Dal 2003 a oggi lo scopo e i modi dell’intervento sono cambiati: lo dicono i numeri
Dal 2003 a oggi lo scopo e i modi dell’intervento sono cambiati: lo dicono i numeri
ROMA – In principio, marzo del 2003, furono un colonnello, mille uomini, una promessa di impiego non superiore ai sei mesi e una bolletta da 100 milioni di euro. Una fiche per sedere al tavolo della “War on Terror”. E su un fronte, quello afgano, degradato, con l´avvio dell´offensiva alleata in Iraq, a retrovia. Sette anni e 90mila uomini dopo (tanti sono i nostri soldati ruotati tra i distretti di Kabul, Herat, Farah), ci “scopriamo” in guerra. Con un contingente che, tra due mesi, arriverà a 3mila 950 uomini, articolato in tre “battle group”, una task force di reazione rapida (la “TF 45”), una robusta forza aerea di attacco (caccia “Amx”, elicotteri “Mangusta”, droni “Predator”, elicotteri multi-uso dell´Aviazione e, proprio da ieri, anche della Marina), unità meccanizzate (carri armati “Dardo”, blindati pesanti da trasporto “Freccia”), per un costo di missione che toccherà i 675 milioni di euro annui, 56 milioni al mese. Oltre 3 miliardi di euro dall´inizio di questa avventura.
Ora, il Parlamento, stupito, chiede come sia stato possibile ritrovarsi impantanati nell´inferno afgano. Eppure, il nostro “surge” ha avuto padri bipartisan. I numeri, nel tempo, sono stati sotto gli occhi di tutti, solo a volerli vedere. Esattamente come il progressivo build-up militare concordato dall´Italia all´interno della Nato. Con un anno – il 2006 – a fare da spartiacque. Tra il maggio e il giugno di 4 anni fa, alla vigilia dell´assunzione del comando Nato per le operazioni belliche nel sud dell´Afghanistan (luglio), il governo Prodi, con il sostegno dell´allora opposizione di centro-destra, battezza nuove regole di ingaggio per il nostro contingente, autorizzando le operazioni offensive di “search and destroy” (ricerca e distruzione del nemico) previo nulla osta del governo entro 72 ore dalla richiesta di ingaggio. Di più. Il nostro contingente sale a oltre 2.300 uomini e Palazzo Chigi dà luce verde al dispiegamento nel teatro delle operazioni di Farah (Afghanistan occidentale) della più grande unità di forze speciali mai impiegata dai tempi della Somalia. Viene battezzata “Task Force 45”. È composta da 200 uomini selezionati tra i ranger del 4° reggimento alpini, gli incursori di marina del Comsubin, il 9° reggimento paracadutisti Col Moschin, il 185° Rao della Folgore.
È un´epifania. Nell´aprile del 2007, infatti, mentre il costo della missione sfonda per la prima volta il tetto dei 300 milioni di euro annui, è ancora il governo Prodi a disporre l´invio al fronte di carri armati “Dardo” (i “carri neri degli italiani”, li battezza l´insorgenza afgana) e di elicotteri d´attacco “Mangusta”. Mentre nel febbraio 2008, quando il centro-sinistra si prepara a lasciare Palazzo Chigi, nel distretto di Farah, viene costituito il primo “battle group” destinato ad affiancare nelle operazioni di “search and destroy” la Task Force 45.
A giugno del 2008, Silvio Berlusconi è a Palazzo Chigi per il suo secondo mandato. La spesa per finanziare la missione sale a 349 milioni di euro. Necessari a salire un altro gradino del nostro build-up. In settembre, arriva infatti nel teatro delle operazioni una prima coppia di caccia “Tornado” e, due mesi dopo, viene costituito, sempre nel distretto di Farah, un secondo “battle group” con un incremento dei nostri effettivi di 500 uomini. Anche i “caveat” imposti ai nostri Stati Maggiori si modificano significativamente. E nel prendere atto che 72 ore sono un tempo infinito per un esercito in guerra, il termine temporale per l´autorizzazione di Palazzo Chigi a operazioni offensive di “search and destroy” scende a 6 ore. La notte per il giorno. Il giorno per la notte.
Insomma, già nel gennaio del 2009, un Paese meno distratto potrebbe concludere che in Afghanistan i nostri uomini stanno combattendo una guerra. Anche perché, con l´aumento della spesa, anche il cosiddetto “dispositivo” d´arma si è modificato. Lungo la linea del fronte, con l´impiego dei carri “Dardo” e dei “Mangusta”, è infatti diventato di routine l´uso dei potenti mortai da 120 millimetri Thompson, che consentono il bombardamento a distanza delle postazioni dell´insorgenza Talebana. Ma il Parlamento non discute. E così, anche il 2009, passa con la ratifica burocratica di un nuovo incremento di spesa (che sfiorerà i 600 milioni di euro) e di un nuovo rafforzamento del “nostro dispositivo”. A gennaio di quest´anno, il contingente supera i 3200 uomini, 4 caccia Amx, dopo un lungo addestramento nel deserto del Nevada, sostituiscono i “Tornado”. E nell´estate scorsa, a sud di Herat fanno la loro comparsa 17 blindati “Freccia”. Bestioni da 28 tonnellate su ruote (quattro volte il peso dei “Lince”), inadatti alle montagne afgane, ma necessari al trasporto rapido di unità da combattimento (ogni mezzo carica 11 militari) lungo le poche rotabili.
Poi, la strage degli alpini. L´invito del ministro della Difesa («il Parlamento decida se dotare i caccia Amx di bombe»). L´affacciarsi dell´oziosa domanda («siamo in guerra?»). E, intanto, una nuova partenza per il fronte. Storia di ieri. Tre elicotteri EH-101 della Marina militare addestrati al volo notturno, alle operazioni speciali e alla guida caccia.
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