Cancàºn, il vertice dei mille serpenti

Comincia domani nella zona alberghiera del centro turistico messicano la conferenza sul clima convocata dall’Onu, a cui parteciperanno i rappresentanti di 194 governi. Città  blindata in attesa della grande manifestazione dei movimenti

Comincia domani nella zona alberghiera del centro turistico messicano la conferenza sul clima convocata dall’Onu, a cui parteciperanno i rappresentanti di 194 governi. Città  blindata in attesa della grande manifestazione dei movimenti

CANCÚN. In nomine omen. Cancún, la città turistica sulla costa nordest dello Yucatán, nello stato di Quintana Roo, che da domani ospiterà il vertice mondiale sulla crisi climatica indetto dall’Onu (Cop 16), in maya peninsulare vuol dire «nido di serpenti».
Nessun toponimico più appropriato per un centro balneare sorto su un ecocidio grazie a fiumi di narcodollari, rastrelliera di cemento sulla spiaggia dove vengono a ubriacarsi e a copulare in massa orde di teenagers gringos – i famosi springbreakers – per le loro vacanze trasgressive. Negli Stati uniti non si vende alcol ai minorenni, qui gli si vende di tutto e anche se lasciano gli hotel un po’ strapazzati è pur sempre un gran business. Tanto che le principali catene alberghiere mandano dei piazzisti fin dentro le high schools a promuovere i pacchetti «tutto compreso».
Si calcolano circa sei milioni di visitatori all’anno, la metà di tutti i turisti che vengono in Messico, e ognuno di loro lascia in media, secondo i dati ufficiali, un migliaio di dollari. Il conto è presto fatto. Certo, negli ultimi tempi «la serata è fiacca», come dice un personaggio di Edouard Bourdet: prima ci si è messa la febbre porcina e l’epidemia di Tamiflu, poi le notizie sulla brutalità dei narcos – sebbene tutte dal nord del paese – con tanto di decapitati, torturati e compagnia bella. La guerra al narcotraffico che imperversa da quattro anni per la cocciuta volontà di Felipe Calderón, (il quale ha appena rivelato a un notiziario della Cbs di essersi fatto costruire un bunker per ogni evenienza), non ha certo prodotto il clima rilassato che attrae il turismo.
Ora, per il doppio appuntamento – il vertice Onu che comincia domani con i delegati di 194 governi asserragliati nella zona hotelera alla ricerca di difficili accordi e il grandioso controvertice della società civile mondiale, che sarà presente con decine di migliaia di rappresentanti – chi vive del turismo tira un sospiro di sollievo. L’amministrazione cittadina ha concesso spazi importanti e facilità. Il governo di Calderón, sapendosi osservato dal villaggio globale, vorrà certamente fare bella figura. Se ci riuscirà, è tutto da vedere.
Intanto, domenica 14 a Playa del Carmen, a una cinquantina di chilometri da Cancún, una misteriosa esplosione in un hotel di lusso, il Princess Riviera Maya, ha ucciso sette persone – cinque turisti canadesi e due impiegati messicani – e ferito altre 18. Le autorità locali sono state un po’ troppo rapide nell’escludere un attentato e la versione sulle possibili cause «naturali» è già cambiata due volte in poche ore.
Nessun dépliant turistico vi dirà che dei 900mila abitanti di Cancún, un piccolo villaggio di pescatori trent’anni fa, meno dell’1% è originario del luogo. O che, per costruire la città negli anni ’80, si sono spianati coi bulldozer chilometri e chilometri di mangrovie distruggendo un habitat con una preziosa diversità biologica e togliendo un cuscino naturale ai forti uragani estivi.
Con il passaggio di Wilma, nel 2005, il mare si mangiò completamente le celebri spiagge di sabbia bianca di origine corallina e da allora è toccato «ricaricarle» con camionate di arena prese da posti in cui gli abitanti non sempre sono d’accordo. Sembra che si siano spesi più di 80 milioni di dollari in questa assurda e inquinante clessidra.
