Vasilij Grossman doloroso reporter del lager di Treblinka

Negli ultimi anni l’opera di Vasilij Grossman è in Italia al centro di una particolare attenzione. Il romanzo Vita e destino, un capolavoro della letteratura russa del XX secolo, è stato riproposto nel 2008 da Adelphi nel testo definitivo nella nuova traduzione di Claudia Zonghetti. L’anno scorso le edizioni Marietti hanno pubblicato la traduzione italiana del libro di John e Carol Garrard Le ossa di Berdichev, a oggi la più completa biografia del grande prosatore russo-ebreo. Patria di Vasilij (Iosif) Grossman, Berdicev – cittadina ucraina non lontano da Kiev – aveva prima della guerra un’importante comunità  ebraica che fu annientata nel ’41 dagli occupanti nazisti con la fattiva partecipazione di collaborazionisti locali.

Negli ultimi anni l’opera di Vasilij Grossman è in Italia al centro di una particolare attenzione. Il romanzo Vita e destino, un capolavoro della letteratura russa del XX secolo, è stato riproposto nel 2008 da Adelphi nel testo definitivo nella nuova traduzione di Claudia Zonghetti. L’anno scorso le edizioni Marietti hanno pubblicato la traduzione italiana del libro di John e Carol Garrard Le ossa di Berdichev, a oggi la più completa biografia del grande prosatore russo-ebreo. Patria di Vasilij (Iosif) Grossman, Berdicev – cittadina ucraina non lontano da Kiev – aveva prima della guerra un’importante comunità  ebraica che fu annientata nel ’41 dagli occupanti nazisti con la fattiva partecipazione di collaborazionisti locali. Anche la madre dello scrittore perì e con lei scomparve il Grossman scrittore sovietico, coerente seguace del realismo socialista. O meglio, fu come se nel figlio scrittore continuasse a vivere la madre e la scrittura divenisse per Grossman ricerca etica della verità: «io sono te, mia cara, e finché sono vivo io, sei viva anche tu. E quando morirò tu vivrai nel libro che ti ho dedicato e il cui destino è simile al mio destino», scrisse lo scrittore nel ’61 in una lettera idealmente indirizzata alla madre. Nei libri La giusta causa, Vita e pensiero, Tutto scorre …, ma anche in splendidi testi brevi come la Madonna Sistina, suo credo etico-artistico, Grossman tracciò un appassionato itinerario verso la libertà, costruendo una propria specifica dimensione artistica e un’originale visione filosofica della vita e dell’uomo. La sua opera si innesta così nella tradizione spirituale della grande letteratura russa, nel solco della prosa di Tolstoj, ma con i toni e la complessa leggerezza del magistero cechoviano cui si aggiunge l’evidente specificità culturale dell’ebraismo che traspare nel metodo artistico e nello spirito dello scrittore.
Ancora Adelphi offre oggi al lettore italiano un altro testo grossmaniano di grande impatto emotivo e intellettuale. Si tratta del lungo reportage che lo scrittore approntò nel 1944 per il giornale «Znamja», quando, in qualità di corrispondente dal fronte, si trovò a raccogliere alla liberazione del campo di Treblinka le testimonianze di sopravvissuti e abitanti della zona. Il testo fu letto come atto d’accusa durante il processo di Norimberga per iniziativa del procuratore militare sovietico. In uno stile asciutto Grossman ricostruisce con precisione la storia del campo e traccia i ritratti di vittime e carnefici. Con voce pacata il narratore smaschera la banalità del male e un sentimento di partecipe pietà si combina alla registrazione dell’irreale quotidianità del campo di sterminio, dove l’orrore è messo in risalto dai toni lirici della descrizione del paesaggio e della natura, anche se nei boschi riecheggiano i lamenti delle vittime e si diffonde l’odore acre della carne riarsa.
Alla ricostruzione storica – dalla creazione di Treblinka all’avvio della «fabbrica della morte» fino all’ordine di Himmler del 1943 di cancellare le tracce del campo con l’incenerimento di tutti i cadaveri e alla rivolta dei detenuti del 2 agosto 1943 – si affianca quella dei destini personali desunta dalle voci e dai documenti con in sottofondo gli echi vittoriosi dell’epopea di Stalingrado e talvolta i toni polemici del pamphlet, come nei riguardi di Pio XII («Il Santo Padre …che serbò un religiosissimo silenzio, mentre Himmler faceva i conti con l’umanità»). Impresse negli occhi del lettore rimangono le masse di uomini, donne, vecchi e bambini, i tanti personaggi che popolano questo vero e proprio «antimondo»: i «bambini della strada nera» condannati a spianare le ceneri e i resti dei morti, il medico di Varsavia Chorazycki, che si suicidò per non svelare il piano della rivolta, lo spietato comandante Franz con il cane Barry, il giovane colosso Stumpfe, soprannominato «la morte che ride», lo Scharführer Floss, esperto «di esumazione e incenerimento di corpi umani», le zingare della Bessarabia che «batterono le mani entusiaste alla vista dell’edificio delle camere a gas, senza sospettare fino all’ultimo che cosa le attendesse».
Alcuni passi in particolare lasciano un segno indelebile nel lettore: «Lì costringevano le madri impazzite per l’orrore a mostrare ai figli le griglie incandescenti dove, fra le fiamme e il fumo, i corpi parevano riprendersi la vita e contorcersi, dimenarsi; dove ai cadaveri delle donne incinte scoppiava il ventre e quei bambini morti ancor prima di nascere bruciavano fra le viscere aperte delle madri». Annota con desolata lucidità Grossman: «Nel suo inferno Dante non le vide scene come queste».

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