Se il boia è americano

Oggi in Virginia esecuzione con iniezione letale per Teresa Lewis, una donna disabile mentale

Oggi in Virginia esecuzione con iniezione letale per Teresa Lewis, una donna disabile mentale

Dopo aver giustamente protestato davanti alle ambasciate iraniane per la sorte di Sakineh, quante organizzazioni abolizioniste, personalità politiche e singoli nel mondo faranno lo stesso, per un semplice principio di giustizia ed equità, davanti a quelle degli Stati uniti, l’unico paese occidentale che ancora uccide legalmente i suoi cittadini, ma pure tra i pochi al mondo a prevedere la pena capitale per i malati mentali? A meno di un augurabile intervento di sospensione, una donna oggi verrà assassinata dallo Stato della Virginia, non seppellita in una buca, incappucciata e bersagliata con delle pietre non troppo grandi per allungarne l’agonia, ma stesa su un lettino, trafitta con un ago asettico e avvelenata con un mix letale. Il sistema che sinora sembrerebbe il più incruento, certamente il meno costoso, ma indubbiamente non il più indolore, malgrado lo si voglia far credere.
Sarà la sorte assegnata alla 41enne Teresa Lewis e sul certificato di morte (obbligatorio per le direzioni carcerarie) verrà apposta una crocetta alla voce «omicidio», anche se i mandanti e gli esecutori fanno parte di coloro che detestano e puniscono l’omicidio stesso, ma che restano e resteranno, a differenza dei comuni mortali che si macchiano di assassinio, totalmente impuniti e immuni da ogni responsabilità. In definitiva, che siano giudici, giurie, governatori o semplici cittadini, si arrogano il diritto di impartire una lezione di morte con la quale pretendono di insegnare a non uccidere.
Teresa Lewis è stata condannata all’età di 33 anni per la morte di suo marito e del figliastro, uccisi da due killer da lei assoldati, il 30 ottobre 2003 a Keeling, in Virginia. Agli autori materiali degli omicidi, Matthew Shallenberger e Rodney Fuller è toccata invece una condanna all’ergastolo. Alla luce delle sentenze emesse, sembrerebbe che essere donna sia stata un’aggravante anziché un’attenuante, per di più la Lewis – ora mamma e nonnna – è affetta da disturbi mentali acclarati, ma anche questo non ha di certo impietosito coloro che l’hanno giudicata la più colpevole tra i colpevoli.
Dal 1632 negli Stati uniti sono documentate 567 esecuzioni capitali di donne. Secondo i dati le donne uccidono molto meno e in modo meno cruento degli uomini, tranne rari casi come quello di Aileen Wuornos, prima serial killer americana. Da quando la pena capitale, dopo breve sospensione su tutto il territorio Usa, venne reintrodotta da una sentenza della Corte Suprema a partire dal 1976, sono state giustiziate 11 donne tra cui solo Judy Buenoano e Lynda Lyon legalmente assassinate sulla sedia elettrica anzichè con iniezione letale. Tra le sue ultime lettere la Lyon denunciava: «Mi è stato detto che non rivedrò mai più mio figlio e mio marito, che l’ultima camminata sulla Terra sarà verso la sedia elettrica. È una morte terribile, il viso del condannato viene coperto da una maschera, per nascondere l’orribile effetto sui lineamenti delle scariche da 2000 volt sparate nel corpo…». Quasi certamente Teresa Lewis sarà torturata dalle stesse paure della Lyon, dallo stesso terrore che tocca tutti i condannati e le condannate, dall’istante esatto in cui inizia il conto alla rovescia che li separa dalla camera della morte.
Attualmente, oltre ai più di 3200 condannati uomini in tutti gli Usa, sono 53 le detenute che aspettano di finire nelle mani del boia per essere ammazzate in nome dello Stato. Teresa Lewis forse resterà solo un nome tra i tanti, un numero di matricola utile tuttalpiù a rinfoltire gli allucinanti elenchi delle uccisioni istituzionalizzate e a rimpinguarne le ferali statistiche.
L’avvocato della Lewis, James E. Rocap, lunedì scorso si è appellato al Governatore McDonnell, chiedendogli di riconsiderare la decisione di negare la grazia alla sua assistita e appellandosi a nuovi elementi e prove che potevano scagionare la donna.
«Anche oggi ho guadagnato da vivere, cara», chissà se dirà così alla moglie il signore che infilerà l’ago, o magari quello che premerà il bottone; ma anche tutti coloro che semplicemente assisteranno, quelli che metteranno una firma per autorizzarne l’omicidio o quelli che le negheranno la grazia. Teresa Lewis è una donna che dopo sette anni passati nel braccio della morte non è certamente più la stessa di quella che è entrata. Non possiamo saperlo, ma forse qualcuno potrebbe persino pensare che sia comunque stata fortunata a nascere in un paese civile ed evoluto come gli Stati uniti invece che in un regime odioso come l’Iran.
A proposito: se è ovviamente strumentale la posizione di Ahmadi Nejad che parla di Teresa Lewis, come definire il silenzio e la mancata iniziativa su questo dei nostrani organismi umanitari contro la pena di morte?

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