Brescia si scalda: botte sotto la gru

La polizia carica la manifestazione di solidarietà  tenuta a distanza dagli immigrati. Che resistono

Una violenta carica di polizia e carabinieri, seguita da altre più ridotte, ha messo fine ieri a Brescia ad una giornata che doveva essere nel segno della solidarietà  per i quattro migranti ormai da 15 giorni sulla gru del cantiere della metropolitana, nel quartiere del Carmine. Tre i fermati, mentre non si conosce ancora il numero dei feriti, che sicuramente ci sono.

La polizia carica la manifestazione di solidarietà  tenuta a distanza dagli immigrati. Che resistono

Una violenta carica di polizia e carabinieri, seguita da altre più ridotte, ha messo fine ieri a Brescia ad una giornata che doveva essere nel segno della solidarietà  per i quattro migranti ormai da 15 giorni sulla gru del cantiere della metropolitana, nel quartiere del Carmine. Tre i fermati, mentre non si conosce ancora il numero dei feriti, che sicuramente ci sono. La manifestazione antifascista, organizzata da tempo dalla Rete provinciale antifa in risposta alla paventata iniziativa nazionale di Forza Nuova (poi vietata proprio grazie alla mobilitazione degli antifascisti lombardi), si stava concludendo davanti alla chiesa di san Faustino, dove le forze dell’ordine avevano posizionato un castello di transenne per impedire al corteo di arrivare sotto la gru. Dopo una breve trattativa con la polizia, cinque migranti, appartenenti alle comunità dei ragazzi sulla gru, erano stati fatti passare e accompagnati sotto la struttura, dove si erano informati sulle condizioni fisiche e morali di Jimi, egiziano, Rashid, marocchino, Harun e Sajat, pakistani. Erano quindi tornati nella zona del corteo per riferire che i quattro sono in buona salute, convinti a continuare la lotta, desiderosi soltanto di poter avere del cibo caldo, sigarette e un cellulare per comunicare. Ma la loro testimonianza è stata interrotta da un’improvvisa, violentissima carica delle forze dell’ordine, che hanno prima sparato alcuni lacrimogeni per poi passare alle vie di fatto. Il pretesto è stato il tentativo di alcuni manifestanti di spostare le transenne, seguito dal lancio di alcune bottiglie. Nel fuggi fuggi generale, con la gente asserragliata nei bar e nelle entrate delle case che avevano il portone aperto, qualcuno è caduto ed è stato pestato. Daniele, antirazzista veronese, racconta: «Ero davanti alla porta della chiesa, c’era un ragazzo per terra tenuto fermo da quattro poliziotti, quando ne è passato un altro che gli ha sferrato un calcio talmente violento che gli stessi suoi colleghi l’hanno circondato e tirato da una parte per calmarlo». In piazza l’atmosfera è molto tesa e non solo per le cariche della polizia. Gli organizzatori della manifestazione ma anche i compagni e le compagne che dall’inizio hanno sostenuto la lotta dei migranti, facendo i turni sotto la gru – almeno fino a lunedì scorso, quando le forze dell’ordine hanno spazzato via il presidio (che si è spostato di duecento metri) e bloccato l’accesso alla zona – sono arrabbiatissimi: «In tutto questo tempo – dice Giorgio – abbiamo fatto un percorso di solidarietà, anche lavorando nel quartiere e con i commercianti della via. Ora questa situazione rischia di rovinare il lavoro fatto in questi giorni, anche se è doveroso precisare che a Brescia, da lunedì scorso, è iniziata la campagna elettorale della Lega. Fino a qualche giorno fa il presidio era sotto la gru e non c’era nessuna tensione con la città. Poi hanno bloccato la strada, una mossa politica per metterci in cattiva luce, nella tipica logica da campagna elettorale». Arrivano le ambulanze, i partecipanti al corteo sono sparsi per tutta la piazza, nell’unico bar aperto, pieno di rifugiati, ci sono due ragazze che sono state cacciate dalla chiesa dove avevano cercato riparo: «Il prete ci ha buttato fuori apostrofandoci perché non andiamo a messa. Ha anche detto che sono dieci giorni che aiuta i migranti (in effetti il sacerdote aveva messo a disposizione un paio di stanze per qualche giorno, ndr) ma noi siamo dei rivoltosi e ci meritiamo di essere pestati». 
Mentre la gente inizia a diradarsi ed arrivano notizie di un corteo spontaneo che starebbe raggiungendo la stazione ferroviaria, alcuni giovani fanno la guardia alle 11 fotografie appese tra gli alberi della piazza, in cui sono ritratti i migranti rinchiusi da lunedì scorso nei Cie: El Sayad, «rinchiuso per non essere rimasto in silenzio», recitano le didascalie. Hajnder e Ibrahim, «rinchiusi perché lottavano per i loro diritti», Issa, «rinchiuso perché non voleva vivere da schiavo», Hamdy, «per aver detto basta allo sfruttamento», Abdou, «rinchiuso perché voleva essere libero dalla clandestinità», Samir, «rinchiuso perché cercava giustizia», Mohamed, «per aver lottato per il suo futuro», Mahmoud, «rinchiuso perché voleva essere una persona e non un clandestino», Sharaky, «per aver cercato una vita migliore», Essam, «rinchiuso per aver detto basta alla clandestinità».

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