Milano, 1983. Sergio Segio viene arrestato dai carabinieri. E’ l’ultimo a venir catturato
Milano, 1983. Sergio Segio viene arrestato dai carabinieri. E’ l’ultimo terrorista a venir catturato. In carcere, Sergio ricorda i tempi in cui distribuiva volantini all’uscita delle fabbriche e quando, dopo la strage alla stazione di Bologna, costituisce il movimento Prima Linea. Nelle riunioni periodiche conosce Susanna e decidono di vivere insieme, compatibilmente con il loro stato di perenni fuggiaschi. Poi l’escalation della violenza: la gambizzazione di una capo reparto, l’omicidio del giudice Alessandrini, l’uccisione del giovane Vaccher, reo di aver parlato alla polizia. Infine l’ultima impresa: la liberazione dal carcere di Rovigo di quattro detenute politiche fra cui la stessa Susanna…
Sergio Segio è nato nel 1955 a Sesto San Giovanni, a quel tempo chiamata “la Stalingrado italiana”, come ci ricorda Riccardo Scamarcio nei panni dello stesso Segio. Studiò filosofia alla statale di Milano ma iniziò presto a impegnarsi in politica e a redigere volantini da distribuire agli operai all’uscita delle fabbriche. La strage di Piazza Fontana e poi la bomba alla stazione di Bologna, percepite da subito come azioni di destra, lo convinsero a passare “dalle parole ai fatti” e a metà degli anni ’70 fu fra i fondatori di Prima Linea.
I primi 10 minuti del film vengono impiegati per raccontare molto velocemente, tramite un monologo dello stesso protagonista ormai in carcere, la genesi e le motivazioni che spinsero Segio a fondare “Prima Linea”, nome che nelle sue intenzioni voleva suggerire un’ipotetica avanguardia di un futuro esercito popolare con il quale si sarebbe realizzata la rivoluzione antiborghese.
Già da questo incipit gli sceneggiatori si preoccupano di far esprimere a Sergio, accenti di pentimento per quanto è stato fatto: “Eravamo convinti di aver ragione e invece avevamo torto. Ma allora non lo sapevamo”.
Il film prosegue raccontando con molta cura nei dettagli le azioni sempre più cruente di Prima Linea (ai tempi dell’omicidio di Aldo Moro Prima Linea si dissociò dalle Brigate Rosse ma poi anche il movimento di Segio, si decise per l’escalation violenta) ma al contempo cerca sempre di inserire elementi che siano in grado di sottolineare la follia delle loro azioni.
Proprio il giorno prima che Sergio compia in prima persona l’eccidio più efferato, quello del magistrato Emilio Alessandrini (ucciso a sangue freddo subito dopo aver accompagnato suo figlio a scuola), Sergio viene fatto incontrare con un suo vecchio amico che gli dice chiaramente che il movimento ha perso l’adesione della base operaia, che tutti li stanno abbandonando.
La sceneggiatura rischia anche di scivolare nel melodrammatico quando fa dire a Scamarcio/Segio, nel momento in cui dichiara a Susanna di voler lasciare l’organizzazione: “per costruire un mondo migliore è giusto rinunciare alla nostra umanità ?” E subito dopo una manifestazione di sensibilità , ben poco convincente: “quando ti vedono, le nostre vittime capiscono che sei li per loro. Ti guardano. Quello sguardo ce lo porteremo dentro per sempre”.
Questo continuo portare avanti il film premendo al contempo l’acceleratore e il freno costituisce la componente più debole del racconto e globalmente risulta poco convincente. Sembra di intravvedere nel film la presenza di due “anime”: quella desiderosa di sfruttare l’ottimo materiale messo a disposizione dal romanzo “Miccia corta” dello stesso Sergio Segio che racconta con dovizia di particolari il suo “capolavoro”: la fuga di quattro detenute fra cui la stessa Susanna, dal carcere femminile di Rovigo e che su di questo nucleo originario si sia sovrapposta, forse da parte della produzione, la preoccupazione che il film risultasse un’apologia del terrorismo: da qui la disseminazione nel dialogo ai continui “accenni di pentimento”.
Il film è stato di recente sotto l’attenzione dei giornali per i dubbi che si erano manifestati sulla decisione preliminare della Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di concedere un finanziamento a un film dove il protagonista è un terrorista. Molto correttamente il produttore ha rinunciato al finanziamento dopo che anche il Ministro Bondi aveva espresso le sue perplessità .
Non sono però cessate le polemiche: il produttore Occhipinti aveva detto “un paese maturo non ha paura di guardare nel proprio passato” .
L’osservazione è giusta ma è proprio questo il punto: il film aiuta a comprendere perché certi giovani imbracciarono le armi? E successivamente c’è stato vero pentimento come suggeriscono molti dialoghi?
E’ utile a questo scopo leggere qualche brano tratto dalla prefazione fatta dallo stesso Sergio Segio alla riedizione nel 2009 del suo libro (guarda caso, in occasione dell’uscita del film):
“…si sono insomma imposte condizioni e paletti affinché il film venga scritto e girato “a comando”, con la libertà artistica legata al guinzaglio e minacciata di rappresaglia economica, con un meccanismo degno dei tempi di McCarthy. Ma, allora, c’era se non altro un movimento di opposizione alle persecuzioni e ai bavagli. Ora, che la censura si è fatta democratica e bipartisan, tutto tace e tutto va bene…con il rischio che si tratteggi un “Romanzo criminale”, anziché fornire necessari elementi di lettura, comprensione e contestualizzazione su quello che è stato, comunque, un fenomeno dalla radice politica e sociale. ..
Nostra madre (ndr: l’origine del movimento) veniva da un casato più antico, che aveva avuto corso ed era stato assai fecondo lungo tutto il Novecento. Il suo nome era: rottura rivoluzionaria. Un’utopia concreta che aveva preso le mosse dal ’17 sovietico, ma che affondava le robuste radici sin nel rivolgimento francese di fine Settecento e nei moti e nella cultura anarchica, proletaria e socialista dell’Ottocento, nelle aspirazioni alla libertà , all’eguaglianza, alla fraternità e alla giustizia sociale. Gli anni Settanta sono un passato che non passa”.
Se Sergio ha ragione nel sottolineare che il film sorvola troppo velocemente sulle origini ideologiche del movimento e quindi non contribuisce a una maggior comprensione di quell’epoca, sembra di scorgere nelle sue parole, ancora oggi, una grande nostalgia per gli ideali di quel tempo. E’ probabile (ma qui ci spostiamo nel mondo delle pure congetture) che il suo sia stato, più che un completo pentimento, l’atteggiamento di un combattente che riconosce di aver perso la guerra e che è stato giusto deporre le armi.
Il film si conclude con dei sottotitoli che ricordano come sia Sergio che Susanna, usciti dal carcere (dopo 22 anni di reclusione lui e 18 lei) si siano dedicati al volontariato. In effetti collaborano, tra gli altri, con il Gruppo Abele e don Luigi Ciotti, con la CGIL, con il Centro culturale San Fedele di Milano e con l’ex finanziere Sergio Cusani.
L’ex ministro Livia Turco aveva desiderato inserire Susanna in un ruolo di consulente ministeriale per la lotta alla droga, ma rinunciò per le proteste.Successivamente, dopo il suo inserimento nel 2006 nella Consulta Nazionale degli Operatori delle Dipendenze quando era Ministro Paolo Ferrero, Susanna si è dovuta dimettere per le proteste di chi non reputa opportuno che un terrorista, anche se ha scontato la sua pena, possa accedere a una carica pubblica.
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