Poster del regime, foto di folle, busti del Führer per uso domestico un’esposizione a Berlino racconta il coinvolgimento del paese “Noi consenzienti e colpevoli” la Germania nazista in mostra Inaugurazione venerdì al Museo storico. Con un obiettivo: conservare la memoria
Poster del regime, foto di folle, busti del Führer per uso domestico un’esposizione a Berlino racconta il coinvolgimento del paese “Noi consenzienti e colpevoli” la Germania nazista in mostra Inaugurazione venerdì al Museo storico. Con un obiettivo: conservare la memoria
Guardate, è il nostro “come eravamo”: consenzienti, consapevoli e colpevoli. Il messaggio, lanciato con freddo rigore scientifico, suona così. Non era mai accaduto prima nel dopoguerra diviso e poi riunificato della Germania. “Hitler e i tedeschi, comunità nazionale e crimine”, s´intitola la mostra che apre questo venerdì a Berlino unita.
La mostra è ospitata nel Deutsches historisches Museum, nell´edificio che il geniale architetto cinese Ieoh Ming Pei costruì per volontà del padre della riunificazione Helmut Kohl sull´Unter den Linden. Là, a un passo dal Luogo dove i nazisti inscenarono il Rogo dei libri, il paese che oggi è la più solida democrazia europea fa ancora una volta, senza pietà con se stesso, i conti con la Storia.
Val la pena di venire qui per vedere la mostra. E constatare come, in un´Europa dove riemergono ovunque i fantasmi del passato, il paese-leader si flagella in pubblico pur di tentare di esorcizzarli. Ecco i primi manifesti del regime, le foto di folle che accolgono il Führer sedotte da un futuro radioso, ecco i busti di Hitler in ghisa prodotti a milioni per ogni devota famiglia, o i poster della Luftwaffe risorta che pochi anni dopo avrebbe raso al suolo Guernica e Varsavia, Rotterdam e Coventry.
Non dobbiamo dimenticare, chiediamoci perché scendemmo negli Inferi di quell´entusiasmo, è il messaggio della mostra. Lo ha spiegato in sostanza il massimo curatore, lo storico Hans-Ulrich Thamer. Sottolineando anche un criterio che è discriminante decisiva: l´esposizione vuole illustrare ogni aspetto della vita quotidiana nella Germania di allora, ma non si è risparmiata autocensure. Ne sono esclusi l´enorme ritratto di Hitler, 156 per 120, che dopo la fine della guerra i soldati vittoriosi della U.S. Army sequestrarono in uno dei palazzi del tiranno. E sono assenti anche uniformi del Führer o dei suoi reparti scelti, in massima parte ancora custoditi a Mosca fin da quando le armate e i cacciabombardieri Shturmovik del Maresciallo Zhukov a maggio ´45 presero Berlino. Autocensura ovvia, spiega Thamer: la mostra deve mostrare l´abisso, non diventare attrazione per i nostalgici e gli estremisti vecchi e nuovi.
Autocensura ma non per assolversi. Ecco il manifesto che ritrae un biondo, arianissimo ragazzino con la camicia bruna e Hitler sullo sfondo. “I giovani servono il Führer, tutti da dieci anni d´età in poi nella Hitlerjugend”. O l´arazzo regalato al regime dalle organizzazioni femminili di massa naziste, che invita a “portare la svastica in Chiesa”: ritrae plotoni della Hutlerjugend e delle SA che marciano compatti in formazione a croce. Immagine di perfetta efficacia propagandistica, manca solo il sonoro di allora, voci giovanili che intonavano lo Horst-Wessel-Lied, l´inno nazista.
“Come potè il popolo più civile e colto d´Europa scendere a tale abisso?”. La domanda, che il premio Nobel per la pace Elie Wiesel ripete ogni volta che Angela Merkel lo riceve a Berlino, risuonerà come un grido nella coscienza, per chiunque da venerdì vedrà la mostra. I curatori citano lo storico inglese Ian Kershaw: una delle chiavi del successo di massa di Hitler fu il suo messaggio messianico, quasi religioso. Kershaw ricorda una frase rivelatoria d´un discorso del Fuehrer del 1936: “Il fatto che mi abbiate trovato tra tanti milioni di persone è il miracolo della nostra epoca, e la fortuna della Germania è che sia stato io a trovarvi”. Messianismo e immagine del leader come padre amoroso, come uno di noi. Ecco la raccolta di istantanee di Heinrich Hoffmann, il fotografo prediletto del tiranno, che convinse i tedeschi mostrando “Hitler wie Ihn Keiner kennt”, lo Hitler del privato e del quotidiano come nessuno lo conosceva. O il “Fuehrerquartett”, cioè Hitler insieme al presidente nazionalconservatore Hindenburg e ad altri grandi del regime. E documenti che provano il clima di delazione di massa, quell´atmosfera – spiegano i curatori della mostra – in cui la maggioranza della gente si adeguò passiva all´alternativa tra il consenso e la spirale di isolamento, denuncia, repressione. Così i tedeschi di allora marciarono alla guerra e alla catastrofe del 1945. I tedeschi di oggi non chiudono gli occhi, scelgono il monito della Memoria.
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