"Voi siete qui", il nuovo Atlante rivoluziona le mappe della terra    
ORHAN PAMUK
Trent'anni fa, a partire dalla prima media nell'ora di geografia dovevamo portare un atlante. Dato che si trattava di un volume rilegato, di un formato più grande rispetto agli altri libri di scuola e stampato su carta migliore e a colori, veniva considerato come qualcosa di speciale. Alcuni tra gli studenti meno abbienti non potevano permetterselo, e chi ne possedeva uno, che doveva servire per sei anni di scuola, lo conservava con molta cura. In apertura si trovava raffigurato un planisfero, né proprio rotondo né proprio ovale, che ti dava l'impressione di avere davanti il mondo intero.
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“Voi siete qui”, il nuovo Atlante rivoluziona le mappe della terra


“Voi siete qui”, il nuovo Atlante rivoluziona le mappe della terra    
ORHAN PAMUK
Trent’anni fa, a partire dalla prima media nell’ora di geografia dovevamo portare un atlante. Dato che si trattava di un volume rilegato, di un formato più grande rispetto agli altri libri di scuola e stampato su carta migliore e a colori, veniva considerato come qualcosa di speciale. Alcuni tra gli studenti meno abbienti non potevano permetterselo, e chi ne possedeva uno, che doveva servire per sei anni di scuola, lo conservava con molta cura. In apertura si trovava raffigurato un planisfero, né proprio rotondo né proprio ovale, che ti dava l’impressione di avere davanti il mondo intero.