Un altro fatto poco publicizzato di Cancún è che il penultimo sindaco, Greg Sánchez, è stato arrestato nel maggio scorso per i suoi legami con la delinquenza organizzata: proteggeva almeno due cartelli della droga (la penisola dello Yucatán è un trampolino naturale verso le coste della Florida) e si occupava, nelle ore d’ufficio, della tratta di immigrati illegali, specialmente cubani, che legalizzava a caro prezzo. Sua moglie, la formosa doctora Niurka Sáliva, una cubana bionda naturale laureata in medicina, è stata a un passo dalla candidatura per il governo dello stato. E questo dopo l’arresto del suo Greg, come una specie di solidarietà corporativa.
Non manca il tocco noir. Quest’estate, fra maggio e agosto per essere esatti, c’è stata un’ondata di narcoejecuciones, gli omicidi eseguiti dai sicari dei cartelli. Dopo una di queste stragi, la più inquietante, si ritrovarono sei corpi – quattro uomini e due donne – a cui era stato estratto il cuore. Vendette, avvertimenti o regolamenti di conti, queste esecuzioni non erano frequenti nel sud del paese, almeno fino a poco tempo fa. Cancún era un posto tranquillo, a parte qualche intemperanza degli springbreakers, in cui ci si dedicava a spennare tranquillamente i turisti.
La barriera corallina di più di mille chilometri, che corre parallela alla costa della penisola e arriva fino in Honduras, è seconda solo a quella della costa orientale dell’Australia e rappresenta un tesoro naturale inestimabile, ora in pericolo. I coralli, che ospitano una ricchissima ittiofauna e vivono in simbiosi con altre specie, si stanno sbiancando e muoiono. Le cause? La pesante attività umana, l’inquinamento e soprattutto il cambio climatico, che riscalda e acidifica le acque degli oceani. Secondo i dati raccolti dall’agenzia Ips, l’unica discarica autorizzata di Cancún non ce la fa a smaltire le 800 tonnellate giornaliere di immondizia, l’erosione della costa è ormai inarrestabile, la laguna Nichupté, chiusa da due ponti stradali, è inquinata dalle acque nere degli alberghi e l’ecosistema lagunare delle mangrovie – o meglio, quel che ne resta, ossia 11mila ettari – si perde al ritmo del 5 per cento all’anno.
Aver scelto il Messico, la cui attrattiva principale per gli investimenti stranieri è la deregulation ambientale, per celebrare la 16ª Conferenza delle parti della convenzione Marco delle Nazioni unite sul cambiamento climatico (il nome ufficiale della Cop 16), e in particolare la città di Cancún, è davvero come andare a parlare di corda a casa dell’impiccato.
Se dal lato dei governi che partecipano al vertice ufficiale regnano il confronto e le manovre, messe allo scoperto dalla Cop 15 di Copenhagen, e si è creata una divisione fra paesi «bulli» e inquinatori (capeggiati da Cina e Stati uniti) e paesi «vittime» in cerca di riscatto (guidati dalla Bolivia di Evo Morales), nel campo della società civile e dei suoi rappresentanti si respira invece l’aria inedita e riconfortante dell’unità. Organizzazioni indigene e contadine, istituzioni culturali e scientifiche, movimenti sociali e politici, ambientalisti e altermundistas convergono su un punto che può diventare una pietra miliare: non è tanto il clima che va cambiato, quanto il sistema.
Una parola d’ordine che trascende i vecchi ideologismi, la richiesta forte di un mondo a misura d’uomo, di un rapporto sano con la natura e con il prossimo, l’esigenza di nuove forme di produzione e consumo, la creazione di nuove energie (non solo fisiche), la fine di un’era e l’inizio di un nuovo modo di stare al mondo e anche, perché no, la nascente religione della Pachamama, la Madre Terra, faranno capolino nelle migliaia di partecipanti che da domani occuperanno Cancún per il controvertice. E a un parto, è ovvio, non si può far fare marcia indietro.
