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Morì in cella a Roma, indagati sei sanitari il dramma nelle lettere: ridatemi la mia bimba

Simone La Penna, ucciso dall’anoressia, scrisse alla sorella il suo dolore. Il pm: “Perché non gli furono concessi i domiciliari?”.  “In 3 giorni ho perso un altro chilo, sono a pezzi tra sonniferi e psicofarmaci”.  L’accusa: omicidio colposo. Oggi il ministro della Giustizia riferirà  alla Camera

Simone La Penna, ucciso dall’anoressia, scrisse alla sorella il suo dolore. Il pm: “Perché non gli furono concessi i domiciliari?”.  “In 3 giorni ho perso un altro chilo, sono a pezzi tra sonniferi e psicofarmaci”.  L’accusa: omicidio colposo. Oggi il ministro della Giustizia riferirà  alla Camera

ROMA – Simone La Penna quando è entrato in carcere, a Regina Coeli, nel gennaio del 2009, pesava 80 chili. Quando è morto, il 26 novembre dello stesso anno, ne pesava poco più di 45. Cinque medici e un´infermiera sono ora indagati per omicidio colposo dalla procura di Roma. E oggi il ministro della Giustizia Angelino Alfano, su richiesta di alcuni deputati, risponderà in Parlamento di quanto accaduto. Il pm Eugenio Albamonte accusa i sanitari di non aver curato adeguatamente sia l´anoressia, sia gli effetti devastanti che la patologia mentale ha scatenato sul fisico del detenuto-paziente. Ma un aspetto che dovrà essere chiarito dalla procura è anche il perché a Simone La Penna, in quelle condizioni così gravi di salute, non siano stati concessi gli arresti domiciliari.
Ma a scatenare l´anorresia mentale al detenuto è stato il distacco dalla figlia. Lo dimostra una lettera ora acquisita dalla magistratura scritta dal La Penna poco prima di morire, una sorta di premonizione di quel che gli stava per accadere rimasta del tutto inascoltata. L´uomo sentiva che la vita gli stava scivolando via chilo dopo chilo. E alla sorella aveva scritto: «Cara Martina, quanti anni mi devo scordare di vedere mia figlia crescere? Questo mi sta uccidendo, credimi. In tre giorni ho perso un altro chilo e sto a 49, sto a pezzi… lo psichiatra mi ha aumentato ancora di più la terapia sabato. Questi basta che ti danno sonniferi e psicofarmaci così dormi e… quando te svegli più?». «Mio fratello la mattina del 26 novembre non s´è svegliato più – ricorda ora Martina, la sorella che da mesi sta lottando per avere giustizia – ucciso dalle cure mancate, stordito dai Tavor, sprofondato nella depressione dai continui rifiuti di poter scontare la carcerazione preventiva agli arresti domiciliari».
La Penna con sorprendente severità è stato tenuto in prigione fino a quando non è morto nonostante anche il Garante del detenuto avesse chiesto la sua scarcerazione per motivi di salute. La sua morte, subito denunciata da Irene Testa, segretaria dell´associazione “Il detenuto ignoto”, è stata da alcuni associata a quella di Stefano Cucchi, anch´egli morto in carcere. Ma la procura s´è affrettata a segnalare la differenza fra le due tragedie, la prima ascrivibile ad una errata terapia, la secondo provocata dalle botte degli agenti di polizia penitenziaria. Il segretario dei Radicali, Marco Staderini, parla di è «assassinio di Stato» perché «alle responsabilità individuali che saranno accertate dai magistrati, si sommano quelle di uno Stato che consapevolmente tiene 68mila persone in celle che ne potrebbero ospitare 44mila, privandoli di assistenza psicologica e di cure mediche adeguate, salvo riempirli di psicofarmaci». Simone La Penna è morto nella cella del Regina Coeli, senza poter realizzare l´unico sogno che aveva, trasmesso alla sorella nell´ultima lettera scritta prima della morte. «Tanto un giorno torneremo tutti insieme vero Martina? Le nostre figlie finiranno di crescere insieme. Questo è il mio sogno. Tuo fratellone Simone».

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