Qualcuno era socialista

Il socialismo, diceva Albert Einstein, è il tentativo dell’umanità  di superare e lasciarsi alle spalle la fase predatoria dello sviluppo umano». Lo ricorda alla fine di un candido e convincente libricino intitolato Socialismo perché no? (Ponte alle Grazie, 60 pagine, 9 euro; la traduzione è di Francesca Valente) il filosofo canadese Jerry Cohen, morto purtroppo un anno fa, che aggiunge: «Qualunque mercato, anche un mercato socialista, è un sistema di predazione. Fino a questo momento il nostro tentativo di superare i rapporti di predazione è fallito. Ma non è detto che la giusta conclusione sia arrenderci».

Il socialismo, diceva Albert Einstein, è il tentativo dell’umanità  di superare e lasciarsi alle spalle la fase predatoria dello sviluppo umano». Lo ricorda alla fine di un candido e convincente libricino intitolato Socialismo perché no? (Ponte alle Grazie, 60 pagine, 9 euro; la traduzione è di Francesca Valente) il filosofo canadese Jerry Cohen, morto purtroppo un anno fa, che aggiunge: «Qualunque mercato, anche un mercato socialista, è un sistema di predazione. Fino a questo momento il nostro tentativo di superare i rapporti di predazione è fallito. Ma non è detto che la giusta conclusione sia arrenderci».

Consiglio caldamente la lettura di queste pagine ai nostri saccenti, ignoranti, chiacchieroni, cinici funzionari della politica, e consiglio loro anche l’ultimo numero della rivista americana Dissent, notoriamente di buon senso nelle sue riflessioni sul presente degli Usa e del mondo, ricordando che i nostri politici di sinistra sono in generale più yankee di Obama e più capitalisti di Marchionne. Nel numero dell’estate c’è un dibattito molto interessante intitolato Socialism Now? Intervengono Sheri Berman, che si chiede che fine ha fatto la sinistra europea (e una risposta dall’Italia non potrebbe che essere comica e disastrosa) e Robin Blackburn sulla crisi odierna del modello capitalista, mentre Jack Clark si chiede cosa dovrebbe e potrebbe fare un presidente un po’ socialista negli Usa di oggi e lo stesso Michael Walzer, che non è un testa calda, si pone il problema di «quale socialismo».

L’aspetto più interessante del pamphlet di Cohen è il suo punto di partenza, nientemeno che… il campeggio, come modello di socialismo reale, dove si pratica senza saperlo «un sistema di vita socialista preferendolo alle altre alternative possibili» e dove si realizzano ideali di uguaglianza e ideali di comunità, o meglio di uguaglianza delle opportunità. Dopo la descrizione – bella e convincente – di questo modello, Cohen si chiede se, ammesso che possa essere realizzabile, il socialismo sia anche desiderabile, e si confronta con le ideologie del mercato, che «1) fa leva su motivazioni di bassa lega, 2) per fini desiderabili; ma 3) producendo anche effetti indesiderabili, compreso un alto grado di disuguaglianza».

Infine, se «l’aspirazione socialista è di estendere il senso della comunità e la giustizia a tutta quanta la nostra vita economica», è indispensabile difendere la comunità «dall’aggressiva minaccia del principio di mercato». «Qualsiasi tentativo di realizzare l’ideale socialista si scontra con l’irriducibilità del potere capitalista e l’egoismo individuale» (cui può servire da antidoto il “modello campeggio”) ma non è sufficiente constatarlo per rinunciare all’impresa: contribuire a superare “la fase predatoria dello sviluppo umano” resta il compito fondamentale di coloro che temono le tendenze del presente, affermate dal dominio dell’oligarchia capitalista e della sua morale, della sua capacità di corrompere o annichilire.

Essa ama presentarsi come l’unica possibilità disponibile, e ha a disposizione della sua propaganda tutti coloro che ne possono trarre vantaggi o che si sono lasciati abbrutire dal coro unanime di chi sostiene che è questo l’unico modo possibile di stare sulla terra, oggi e proprio oggi. Ci si fa piacere, grazie al vantaggio particolare che se ne ricava e grazie alla sfiducia ossessivamente diffusa nella possibile realizzazione di un altro modello, tutta la sua merda o barbarie, si comprano e conquistano con quattro denari e un po’ di fama transitoria i diffusori di questo modello allo stesso modo in cui Berlusconi compra e conquista i suoi lacchè. E intanto, dice Cohen da una tenda del suo campeggio ideale, il “gigantesco abisso” che separa i ricchi dai poveri nel mondo capitalista è destinato crescere ancora, e la differenza tra loro non dipende certo dalla fortuna o dall’azzardo. Oggi il gioco d’azzardo lo si può evitare ma il mercato no: «il mercato è un casinò dal quale è molto difficile fuggire, ed è per questo che le disuguaglianze da esso prodotte sono macchiate dall’ingiustizia».

Non so se Cohen è, come ha scritto qualcuno sul The Guardian il miglior filosofo politico che la sinistra abbia avuto negli ultimi decenni. Ma fa certamente piacere vedere che in giro per il pianeta ci sono ancora pensatori e studiosi che sanno che un’alternativa al sistema capitalista è ancora possibile. Nel nichilismo diffuso che pervade i migliori tra noi e che è alla base della morale dei nostri politici economisti intellettuali, tutti convinti che non c’è altro da fare che “accettare”, fa certamente piacere non sentirsi troppo soli.

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