Mentre la conferenza ufficiale, isolata nel Moon Palace Hotel e circondata da un massiccio spiegamento di polizia, accende pochissime speranze fra i suoi partecipanti, a qualunque fronte appartengano, e fa già parlare di un rinvio alla prossima Cop (Sudafrica 2011) per accordi vincolanti, la società civile che è venuta a Cancún ha alcune certezze dalla sua.
Intanto, la forza di alcuni argomenti, come quello messo sul tavolo da Via Campesina, l’arcipelago di organizzazioni contadine che ha indetto per il 7 dicembre una giornata di mobilitazione mondiale: mentre le monocolture industriali devastano l’ambiente, emettono CO2 e avvelenano i suoli con agrotossici e le persone con prodotti transgenici, l’agricoltura contadina tradizionale assorbe le emissioni, protegge modi di vita e società ancestrali, riscatta i saperi e le culture dei popoli indigeni e, soprattutto, può nutrire l’intera umanità e ripristinare la sovranità alimentare delle nazioni. È insomma la risposta più efficace al surriscaldamento planetario e alla crisi alimentare, in netta antitesi alle manovre dei governi del Nord e delle multinazionali che, dopo aver causato il danno, ora cercano di mercificare anche il risanamento dell’ambiente.
Ma già dalla conferenza mondiale dei popoli, celebrata nell’aprile scorso a Cochabamba, le voci di protesta sempre più forti, critiche e propositive hanno cominciato a farsi ascoltare. Il reclamo che lega la giustizia ambientale a quella sociale si è generalizzato.
Già oggi ben otto grandi carovane – e il numero è in costante aumento – sono partite da differenti punti del paese per incontrarsi a Città del Messico, dove il 30 novembre daranno vita a una grande manifestazione unitaria, per poi viaggiare insieme alla volta di Cancún in due o tre giorni. Il loro itinerario è stato scelto per toccare punti sensibili, piaghe provocate dallo sviluppo onnivoro dell’economia capitalista: miniere a cielo aperto, discariche inquinanti, dighe che inondano terre fertili e abitate, avanzate del «progresso» a cui la gente si oppone non tanto per ideologia quanto per istinto di sopravvivenza.
E la confluenza fra lotte vecchie e nuove, fra le mille resistenze generate dalla disumanità accumulativa del neoliberismo, «non è poca cosa», nota giustamente Matteo Dean, «poiché grazie a questa coincidenza il movimento sociale internazionale supera le apparenti divisioni fra ‘ecologisti’ e ‘movimenti sociali’, i primi considerati alieni ai temi della giustizia sociale, i secondi sprezzanti di fronte alla tematica ambientale.»

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CONTROVERTICE Dalla società civile, otto carovane in marcia per l’alternativa
g.pro.
Negli stessi giorni del vertice, la società civile darà vita a una conferenza alternativa, che si prevede partecipatissima, nel centro città e in vari accampamenti decentrati. Il 7 dicembre arrivano i capi di stato che, secondo le previsioni, dovrebbero essere una ventina, in maggioranza latinoamericani. Ma è anche il giorno di una grande manifestazione che cercherà di raggiungere il Moon Palace, sede della conferenza ufficiale, distante una ventina di km dal centro e separato da barriere di poliziotti e militari. La città è blindata da oltre una settimana: 6mila fra soldati (spesso con passamontagna) e poliziotti di quattro corporazioni, tutti armati. Quindici navi con 700 marinai pattugliano le acque del litorale. Qualunque automezzo non ufficiale viene perquisito, i passeggeri passati al metal detector. E le autorità municipali hanno annunciato l’installazione di 4 torri con telecamere e di un drone-spia. Serviranno, secondo l’agenzia governativa Notimex, «para mantener un monitoreo de esas personas», in riferimento ai potenzialmente pericolosi globalifóbicos.

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