Parigi, nelle banlieu il rap è diffuso tra i più giovani, quasi una specie di religione. Ma spesso il messaggio è provocatorio e valica il limite della violenza. È davvero la musica il problema?
‘Tirez sur le keufsà ,‘Sparate agli sbirrià, è il titolo di una canzone e di un video del rapper francese Abdul X che ad agosto ha suscitato accese polemiche in Francia. Il video è stato diffuso su internet e ben due sindacati di polizia hanno sporto denuncia per apologia di reato, è intervenuto anche il ministro dell’Interno.
Parigi, nelle banlieu il rap è diffuso tra i più giovani, quasi una specie di religione. Ma spesso il messaggio è provocatorio e valica il limite della violenza. È davvero la musica il problema?
‘Tirez sur le keufsà ,‘Sparate agli sbirrià, è il titolo di una canzone e di un video del rapper francese Abdul X che ad agosto ha suscitato accese polemiche in Francia. Il video è stato diffuso su internet e ben due sindacati di polizia hanno sporto denuncia per apologia di reato, è intervenuto anche il ministro dell’Interno.
Se il rap sia un tipo di musica che incita i giovani all’odio contro la polizia è il tema di un dibattito che è stato ospitato dal Bondy Blog, testata giornalistica online che ha sede nella banlieue parigina di Bondy. Nata dopo i moti che hanno coinvolto le Banlieue nel 2005 per raccontare da dentro la vita della periferia parigina, i blogger sono per lo più ragazzi che vivono nell’Ile de France e parlano della loro quotidianità, offre un punto di vista interno sui fatti.
Il caporedattore del Blog, Antoine Menusier, ha condotto l’incontro tra un rappresentante della polizia, Mohamed Douhane, e un educatore sociale, Almamy Kanoutè, eletto consigliere comunale nelle ultime regionali in Francia nel dipartimento della Valle della Marna, il 94°, a Frenes.
Mohamed Douhane, oltre che ufficiale di polizia, è membro del sindacato Synergie Officiers, uno dei due sindacati di polizia che hanno denunciato Abdul X per la canzone che incita a sparare contro i poliziotti.
“Il punto è” come spiega a PeaceReporter Antoine Menusier, il caporedattore del Bondy Blog, “che ad agosto un giovane che stava scappando dalla polizia, a Mantes la Jolie, è caduto nella Senna ed è morto, ed episodi di questo tipo si ripetono a cadenza regolare”. Anche i moti scoppiati nelle periferie parigine a più riprese, prima nel 2005, poi nel 2007, hanno preso il via da episodi simili.
Il giovane di cui ci parla Menusier stava scappando da un controllo di polizia, ed è qui che arriva il primo punto di divergenza tra il poliziotto Douhane e l’educatore Kanoutè: i controlli di polizia sono un modo spesso usato da parte delle forze dell’ordine per conoscere gli abitanti delle cités, usato e spesso abusato, sarebbe il caso di dire. “Fermare i giovani senza motivo, sottoporli a controlli e perquisizioni è una provocazione”, afferma nel dibattito Kanoutè.
Le cités sono delle zone all’interno delle banlieue (le periferie parigine), per lo più costituite da palazzoni di edilizia popolare, oggi abbandonate a sé stesse. Sono zone di disagio e povertà in cui gli abitanti non hanno molte prospettive e frequentemente non hanno lavoro. Non è detto che le banlieue siano costituite unicamente da questo tipo di scenario, a volte sono ricche, alcune hanno una parte di residenze borghesi e poi una parte malfamata, che è appunto la cité.
Bisogna capire che in Francia ogni comune è stato obbligato per legge a destinare una certa percentuale abitativa ai cosiddetti ‘logement social’, pena una multa. Questa percentuale invece di essere diluita nel tessuto urbano è stata praticamente ovunque realizzata in zone specifiche e circoscritte, che negli anni sono divenute dei veri e propri ghetti.
I giovani delle cités hanno poche scelte, sono relegati all’interno di un mondo in cui la polizia entra in tenuta antisommossa, e per chi non sceglie di andarsene, mettendocela tutta e senza nessuna garanzia, si apre facilmente la via del traffico di stupefacenti. L’atteggiamento della polizia è quindi spesso ruvido, dove la parola ‘ruvido’ è un eufemismo: è un atteggiamento al limite dell’aggressivo.
