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Arriva la sentenza attesa da mesi sull’omicidio del giovane Grigoropoulos, ma la tensione nel Paese resta alta Un ergastolo per Epaminondas Korkoneas, dieci anni per Vassilis Saraliotis: gli assassini di Alexandros Grigoropoulos sono stati condannati dopo otto mesi di udienze, durante i quali tutto, proprio tutto in Grecia, è cambiato
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Arriva la sentenza attesa da mesi sull’omicidio del giovane Grigoropoulos, ma la tensione nel Paese resta alta Un ergastolo per Epaminondas Korkoneas, dieci anni per Vassilis Saraliotis: gli assassini di Alexandros Grigoropoulos sono stati condannati dopo otto mesi di udienze, durante i quali tutto, proprio tutto in Grecia, è cambiato
”La sentenza riguarda la società greca nel suo insieme”. A dirlo è Gina Tsalikian, madre di Alexandros. La lucidità della donna ha il sapore di un’erba medicinale tanto amara, eppure si deve bere intera, goccia dopo goccia. Per guarire, forse, per arginare le ferite, in ogni caso.
Le gocce sono quelle del sangue di Alexandros, un ragazzo che di anni ne aveva appena quindici, colpito a morte dalle pallottole sparate dall’agente speciale Epaminondas Korkoneas, la sera del 6 dicembre 2008, con il concorso del collega Saraliotis. Le gocce sono quelle della piena di rabbia che ne seguì e che diede fuoco, nelle due settimane successive all’assassinio, ad un Paese che si scopriva al limite del proprio compiacimento.
Ora la sentenza, peraltro attesissima, arriva accolta da un generale silenzio, incerto se esplodere in un boato rabbioso, ancora una volta, o se continuare e stendere la sua ombra su tutto, anche su questo processo, alla fine del quale ”la persona di mio figlio ha riconquistato la propria dignità”, continua Gina Tsalikian. Ora la famiglia della vittima si può concedere un poco di pace, almeno fino all’appello, già preannunciato dalla difesa di Korkoneas; appello che spaventa chi conosce le abitudini giudiziarie greche: le sentenze di secondo grado sono generalmente più lievi, soprattutto nel caso che i condannati siano agenti di polizia.
Se, pertanto, la decisione del tribunale di Amfissa è stata accolta con sollievo e soddisfazione, l’ombra del silenzio della società greca di questi ultimi mesi, trascina via rapidissima l’immagine del ragazzo ucciso e del suo assassino. Perché le pessime notizie si rincorrono quotidianamente: dopo la riforma pensionistica, dopo lo smantellamento del mercato del lavoro, dopo i tagli a stipendi e pensioni, è ora il turno di nuove tasse, di nuovi aumenti della bolletta della luce, dei prodotti di largo consumo, dell’inflazione, della disoccupazione, del petrolio per scaldare le case dei greci frastornati dalla recessione e spaventati dalla povertà.
Gli ospedali sono tanto indebitati da non avere più l’indispensabile al loro funzionamento minimo. Dalle scuole elementari, medie e superiori, sono scappati più di undicimila insegnanti, spinti al pre-pensionamento dall’incertezza circa il futuro, mentre la riforma universitaria è alle porte, una riforma tesa a collegare maggiormente le grandi imprese, quelle rimaste, all’attività accademica.
Già allora, nel dicembre del 2008, molti riconobbero, nella rabbia e nella violenza delle settimane che seguirono la morte di Alexandros Grigoropoulos, l’espressione di una crisi profonda. Una crisi sociale e politica che oggi tanto si aggrava con l’aggravarsi della situazione economica della Grecia.
Tuttavia, allora furono botte, sassate, incendi, manifestazioni quotidiane. Ora non si manifesta più: il rogo del 5 maggio scorso, in cui morirono tre impiegati della Marfin Bank, ha frenato la protesta, che ormai rimane prerogativa dei soli sindacati di settore, nel silenzio di quelli nazionali, con la sola eccezione di quello comunista (Pame). Pare tristemente vero che la Grecia, a quasi due anni dalla morte di Alexandros, abbia ancora bisogno di eroi e di simboli per svegliarsi dall’incubo che la attanaglia.
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