisci attendere un possibile rinnovo, forse pure ottenuto a diverse condizioni. Con la nuova legge, invece, il governo ti mette di fronte a una sorta di ricatto: o fai subito causa, e hai chiuso di fatto con quell’azienda, oppure lasci trascorrere i due mesi, aspettando il rinnovo, ma ti precludi la possibilità di ricorrere al giudice». 
La si può leggere da un lato come una enorme «sanatoria», un favore alle imprese, che sia per la scarsa informazione (molti lasceranno passare i 60 giorni senza avere mai neppure saputo che i termini di legge sono cambiati) che per la debolezza dei precari, si vedranno regalata la possibilità di farla franca dopo tanti anni di profitti maturati alle spalle dei loro dipendenti (o collaboratori) sfruttati. Ma dall’altro lato, avverte le Cgil, c’è invece il rischio che aumentino le cause: «Chi era indeciso – dice Fammoni – potrebbe essere spinto ad affrettare le cose, ed ecco che le aziende si potrebbero trovare di botto davanti a un aumento esponenziale del contenzioso». 
Ma non basta: la legge è pure retroattiva, e così dal 24 novembre scattano i 60 giorni anche per chi ha finito il suo contratto a inizio 2010, o chissà magari anche nel 2009, e pensava di avere ancora qualche anno per poter decidere se fare causa o meno. «E’ evidente che questo aspetto, insieme alla generale iniquità del provvedimento, espongono la norma sui 60 giorni, come tante altre del Collegato lavoro, a ricorsi per incostituzionalità – spiega Fammoni – La Cgil è pronta a offrire tutta l’assistenza legale necessaria ai lavoratori. Stiamo tentando una corsa contro il tempo per informare. Abbiamo fatto un appello al mondo dell’informazione, perché ci dia una mano; compreremo spazi radiofonici e aggiorneremo i nostri siti Internet; stiamo distribuendo volantini e manderemo una lettera a tutti i precari iscritti alla Cgil. Abbiamo anche scritto al ministro del Lavoro, perché sospenda questa norma: visto il carattere di urgenza potrebbe agire per decreto, ma Sacconi non ci ha mai risposto».
Anche la Fiom si sta muovendo: all’ultimo comitato centrale si è deciso uno sciopero di due ore contro il Collegato, mentre verrà messo a disposizione di tutti i lavoratori un modulo per l’impugnativa. Il problema non riguarda solo i contratti a termine, ma anche interinali, cocoprò, e tutte le figure del variegato mondo precario.
Abbiamo preso a esempio il caso di una associata in partecipazione della Poltronesofà di Bologna: commessa, sotto i 35 anni, ovviamente non possiamo citare le sue generalità per tutelarla. «Ho lavorato in un punto vendita per diversi mesi – spiega – tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, con la sola eccezione del lunedì e domenica mattina. Tra fisso e provvigioni arrivavo a 1400 euro lordi al mese, ma dato il contratto praticamente senza contributi né assicurazione. Prima avevo lavorato per due anni in un’altra azienda: ero cocoprò, ma anche in quel caso con orari fissi, un capo e mansioni precise. E prima ancora? In partita Iva, ma sempre per mascherare un rapporto di dipendenza. Adesso sono stanca, voglio i miei diritti. Per fortuna il Nidil Cgil mi ha informato dei 60 giorni, altrimenti li avrei lasciati trascorrere e tutte queste aziende la farebbero franca».

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