A cena con il “nemico” Obama invita i repubblicani “È già  tempo di trattare”

Il primo compromesso sarà  sui tagli fiscali

Il presidente in partenza per l’Asia: la soluzione alla crisi passa per i Paesi emergentiL’obiettivo della missione è aprire nuovi sbocchi per le esportazioni americane

Il primo compromesso sarà  sui tagli fiscali

Il presidente in partenza per l’Asia: la soluzione alla crisi passa per i Paesi emergentiL’obiettivo della missione è aprire nuovi sbocchi per le esportazioni americane
WASHINGTON – Barack Obama lancia il “vertice del disgelo” con i repubblicani. Subito indica il primo terreno di un´intesa con la destra: meno tasse per tutti e una politica fiscale più “amica” delle imprese. Poi parte per l´Asia, dieci giorni di una tournée ad alta valenza simbolica: nel cuore del mondo che cresce. Va dove l´America si gioca la sfida della competitività, la speranza di agganciare la ripresa grazie agli “emergenti”.
Il presidente assume l´iniziativa appena un giorno dopo avere incassato la perdita della maggioranza alla Camera. Mentre escono nuovi dati preoccupanti sul lavoro, (457.000 domande di sussidi di disoccupazione alla settimana) Obama non perde tempo. Riunisce il suo esecutivo e lancia la palla ai repubblicani: invita i due leader istituzionali della destra John Boehner (futuro presidente della Camera) e Mitch McConnell (capogruppo al Senato) per un summit a cinque con gli omologhi democratici Nancy Pelosi e Harry Reid. Il presidente farà gli onori di casa e la sera stessa organizzerà una cena alla Casa Bianca con otto leader dei due partiti. Non è un rito di cortesia, è l´avvio delle grandi manovre bipartisan. «Con loro voglio parlare di sostanza – annuncia Obama – discuteremo su come fare avanzare insieme l´agenda che sta a cuore agli americani. Non sarà un evento da foto-ricordo».
Alla sua squadra di governo Obama detta la nuova linea: «Gli elettori ci hanno dato un messaggio chiaro, tutta l´attenzione deve essere sulla crescita e il lavoro. Il governo deve cambiare il suo modo di funzionare». Anticipa il primo patto che proporrà alla destra: meno tasse per tutti. Entro fine anno scadono gli sgravi di George Bush, generosi anche per i contribuenti più ricchi (oltre 250.000 dollari di reddito annuo). Prima delle elezioni la linea dei democratici era: rinnovare le riduzioni d´aliquota ma solo per i redditi medio-bassi. Ecco la prima concessione di Obama al verdetto degli elettori, se la destra vuole meno tasse per tutti, amen. È anche un modo per dare «più certezze alle imprese», l´altra priorità annunciata da Obama. Una parte degli alti redditi graziati dagli sgravi fiscali sono piccoli imprenditori, chissà che questo non li incentivi ad assumere. Il regalo segna la prima vittoria del Tea Party, movimento anti-tasse. Obama però guarda ormai alle presidenziali del 2012. Qualunque ricetta che serva a rilanciare la crescita, non importa se di destra o sinistra, può cambiare gli umori dell´America nei suoi confronti.
Ma l´uscita dalla recessione non si gioca tutta in casa. Ecco perché il viaggio in Asia, con partenza oggi per l´India. Una tournée molto inusuale. Qualcuno non mancherà di rinfacciarlo a Obama: a sole 48 ore da una disfatta elettorale lascia il paese e sparisce all´estero per dieci giorni, un´assenza insolitamente lunga per la tradizione della Casa Bianca. Il vertice del dialogo con la destra si terrà al suo ritorno, il 18 novembre. Prima vengono India, Indonesia, Corea del Sud con annesso il vertice G20, Giappone per il vertice Apec (Asia-Pacifico). A questa missione Obama dà un senso preciso: «Spero che avrò buone notizie da annunciarvi, che vi mostreranno il legame tra il mio viaggio e i problemi dell´occupazione». Si porta dietro una delegazione di chief executive per aiutarli a conquistare i mercati d´Oriente. Guai a distrarsi da quel che accade in quell´area del mondo. Obama ricorda ai suoi concittadini che la Cina avanza, «ci ha portato via il primato nei supercomputer dove un tempo eravamo noi i leader; ci supera nelle ferrovie ad alta velocità».
Quell´area è anche una possibile àncora di salvezza. L´insieme delle potenze emergenti ha superato quest´anno il Pil di tutti i paesi a vecchia industrializzazione. Obama firmerà un accordo di libero scambio con la Corea del Sud: un altro ramoscello d´ulivo al capitalismo americano. Al G20 e all´Apec s´incontreranno Obama e il suo omologo cinese Hu Jintao. Ricomincerà quel lavorìo ai fianchi per trasformare la Cina in una vera locomotiva della crescita globale, che travasi quote maggiori della sua ricchezza sui mercati esteri attraverso le importazioni. Niente “fuga in Asia”, spiega Obama, ma un tentativo di misurarsi con l´impasse della crisi economica, cioè proprio la causa della disfatta elettorale democratica. Lui sa che l´America ormai è una potenza dimezzata, non può illudersi di trascinarsi da sola fuori dal tunnel. Questo viaggio lo porta nel cuore del suo problema. Mesi e mesi di campagna elettorale troppo “domestica” (e con un Tea Party totalmente introvertito) hanno fatto dimenticare agli americani questa verità, che ormai anche il loro paese è troppo piccolo per uscire dalla crisi da solo. Le intese coi repubblicani non possono bastare. Senza una sorta di patto con le nazioni emergenti, l´incubo di una recessione senza fine si materializzerà. Questa tournée asiatica può diventare un momento educativo, situare lo choc elettorale in uno scenario più largo. La polemica con la destra su «più tasse, meno tasse», «più spesa, meno spesa», «più Stato, meno Stato» tende a cacciare Obama in un vicolo cieco, lui ha bisogno di trovare con urgenza delle risposte altrove.

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