Vent’anni fa, il 3 ottobre del 1990, 11 mesi dopo la caduta del Muro, la riunificazione tra Repubblica Federale e Ddr Berlino si prepara a celebrare l’anniversario e quei 300 giorni che cambiarono il mondo. Senza enfasi ma con orgoglio.
La notte in cui la Germania diventò una nazione sola. La svolta sull’onda della rivoluzione polacca. Il regime di Honecker venne mollato da Mosca Gorbaciov e Bush senior, la Thatcher e Mitterand: un accordo sancito dai Grandi del mondo L’accorpamento costa ancora 100 miliardi di euro l’anno, quanto tutto il Piano Marshall
ANDREA TARQUINI
BERLINO
Niente parate militari, né jet sfreccianti col fumo nero-rosso oro del tricolore federale, niente sfoggio di orgoglio nazionale. Vent’anni dopo, tra understatement, discorsi e grandi feste popolari qui nella fredda e piovosa Berlino, la prima potenza europea si prepara a celebrare il grande anniversario.
Vent’anni fa, il 3 ottobre del 1990, 11 mesi dopo la caduta del Muro, la riunificazione tra Repubblica Federale e Ddr Berlino si prepara a celebrare l’anniversario e quei 300 giorni che cambiarono il mondo. Senza enfasi ma con orgoglio.
La notte in cui la Germania diventò una nazione sola. La svolta sull’onda della rivoluzione polacca. Il regime di Honecker venne mollato da Mosca Gorbaciov e Bush senior, la Thatcher e Mitterand: un accordo sancito dai Grandi del mondo L’accorpamento costa ancora 100 miliardi di euro l’anno, quanto tutto il Piano Marshall
ANDREA TARQUINI
BERLINO
Niente parate militari, né jet sfreccianti col fumo nero-rosso oro del tricolore federale, niente sfoggio di orgoglio nazionale. Vent’anni dopo, tra understatement, discorsi e grandi feste popolari qui nella fredda e piovosa Berlino, la prima potenza europea si prepara a celebrare il grande anniversario.
Il ricordo corre al 3 ottobre 1990, e anche a chi lo visse sembra molto più di un ventennio. Allora il Trattato tra Bonn e Berlino Est e quello tra i vincitori della seconda guerra mondiale e i due Stati tedeschi entrarono in vigore: tra speranze tedesche, consenso di Gorbaciov e di Bush senior e paure di Francia, Regno Unito e tanti altri, la Germania tornò unita. Senza caccia alle streghe, senza vendette dei vincitori contro i vinti. Quel 1990, nei ricordi, è una sequenza dei 300 giorni che cambiarono il mondo.
Non è facile, oggi a Berlino unita, trovare tracce nei Luoghi della Storia. Del Muro della vergogna restano pochi segmenti per la Memoria, e una linea rossa di sampietrini sul pavé attorno alla Porta di Brandeburgo, dove 13 croci bianche ricordano alcuni dei tanti colpiti a morte dai Vopos mentre fuggivano. Sono scomparsi, all´Est di Berlino, grigiore e degrado di edifici delabré e gente dal volto più grigio e dimesso degli abiti. Oggi l´ex cupa “capitale della Ddr” è la parte più trendy della risorta metropoli del Mitteleuropa, e anche l´Est si gode sir Simon Rattle dirigere la Philarmonie che fu di von Karajan e di Abbado.
La svolta era cominciata nel 1989, sull´onda lunga della rivoluzione polacca. Schiacciato dalla fuga in massa attraverso l´Ungheria, e dalle proteste di piazza, il regime si era rassegnato ad aprire il Muro. Da quel momento, aveva perso il controllo. Temendo il peggio, sommosse o una repressione tipo Tienanmen, Kohl e il suo team cominciarono la corsa contro il tempo. Il “Piano in dieci punti”, presentato il 28 novembre, fu la sorpresa da poker del cancelliere: una tabella di marcia per avvicinare e riunificare i due Stati. A Bonn nessuno voleva crederci, a Berlino Est la gente premeva in piazza: sull´Unter den Linden e sulla Alexanderplatz, inneggiavano sempre a “Gorby”, ma non gridavano più “wir sind das Volk”, noi siamo il popolo. “Wir sind ein Volk”, noi siamo un solo popolo, era il nuovo slogan.
Il regime cadeva a pezzi: pochi mesi dopo la caduta del dittatore Honecker, era stato destituito il suo delfino Egon Krenz. Hans Modrow, capo dei riformisti, cercò invano di salvare il salvabile. «Ma presto capimmo che era troppo tardi, mi resi conto che Mosca ci stava abbandonando», mi dice Modrow. In gennaio, i dissidenti e la folla occuparono l´edificio più temuto del paese, l´enorme sede della Stasi a Normannenstrasse. «Dateci i dossier su di noi», dicevano.