“Voi siete qui”, il nuovo Atlante rivoluziona le mappe della terra    
ORHAN PAMUK
Trent’anni fa, a partire dalla prima media nell’ora di geografia dovevamo portare un atlante. Dato che si trattava di un volume rilegato, di un formato più grande rispetto agli altri libri di scuola e stampato su carta migliore e a colori, veniva considerato come qualcosa di speciale. Alcuni tra gli studenti meno abbienti non potevano permetterselo, e chi ne possedeva uno, che doveva servire per sei anni di scuola, lo conservava con molta cura. In apertura si trovava raffigurato un planisfero, né proprio rotondo né proprio ovale, che ti dava l’impressione di avere davanti il mondo intero.
Elemento imprescindibile di questo che si definiva atlante «politico» erano le bandiere nazionali a fondo pagina, grandi quanto francobolli. Nell´anno 1965 l´atlante riportava 105 bandiere. Nel frattempo, sull´onda della decolonizzazione dell´Africa e dopo la fine dell´Unione Sovietica il numero delle bandiere è aumentato notevolmente. Non pare essere stato molto difficile, all´epoca, imparare a memoria quelle 105 bandiere e la loro appartenenza.Tra noi compagni di classe era un gioco: di volta in volta coprivamo il nome della nazione sotto a ciascuna bandiera e chiedevamo a quale stato appartenesse. Probabilmente già con questo semplice giochetto imparavamo una serie di cose a proposito delle bandiere quali simboli di appartenenza e di “rappresentanza”. Che in tal modo si toccassero anche questioni di potere e problemi identitari, ancora non lo capivo affatto dalla cartina colorata e dalle bandierine variopinte. Per me erano soltanto riproduzioni di un mondo molteplice e vario, non diverse dai francobolli che un giovane e solerte collezionista inserisce nell´album. Tramite una piccola immagine colorata si potevano distinguere facilmente paesi e nazioni, più o meno come avviene con le maglie del calcio.
Ebbene, io ero ancora un bambino ingenuo, ma forse non avevo del tutto torto. All´epoca non accadeva ancora che a Istanbul dopo le partite di calcio bande di uomini urlanti con le bandiere in mano invadessero le strade buie e si accoltellassero gli uni con gli altri. (…) Allora la bandiera non evocava in me alcun timore. O ero un bravo piccolo nazionalista cresciuto ai princìpi del sistema educativo turco, oppure la rossa bandiera con la stella e la mezzaluna rappresentava per me qualcosa di ben diverso rispetto a oggi.
Quest´anno ho vissuto una serie di esperienze legate alla bandiera turca che tuttora mi fanno riflettere, per cui desidero fermarmi a parlarne.
Esiste in Turchia una cosiddetta questione curda che è sboccata in un vicolo cieco e ha assunto forme di guerra a causa dell´atteggiamento sconsiderato e intransigente del governo. Sebbene siano in diversi a condividere con me l´opinione che il problema in qualche modo abbia a che fare con le aspirazioni identitarie dei curdi e debba dunque essere risolto in maniera pacifica e democratica, in mezzo al gran frastuono nazionalistico e alle grida di guerra le loro voci a malapena vengono percepite. Tra queste voci vi è quella del Partito popolare democratico, i cui elettori sono in prevalenza curdi. Circa un mese fa il partito ha voluto dimostrare che esso rispetta l´unità turca e che intende raggiungere i propri obiettivi mantenendosi nella legalità. Pertanto, al proprio congresso ha fatto appendere un´enorme bandiera turca. Un giovane curdo, cui non andava a genio un simile atteggiamento moderato da parte della dirigenza del partito, ha tagliato la corda della bandiera davanti agli occhi di giornalisti e telecamere, portando in tal modo la Turchia sull´orlo della guerra civile. Ripetutamente in televisione si è vista e rivista l´immagine al rallentatore di quell´enorme bandiera che si piegava e scivolava lenta a terra davanti agli occhi della folla con una drammaticità che faceva venire in mente il finale del Fantasma dell´opera. La dirigenza del partito è stata arrestata e si è proclamata una “settimana della bandiera”, mentre alle finestre di decine di migliaia di abitazioni all´improvviso sono apparse bandiere turche. (…)
Come noto, Cipro rappresenta da quarant´anni il pomo della discordia tra Grecia e Turchia. La scorsa estate gruppi di irriducibili nazionalisti di entrambe le parti hanno aggiunto un nuovo capitolo a questa annosa vicenda. Dapprima hanno cominciato alcuni giovani nazionalisti greci, che con le loro moto hanno compiuto una serie di provocatorie azioni di sconfinamento lungo la linea di separazione tra la zona turca e la zona greca. I funzionari di frontiera turchi hanno reagito, e si sono avuti piccoli scontri. Durante uno di questi scontri, dal lato turco un giovane cipriota greco all´improvviso ha cominciato ad arrampicarsi su per l´asta della bandiera. Era chiaro che il giovane, disarmato, aveva in mente di tirare giù dal pennone la bandiera turca. Ma una volta arrivato quasi in cima, è stato colpito da una pallottola turca e ha perso la vita. In questo modo la faccenda ha assunto d´un tratto una dimensione ben diversa. Tra la pubblica opinione turca si sono levate voci che hanno dichiarato che la reazione assolutamente sproporzionata dei soldati, costata il prezzo di una vita umana, danneggiava il prestigio internazionale della Turchia. Tuttavia, politici turchi di tendenza nazionalista si sono opposti affermando: «Chi oltraggia la sacra bandiera deve morire».
In occasione del festival britannico di Hay-on-Wye e dell´uscita dell´edizione tascabile del mio romanzo Il libro nero ho trascorso quest´anno un breve periodo in Inghilterra. Mi era piaciuto il fatto che a differenza di quasi tutti gli altri editori la casa editrice Faber avesse scelto per la copertina del libro non il nero, ma il rosso. Una volta a Londra, ho visto che sulla copertina del tascabile sul rosso dello sfondo campeggiavano la stella e la mezzaluna della bandiera turca. (…)
Al termine di una mia lettura londinese un uomo tra il pubblico è intervenuto e mi ha chiesto come avessi potuto permettere che la copertina del mio libro venisse deturpata con la bandiera turca, simbolo di tutte le malefatte della Repubblica Turca. Il giovanotto alludeva al mio impegno in favore dei diritti democratici e culturali dei curdi in Turchia, e ha parlato in tono amichevole e cortese; tuttavia era chiaramente percepibile quanto fosse grande la sua delusione. (…)
Nella mia infanzia la bandiera era il simbolo della nazione. In seguito comprendemmo che era, piuttosto, il simbolo del nazionalismo. Adesso invece essa sembra significare qualcosa di molto più indistinto e molto più singolare del nazionalismo. Se non comprenderemo al più presto cosa sia esattamente questo qualcosa e non ne definiremo le regole, a causa della bandiera scorrerà ancora molto sangue.
Il testo è pubblicato integralmente sul nuovo numero di Limes (Traduzione dal tedesco di Monica Lumachi)

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