Tra la folla in festa per Suu Kyi. Lei piange: "Grazie a tutti"


Più volte Daw Aung San Suu Kyi, appena liberata, ha tentato di dire qualcosa alla folla raccolta per salutare la fine di un incubo durato 21 anni: le grida coprivano sempre ogni sua frase. Alla fine, con le lacrime agli occhi, ha pronunciato poche parole, significative per ciò che potrebbe avvenire d'ora in poi: «Adesso fate molto rumore - ha detto - ma ricordate, ci sono momenti per il silenzio e momenti per fare rumore. Ricordate: verrà  il tempo in cui vi chiederò di fare più rumore possibile. Ma dovremo lavorare insieme, stare uniti, di comune accordo». Infine l'annuncio: «Vi dò appuntamento a tutti domani (oggi ndr.), a mezzogiorno, davanti alla sede del Partito».  ">

BIRMANIA, AUNG È LIBERA “UNITI CONTRO IL REGIME”


Tra la folla in festa per Suu Kyi. Lei piange: “Grazie a tutti”

Più volte Daw Aung San Suu Kyi, appena liberata, ha tentato di dire qualcosa alla folla raccolta per salutare la fine di un incubo durato 21 anni: le grida coprivano sempre ogni sua frase. Alla fine, con le lacrime agli occhi, ha pronunciato poche parole, significative per ciò che potrebbe avvenire d’ora in poi: «Adesso fate molto rumore – ha detto – ma ricordate, ci sono momenti per il silenzio e momenti per fare rumore. Ricordate: verrà  il tempo in cui vi chiederò di fare più rumore possibile. Ma dovremo lavorare insieme, stare uniti, di comune accordo». Infine l’annuncio: «Vi dò appuntamento a tutti domani (oggi ndr.), a mezzogiorno, davanti alla sede del Partito». 


Tra la folla in festa per Suu Kyi. Lei piange: “Grazie a tutti”

