La tomba di Salvatore Giuliano a Montelepre

I magistrati vogliono fare chiarezza sulla morte del bandito ucciso 60 anni fa, dopo le denunce presentate nei mesi scorsi da storici, giornalisti e persino da un medico legale. Il procuratore aggiunto Ingroia: "E' una scelta obbligata. Ma prima di fare ipotesi bisogna aspettare le analisi". Non è certo però che si potrà  effettuare l'esame del Dna. Anche se la struttura ossea "sembra ben conservata"

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Riesumato Salvatore Giuliano. Ma l’esame del Dna è difficile

Riesumato Salvatore Giuliano Ma l'esame del Dna è difficile

Riesumato Salvatore Giuliano Ma l'esame del Dna è difficile La tomba di Salvatore Giuliano a Montelepre

I magistrati vogliono fare chiarezza sulla morte del bandito ucciso 60 anni fa, dopo le denunce presentate nei mesi scorsi da storici, giornalisti e persino da un medico legale. Il procuratore aggiunto Ingroia: “E’ una scelta obbligata. Ma prima di fare ipotesi bisogna aspettare le analisi”. Non è certo però che si potrà  effettuare l’esame del Dna. Anche se la struttura ossea “sembra ben conservata”

Riesumato Salvatore Giuliano Ma l'esame del Dna è difficile La tomba di Salvatore Giuliano a Montelepre

I magistrati vogliono fare chiarezza sulla morte del bandito ucciso 60 anni fa, dopo le denunce presentate nei mesi scorsi da storici, giornalisti e persino da un medico legale. Il procuratore aggiunto Ingroia: “E’ una scelta obbligata. Ma prima di fare ipotesi bisogna aspettare le analisi”. Non è certo però che si potrà  effettuare l’esame del Dna. Anche se la struttura ossea “sembra ben conservata”

Dopo 60 anni forse si potrà fare luce sul mistero che aleggia sulla morte di Salvatore Giuliano. E’ stata effettuata al cimitero di Montelepre, piccolo centro del Palermitano, la riesumazione della salma del bandito ucciso il 5 luglio del 1950 a Castelvetrano, in provincia di Trapani.

Il piccolo camposanto è assediato da decine di giornalisti. Ma, su disposizione del sindaco, il pubblico è stato allontanato dal cimitero per consentire ai pm e ai medici legali di riaprire la tomba di Turiddu per scoprire se quello sepolto è proprio Giuliano. Un dubbio su cui i pm di Palermo, che hanno aperto un’indagine per omicidio e sostituzione di cadavere, vogliono vedere chiaro. Il sospetto, infatti, è che quello seppellito nel cimitero del paesino sia il corpo di un sosia, messo apposta per consentire a Giuliano, ricercato dai carabinieri, di scappare per lasciare l’Italia.

“La struttura ossea di Salvatore Giuliano pare ben conservata”, dicono alcuni investigatori presenti alla riesumazione. Sulle ossa ci sarebbero fori compatibili con colpi di arma da fuoco, affermano gli investigatori. Ma, aggiungono: “E’ ancora presto per dire se siano gli stessi fori evidenziati nelle foto del cadavere di Salvatore Giuliano”. E in ogni caso, non si sa ancora se si potrà effettuare l’esame del Dna sulla salma del bandito. A sostenerlo è il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia che ha assistito con altri magistrati alle operazioni. Lasciando il cimitero di Montelepre, Ingroia sottolinea: “Per quanto riguarda il Dna, non ho ancora predisposto l’accertamento perché non c’è certezza che si possa effettuare”. Parlando della salma aggiunge: “Considerando il tempo trascorso è in buone condizioni”.

“Mi auguro che nella bara ci sia veramente Giuliano. Lo spero per evitare illazioni che screditano quello che ha fatto lo Stato”, ha detto il sindaco di Montelepre, Giacomo Tinervia. “Ringrazio comunque i magistrati che hanno avuto coraggio – aggiunge – e che vogliono riscrivere la storia. Qualunque sia, però, ricordiamoci sempre che qui è stato sconfitto il banditismo”. Il sindaco ha polemicamente fatto notare che Montelepre “sconta” il fatto di essere il paese originario di Giuliano. “I turisti – conclude – vengono qui per lui e non per i nostri tesori artistici”.

Di parere diverso è Giuseppe Sciortino, nipote del bandito. “Mio zio eroe indipendentista”.

La Procura di Palermo, dopo le denunce presentate nei mesi scorsi da storici, giornalisti e persino un medico legale che dubitano della morte del bandito, ha deciso di riavviare l’inchiesta sulla sua morte. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i pm Marcello Viola e Lia Sava vogliono far luce sulla vicenda. “La riesumazione – ha spiegato il procuratore aggiunto Ingroia – è una scelta obbligata. Anche se noi continuiamo a dire che andiamo con i piedi di piombo, prima di fare ipotesi bisogna aspettare le analisi”.