Era caduta l´ultima, decisiva soglia della paura. A ogni visita, Kohl riempiva le piazze. E intanto il paese si svuotava: frontiere ormai aperte, se ne andavano all´Ovest in duemila al giorno. I più giovani, i più bravi, i più istruiti. L´economia era al collasso, «e il collasso dell´Urss ci trascinò in fondo», ricorda triste Hans Modrow. Ma due speranze, il regime non le aveva ancora perse: l´appoggio dei falchi di Mosca – esercito, Kgb e partito – e la paura dichiarata della Thatcher, di Mitterrand e di altri leader europei, Andreotti incluso, verso il ritorno d´una Grande Germania. Solo Bush appoggiava Kohl, Gorbaciov non sapeva come muoversi. Nella notte dell´assalto popolare alla Stasi, un reggimento di tank sovietici poco distante fu messo in allarme rosso. Solo la telefonata di Kohl rassicurò il Cremlino: «Signor segretario generale, le do la mia parola che i vostri non corrono e non correranno alcun pericolo».
Cominciano a capirsi, a fidarsi, a giocare insieme la partita, Bush senior, il leader della perestrojka e quel politico renano triste in segreto per la moglie malata, lui che un anno prima a un passo dalla caduta. Giocarono contro tutti. Contro la Thatcher, contro Mitterrand che a dicembre ´89 aveva visitato la Ddr promettendole «pari dignità con Bonn». Quasi nelle stesse ore, Kohl era pochi chilometri distante, a Berlino Ovest, ma i due non si videro. «Gorbaciov me lo fece capire, faccia a faccia al Cremlino: avevano deciso di abbandonarci», racconta Modrow. Poi, il 10 febbraio, Helmut Kohl fu ricevuto al Cremlino. «Che i tedeschi decidano da soli il loro cammino», si sentì dire. Un mese dopo, il 18 marzo, la Ddr visse le prime e uniche elezioni libere. La Cdu stravinse. Cominciarono allora le trattative dirette Bonn-Berlino Est, sotto la stretta sorveglianza dei Grandi.
Con mesi di trattative snervanti e consulti segreti giorno e notte, Kohl, il ministro degli Esteri Genscher tenuto in vita da tre bypass, Schaeuble paralizzato da un attentato, Waigel in crisi coniugale, più Bush e il segretario di Stato James Baker, piegarono le resistenze di Thatcher e Mitterrand. Più di una telefonata tra il cancelliere e il capo del Cremlino fu dura. Mikhail Serge´evic minacciato dai falchi chiedeva disperatamente crediti. Solo al vertice nel Caucaso, Kohl e “Gorby” arrivarono all´intesa: con aiuti per 55 miliardi di marchi, il cancelliere strappò al segretario generale un sì alla riunificazione, e a una Germania unita nella Nato. A Berlino Est, all´euforia cominciava ad affiancarsi il panico. L´unione monetaria con Bonn era entrata in vigore, tasso di fatto 1 a 1 tra il marco federale e quello dell´est quotato al cambio nero poco più di 10 centesimi, salari e pensioni subito alzati. Quel che restava dell´industria della Ddr crollò, oltre due milioni dei 16 milioni di tedeschi dell´est finirono senza lavoro.
L´esodo continuava, le città di spopolavano. Il trattato per la riunificazione fu firmato il 31 agosto: l´Est in ginocchio accettava di entrare nella Bundesrepublik, e di assumerne costituzione e ordinamento. 12 giorni dopo, a Mosca, firmando insieme ai tedeschi il “Trattato due più quattro” i vincitori della seconda guerra mondiale abrogarono i loro diritti di potenza occupante. Si arrivò così a quella sera del 3 ottobre di vent´anni fa, con Kohl e il vecchio Willy Brandt fianco a fianco, osannati da una folla oceanica a un passo dall´ex Muro.
Non tutti sono arrivati vivi al ventennale: Brandt e Mitterrand furono piegati dal cancro, Honecker morì da esule in Cile. Kohl e Gorbaciov, segnati entrambi dalla morte delle mogli, e Bush senior si frequentano da grandi ex, i segni dell´età sempre più impietosi. La riunificazione costa ancora al bilancio federale 100 miliardi di euro l´anno, cioè quanto tutto il Piano Marshall. La Germania Est è risorta ma a pelle di leopardo, tra poli di sviluppo postmoderno come le splendide Jena, Lipsia o Dresda e vecchie città industriali spopolate. Nell´animo, i tedeschi non si sentono ancora uniti, ma se passeggi tra loro a est o a ovest raramente te ne accorgi. E sono riusciti a diventare potenza dal volto umano, che vuol vincere non più guerre, bensì la pace. =252) refR=refR.substring(0,252)+”…”; // –>
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