L'America si scusa per uno studio del 1946 in cui 700 detenuti furono infettati con l'agente della sifilide per verificare l'efficacia della penicillina

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Stati Uniti, mai più cavie umane

L’America si scusa per uno studio del 1946 in cui 700 detenuti furono infettati con l’agente della sifilide per verificare l’efficacia della penicillina

L’America si scusa per uno studio del 1946 in cui 700 detenuti furono infettati con l’agente della sifilide per verificare l’efficacia della penicillina

MILANO – L’America lo ha fatto per la seconda volta: pochi giorni fa il Segretario di Stato Hillary Clinton si è scusata pubblicamente con il Guatemala per una sperimentazione, condotta dal 1946 al 1948, durante la quale almeno 700 individui, tra detenuti, malati mentali e soldati, sono stati deliberatamente infettati con l’agente della sifilide (e di altre malattie veneree), grazie anche alla complicità involontaria di prostitute, per verificare, poi, l’efficacia della penicillina. Era già successo fra il 1932 e il 1972 con il tristemente famoso studio di Tuskegee: allora 400 raccoglitori di cotone dell’Alabama, malati di sifilide, erano stati lasciati senza cure allo scopo di studiare gli effetti della malattia. Per questo esperimento era stato l’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a presentare le sue scuse, nel 1997. Poco tempo dopo è stato creato il Centro di bioetica di Tuskegee, uno dei primi negli Stati Uniti, e il problema delle sperimentazioni cliniche nell’uomo è diventato argomento di discussione fra ricercatori, bioetici, politici, filosofi, pazienti, sostenitori dei diritti civili e, persino, giornalisti. Discussioni che hanno prodotto, nei Paesi occidentali, una serie di regole e leggi per la tutela di chi vi partecipa, compresa la dichiarazione di Helsinki. Proprio in questi giorni, in Italia, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge su «Sperimentazione clinica e altre disposizioni in materia sanitaria» che, fra l’altro, prevede nuove regole per i comitati etici (che hanno il compito di tutelare i diritti di chi partecipa a sperimentazioni) e l’individuazione di nuovi requisiti per i centri autorizzati alle sperimentazioni cliniche, a partire dai test di laboratorio fino a quelli sull’uomo. Bene. Ma leggendo la letteratura scientifica, frequentando congressi internazionali, visitando centri di ricerca, dall’America alla Cina, ascoltando ricercatori e pazienti, e, perché no, navigando in Internet, ci si imbatte in una serie di questioni ancora più complesse. Intanto si percepisce la pressante necessità di trovare persone disponibili a partecipare alle sperimentazioni, soprattutto di farmaci. Basti pensare che sono in sviluppo 800 nuove molecole anti-cancro: dove reperire i malati? Negli Stati Uniti il reclutamento avviene anche attraverso giornali e siti Internet. Ma non basta: così l’industria, da tempo, si è rivolta ai Paesi in via di sviluppo. Che spesso non hanno regole così severe come in Occidente. All’ultimo congresso degli oncologi americani si è posto il problema dell’affidabilità di queste sperimentazioni per valutare efficacia e sicurezza di medicinali che arriveranno poi sul mercato mondiale. E non ci sono solo i farmaci: ci sono anche le terapie con le staminali, i dispositivi medici, come protesi o stent, i nuovi interventi chirurgici (dai trapianti estremi all’uso di robot in sala operatoria) che dovrebbero essere valutati attraverso accurati e ampi protocolli sperimentali. La questione è più complicata di quello che sembra e merita un dibattito molto approfondito con tutti i cittadini. Tutti potenziali «cavie».

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