La Procura di Palermo è chiamata a fare luce, in particolare, sull’ipotesi che il cadavere di Giuliano ripreso sul luogo del delitto, il cortile De Maria di Castelvetrano, fosse lo stesso di quello fotografato nell’obitorio del cimitero del comune trapanese. Ecco perché è stato disposto, nei mesi scorsi, dai magistrati di Palermo, un esame approfondito dei filmati e delle fotografie a disposizione. Salvatore Giuliano sarebbe stato ucciso dal suo uomo di fiducia, Gaspare Pisciotta, e soltanto successivamente portato nel cortile De Maria come viene poi ritratto nelle foto ormai storiche.

I primi a presentare un esposto per accertare la vera identità del cadavere trovato a Castelvetrano sono stati lo storico Giuseppe Casarrubea e il ricercatore Mario Cereghino. I due studiosi hanno evidenziato, con una lettera alla questura di Palermo del 5 maggio scorso, le contraddizioni che emergevano circa la morte del bandito. Contraddizioni esposte il 5 luglio dadinanzi ai magistrati della Procura di Palermo.

Il medico legale Livio Milone, che eseguirà la riesumazione e l’autopsia dovrà estrarre il Dna e raffrontarlo con alcuni parenti del bandito Giuliano, primo tra tutti con quello del nipote Giuseppe Sciortino, che ha aperto un albergo-museo a Montelepre il ‘Giuliano’s castle’.

Ma chi era in realtà Salvatore Giuliano? Un Robin Hood o un delinquente che uccise decine di carabinieri, oltre ad essere ritenuto il responsabile della strage di Portella della Ginestra? Un figura molto controversa, quella del bandito Giuliano.

Di umili origini, con il padre costretto a emigrare negli Stati Uniti, nel 1943, ad appena 21 anni iniziò la sua latitanza quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasportava due sacchi di frumento gli vennero sequestrati il cavallo e il frumento. Tentò di allontanarsi ma i militari gli spararono sei colpi di moschetto. Un militare gli si avvicinò per dargli il colpo di grazia ma Salvatore Giuliano reagì uccidendo il giovane carabiniere con un colpo di pistola e da allora si diede alla macchia nascondendosi sulle montagne di Montelepre.

Con l’accusa di proteggerlo vennero arrestati anche il padre e altri membri della sua famiglia. All’inizio del 1044 riuscì a liberare i suoi parenti e una parte di loro decise di allearsi con il bandito. Fu così che si formò la famosa banda di Salvatore Giuliano che trafficava, rubava e sequestrava persone. Ma a differenza di altri banditi, Giuliano aveva anche delle idee politiche. Ebbe dei contatti con il Movimento indipendentista siciliano ed entrò anche, spinto da esponenti dell’intelligence americana, nell’esercito volontario per l’indipendenza siciliana.

Sotto l’ordine di questa organizzazione Giuliano attaccò cinque caserme dei carabinieri e nel frattempo continuava a rubare e a saccheggiare. Ma la sua idea non era solo quella di indipendenza della Sicilia, bensì rendere la Sicilia parte degli Stati Uniti d’America. Nel 1946, attraverso il famoso giornalista americana Michael Stern, un collaboratore della Cia, mandò una lettera al presidente americano Truman dove proponeva la Sicilia come uno Stato in più degli Usa.

Sessant’anni di misteri sulla fine di Turiddu

Nel 1947 si sottopose al rito della mafia per farne parte e proprio in quell’anno avrebbe provocato la strage di Portella della Ginestra dove si stavano festeggiando le elezioni vinte dal nuovo Partito popolare e dei comunisti. Morirono 11 adulti e quattro bambini.

Giuliano riuscì a nascondersi per altri tre anni grazie anche alla mafia ma il 5 luglio del 1950 venne ucciso e ritrovato nel cortile De Maria di Castelvetrano. Ufficialmente si era detto che ad ucciderlo sarebbero stati dei carabinieri durante una sparatoria ma un giornalista scoprì che le cose andarono diversamente. Una mirabile inchiesta di Tommaso Besozzi, pubblicata dall’Europeo nel luglio del ’50, aveva smascherato il depistaggio operato dai carabinieri, che avevano fatto credere che il bandito (tradito dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, poi a sua volta ucciso in carcere, con un caffè al cianuro) fosse stato ucciso, a seguito di un conflitto a fuoco con i militari, nell’abitato di Castelvetrano (Trapani) dove il corpo era stato ritrovato.

In realtà Giuliano (o chi per lui) era stato ucciso a tradimento fuori dal paese e poi era stato portato, già morto, in paese. I carabinieri avevano inscenato un finto conflitto a fuoco nella notte e poi avevano dato l’allarme. Il famosissimo pezzo di Besozzi era stato intitolato: “Di sicuro c’è solo che è morto”. Ora potrebbe venir meno anche questa unica certezza. Il suo sarebbe stato proprio Gaspare Pisciotta, cugino di Giuliano e uno dei leader della sua banda. Domani si potrebbe finalmente fare luce su un mistero che dura da più di sessanta anni.

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