Reato depenalizzato, stop a processo alle guardie padane

VERONA Un decreto approvato a maggio toglie il divieto di costituire bande a carattere militare

VERONA Un decreto approvato a maggio toglie il divieto di costituire bande a carattere militare

Doveva essere un’udienza storica, con una sfilata di star della politica tra testimoni e imputati, il ministro Roberto Maroni, il sottosegretario Roberto Castelli, l’inossidabile Mario Borghezio, il trevigiano Gianpaolo Gobbo (a cui Strasburgo negò l’immunità) e l’ex sindaco di Milano Alberto Formentini, oltre all’ “enfant prodige” del Carroccio, il sindaco di Verona Flavio Tosi.
Invece l’interminabile procedimento giudiziario a carico delle “guardie padane”, in corso da anni presso il tribunale scaligero, ha fatto registrare l’altro ieri l’ennesima battuta d’arresto. Il collegio giudicante, presieduto da Marzio Bruno Guidorizzi, ha accolto l’istanza dei difensori dei 36 imputati – tutti militanti della Lega alla metà degli anni ’90, tra cui appunto qualche nome eccellente – che si sono appellati a un decreto legislativo pubblicato nel maggio scorso, emesso per semplificare e/o abrogare molte vecchie norme. Tra queste ce ne sarebbe una che concerne le associazioni militari, per cui, visto che l’imputazione si riferisce alla presunta costituzione di bande a carattere militare e che il suddetto decreto entrerà in vigore tra una settimana, la corte ha concesso il rinvio, fissando l’udienza al prossimo 19 novembre.
A 12 anni dal primo rinvio a giudizio (1998) e a 14 dalla movimentata perquisizione alla sede leghista di Via Bellerio a Milano (settembre 1996), ordinata dall’allora procuratore capo di Verona Guido Papalia, con lo Stato maggiore del Carroccio a presidiare gli uffici, la polizia che lo travolge, Maroni portato via in barella e Calderoli che si dichiarò “prigioniero di guerra”, ne è passata di acqua sotto i ponti ma il processo continua a mantenere il suo iter travagliato. Tra ricorsi e questioni sul conflitto tra i poteri dello Stato, cioè sull’immunità dei politici coinvolti, gli anni sono passati e molte posizioni sono state stralciate, ad esempio quelle di Umberto Bossi, Roberto Maroni, Roberto Calderoli, e dei deputati e/o senatori Mario Borghezio, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Vito Gnutti, Giancarlo Paglierini, Francesco Speroni e Luigi Vascon. L’ultimo “non luogo a procedere” per otto deputati, arrivato soltanto nel dicembre 2009, ha ridotto il numero degli imputati a 36. Di questi, solo una ventina scarsa erano ieri mattina in aula, riconoscibili non più dalla camicia verde, ma per la cravatta (verde, con simbolini della Lega) e il fazzoletto abbinato nel taschino della giacca. Preoccupati, ma non più di tanto, per l’ultradecennale processo, forse di più per il recente arresto, con accusa di concussione, di uno dei loro amministratori rampanti, l’assessore del comune di San Michele al Tagliamento (Venezia) David Codognotto, pescato con le mani nel sacco per una storia di sponsorizzazioni a pagamento. In fondo, quelli delle camicie verdi erano tempi eroici.

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