Più volte Daw Aung San Suu Kyi, appena liberata, ha tentato di dire qualcosa alla folla raccolta per salutare la fine di un incubo durato 21 anni: le grida coprivano sempre ogni sua frase. Alla fine, con le lacrime agli occhi, ha pronunciato poche parole, significative per ciò che potrebbe avvenire d’ora in poi: «Adesso fate molto rumore – ha detto – ma ricordate, ci sono momenti per il silenzio e momenti per fare rumore. Ricordate: verrà  il tempo in cui vi chiederò di fare più rumore possibile. Ma dovremo lavorare insieme, stare uniti, di comune accordo». Infine l’annuncio: «Vi dò appuntamento a tutti domani (oggi ndr.), a mezzogiorno, davanti alla sede del Partito».  La Premio Nobel per la Pace è tornata libera ieri, quasi una settimana dopo le elezioni parlamentari di domenica scorsa in Birmania: il regime lo aveva promesso, ma fino all´ultimo si è temuto che la scarcerazione potesse non avvenire. 
Nella baraonda seguita alle sue prime parole e all´afflusso sempre più massiccio di persone giunte per salutarla – 4-5mila, non certo tutti militanti della sua Lega per la democrazia – il messaggio è giunto chiaro: il rilascio è avvenuto – come lei chiedeva e come hanno ammesso gli stessi generali – senza la pre-condizione di tacere in pubblico o di non fare politica. Aung San Suu Kyi comincerà da subito la sua nuova battaglia da donna libera, con l´atteso discorso di oggi davanti agli uffici dell´Nld del quartiere Bahan: un evento che potrebbe trasformarsi in una manifestazione oceanica.
Se a celebrare la sua liberazione c´erano infatti poche migliaia di persone, inizialmente impaurite dai soldati – fino all´ultimo con le armi in pugno sulle barricate davanti alla casa – nessuno può sapere in quanti vorranno vederla e sentire dal vivo il suo discorso, una volta capito che il regime non sparerà sulla folla. Lo ha detto anche la solitamente censoria televisione di Stato: non solo San Suu Kyi è stata liberata senza clausole, ma ha ottenuto anche un´amnistia per tutti i reati contestateli finora, dalla sovversione all´incitazione alla violenza. «Si è comportata bene», ha addirittura detto di lei MRTV, il canale dei soldati, gli odiati tadmadaw. Ieri sera quando questi uomini in divisa ed elmetto, spediti un tempo a sparare contro i dimostranti, hanno ricevuto l´ordine di aprire le barricate sulla strada, si sono fatti di lato sorridendo alla folla che correva in direzione della casa sul lago con bandierine e foto della lady stampate sulle magliette. È stata forse la prima volta che è accaduta una cosa del genere nella lunga storia del conflitto tra forze armate e popolo qui in Birmania.
Non sono dunque passati invano gli anni dell´isolamento per San Suu Kyi: 15 dei suoi ultimi 21, in cui ha mantenuto un ostinato silenzio. La premio Nobel lo deve aver capito ieri, quando ha finalmente visto e sentito con quanto affetto e devozione l´ha ricordata in tutto questo periodo la sua gente, quella stessa che passando tante e tante volte vicino alla sua casa su University avenue tirava un sospiro e pensava a lei, prigioniera del potere dei suoi aguzzini. 
Per questo ieri Aung San Suu Kyi non era solo felice: piuttosto era raggiante di ritrovarsi libera. Allo stesso tempo rimaneva come sempre composta, forse un po´ spaurita dal contatto con tante persone dopo il lungo isolamento. Non ha parlato – certo lo farà oggi – degli altri duemila prigionieri politici che potrebbero seguire, almeno in parte, la sua sorte, di quelli ancora nelle celle buie e luride di Insein e delle altre carceri speciali disseminate fino alle montagne fredde del Nord del Paese. Sono tanti Aung San rimasti lì a ricordare che la Birmania non è un Paese democratico perchè ha liberato una leader storica o perchè domenica scorsa ha concesso il voto ai suoi cittadini dopo 20 anni dalla precedente e unica elezione in quasi mezzo secolo di dittatura. «Lunga vita e salute», gridavano uomini e donne arrivati davanti alla casa del lago da tutte le direzioni della ex capitale. «Jaysu! Jaysu! Jiaysu!», grazie, ripetevano altri come un mantra. Un «grazie di esistere» uscito dal petto di migliaia di persone, che forse volevano anche farsi perdonare di aver dubitato che la sua perseveranza, la rocciosa scontrosità verso il regime dei militari, avrebbe mai portato da qualche parte. 
Fino all´ultimo – le cinque del pomeriggio – anche ieri sembrava che il carattere duro della leader non l´avrebbe spuntata contro i generali, appena usciti dalla vittoria bulgara per il nuovo Parlamento nazionale e le assemblee regionali. Invece poi eccola salire su una sedia e affacciarsi alla stessa cancellata dove si fece vedere dai monaci che stavano marciando in nome della democrazia a Rangoon nel 2007. Fu bello anche a quel tempo, per i pochi che poterono vederla. Ma molti sono morti in quei giorni e lei non fu libera neanche di piangerli.
Ieri invece Aung San Suu Kyi aveva gli occhi arrossati ma lo sguardo fiero di chi ha dimostrato a tutti che una fragile donna di una fragile nazione tormentata dalla povertà e dal pugno di ferro dei soldati può ottenere con la pazienza una vittoria che sembrava impossibile. Poco importa che i generali abbiano fatto i loro calcoli, forse per ottenere un´apertura di credito che si traduca in soldi o relazioni diplomatiche e commerciali, anche in Occidente. Forse semplicemente la loro è una mossa furba: concentrare l´attenzione internazionale sulla liberazione della più famosa prigioniera politica del mondo per distoglierla dalle grandi truffe elettorali che hanno portato alla vittoria elettorale del partito unico degli ex generali, oggi in abiti civili.
Ma quella donna con un fiore tra i capelli, un abitino pastello color lilla, la gonna longyi nascosta dalla cancellata di ferro dietro la quale è stata rinchiusa così a lungo, continuerà a dare filo da torcere a quelli che restano i suoi nemici, anche se forse da ieri un po´ meno acerrimi. Come quel capitano della polizia nazionale che è giunto col sorriso sulle labbra e gesti da cavaliere a portarle a casa il certificato di fine pena, davanti alle telecamere della tv. 
Ieri il comitato dei Nobel l´ha invitata Oslo a dicembre per ritirare di persona il premio che le era stato assegnato nel ´91 e che non poté ritirare di persona. Non è chiaro se sarà autorizzata a lasciare la Birmania. Di certo – salvo sorprese inattese – i militari le faranno rivedere i suoi figli. Il più giovane, Kim, 33enne, ha atteso per giorni il visto a Bangkok e ieri è arrivato in Birmania. L´altro, Alexander, 35, aspetta in Inghilterra e farà di certo lo stesso. Erano ragazzini adolescenti quando la mamma li ha lasciati al padre ricercatore universitario e poi a loro stessi per dedicarsi alla sua famiglia più estesa, il popolo birmano.

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