Non c’è da stupirsi allora che le maggiori critiche di Kanoutè alla polizia arrivano per i controlli di identità arbitrari, usati come arma preventiva, che “viola la libertà d’espressione dei più deboli”.
Douhane il poliziotto spiega che “ci sono due tipi di controlli di identità: preventivo e giudiziario, e che a partire da un reato di qualunque tipo l’accertamento dell’identità è necessario, altrimenti il reato non è imputabile”. Ovviamente Douhane sottolinea i contrappesi, come il fatto che se il controllo viene considerato illegale dal Procuratore della Repubblica, a posteriori, allora l’attribuzione del reato viene cancellata.
Pare evidente che il dibattito assume a tratti l’aspetto di un dialogo tra sordi, tra chi, cioè, non si vuole ascoltare, dato che se da una parte i controlli sono la procedura base delle operazioni di polizia, dall’altra è proprio l’atteggiamento con cui vengono effettuati che non aiuta i cittadini delle zone più disagiate, i cosiddetti discriminati, a sentirsi accettati dal resto della società. Quello che viene sentito come un atteggiamento vessatorio fa si che chi abita nelle cités si senta parte di un mondo separato dal resto della società civile.
Douhane sembra sapere bene chi sono le vittime di questo meccanismo quando parla di ‘maggioranza silenziosa’ come di quella parte maggioritaria degli abitanti dei quartieri difficili che viene letteralmente tenuta in scacco da una minoranza che controlla le attività illecite e vive di ‘un’economia sotterranea’. “Queste zone, i quartier, sono spesso dei crocevia di attività illecite. In alcune zone abbiamo rintracciato una filiera clandestina di traffico d’armi che attraversa tutta l’Europa” continua Douhane “e che trova qui dei porti franchi. È normale che la polizia non sia vista di buon occhio. Ci sono zone come La Villeneuve, il quartiere di Grenoble dove a luglio di quest’anno sono scoppiate le rivolte contro la polizia (e di cui Douhane è originario) in ogni grande centro urbano francese, a Lione, a Marsiglia, nell’Ile de France, la regione intorno Parigi”.
Ebbene per Douhane l’economia sommersa fa vivere alcune migliaia di famiglie di traffici di stupefacenti, armi e furti, mentre la maggioranza di persone povere, di famiglie in condizioni di indigenza che condivide con loro le cités, abbassa la testa. Questo è il terreno su cui attecchisce il messaggio violento di certo rap, l’incitamento all’odio verso lo Stato, il cui rappresentante più prossimo, e spesso l’unico, nei quartieri, è la polizia.
“Non è il rap il problema, ma il suo uso” coclude Douhane.
Incalzato da Kanoutè però il poliziotto ammette che l’atteggiamento tenuto nei controlli dalle forze dell’ordine è a volte poco professionale, e che se vengono eseguiti in maniera preventiva e aggressiva contribuiscono ad alimentare il clima di odio.
“A volte la polizia esagera”, ammette Douhane, un punto a favore di Kanoutè.
“Il rap è arte, un genere musicale” è la posizione di quest’ultimo, “ Tirez sur le keufs è imbecille e basta, non è arte. È la trasposizione però del modo in cui molti giovani delle cités sentono la realtà”.
Non è quindi il rap a suscitare la violenza, a maldisporre gli animi, è semmai il contrario: come ogni forma d’arte il rap usa associazioni metaforiche per descrivere la realtà. “Spesso l’artista usa metafore provocatorie” ammette Kanoutè “ ma non lo si può considerare colpevole della violenza”.
“C’è un fatto però che Kanoutè racconta a microfoni spenti”, ci dice Menusier, il conduttore del dibattito, “quando chiedi a ragazzi di 13 anni o poco più un free style (il rap improvvisato, ndr), sempre più spesso le prime parole che escono fanno rima con ‘flic’ (poliziotto)”. Anche questo indica una tendenza.
E infine il risultato torna in parità: “Nei pezzi rap c’è spesso del razzismo verso i bianchi. C’è un’espressione che si incontra di frequente per riferirsi ai bianchi e che è ‘face de craie’, (faccia di gesso)”, racconta Menusier.
“Kanoutè non ammette apertamente”, un punto per Douhane allo scadere del tempo limite.
Foto Luca Galassi per PeaceReporter
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