Oggi come ieri, è la democrazia la questione

SEMINARIO A TORINO

Arrivarono Reagan, la Thatcher, gli yuppie e i fast food. E il biscione: Canale 5, che il 30 settembre del 1980 apriva i battenti. Data che – come scrive Gabriele Polo nella versione aggiornata di Restaurazione italiana – coincideva con la giornata spartiacque dei 35 giorni a Mirafiori: ritirate le 14mila procedure di licenziamento e sospeso lo sciopero generale, la Fiat partiva all’attacco con la cassa integrazione a zero ore per 23mila lavoratori. Quella restaurazione ha chiuso, o meglio perfezionato, il suo cerchio oggi. «Si mette in discussione il conflitto e il diritto di sciopero» spiega Vittorio De Martino, che all’epoca lavorava alla Bertone. Ora come ieri, il Lingotto si fa aggressivo; Romiti come Marchionne (l’accordo di Pomigliano è un segno indelebile).

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Arrivarono Reagan, la Thatcher, gli yuppie e i fast food. E il biscione: Canale 5, che il 30 settembre del 1980 apriva i battenti. Data che – come scrive Gabriele Polo nella versione aggiornata di Restaurazione italiana – coincideva con la giornata spartiacque dei 35 giorni a Mirafiori: ritirate le 14mila procedure di licenziamento e sospeso lo sciopero generale, la Fiat partiva all’attacco con la cassa integrazione a zero ore per 23mila lavoratori. Quella restaurazione ha chiuso, o meglio perfezionato, il suo cerchio oggi. «Si mette in discussione il conflitto e il diritto di sciopero» spiega Vittorio De Martino, che all’epoca lavorava alla Bertone. Ora come ieri, il Lingotto si fa aggressivo; Romiti come Marchionne (l’accordo di Pomigliano è un segno indelebile).

Non tutto, però, è come un tempo. Adesso si nuota nel mare magnum della precarietà, un virus che ha frammentato relazioni e rapporti di forza. E il problema della democrazia è all’ordine del giorno: «Se la Fiom è il dito, la democrazia è la luna. Ed è legittimo porsi una domanda, la titolarità di fare sindacato è dei lavoratori? Sì, dovrebbe, ma sono gli unici che non hanno peso nelle decisioni che li riguardano» commenta Tiziano Rinaldini. Espropriati dei diritti. «La contrattazione nei Settanta era, invece, espressione di una soggettività» ha sottolineato l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti.
«La democrazia è la condizione per ricostruire l’unità sindacale – ha affermato il segretario generale delle tute blu Maurizio Landini -, per ridare dignità al lavoro. Se domani (oggi, ndr) si dovesse sancire la derogabilità dei contratti nazionali sarebbe un fatto grave, saremmo di fronte a uno strappo senza precedenti». Tira brutta aria: non si vorrebbero far votare tutti i lavoratori (solo gli iscritti), né scioperare. Come burattini. Che fare? Ne hanno parlato anche Bruno Manghi, Giorgio Benvenuto, Stefano Musso, Alessandra Mecozzi, Antonio Pizzinato, Alberto Tridente. Gli obiettivi sono ricostruire una partecipazione diretta e il valore della delega sindacale. «Per superare la crisi ci vorrebbe una stagione come quella dei consigli. Andare oltre le attuali Rsu» dice Airaudo. Ecco perché, per riaprire il dialogo con Confindustria, secondo Landini «il primo problema è l’accordo sulla rappresentanza». Poi, per superare la frammentazione, riunificare i contratti dell’industria. E Bertinotti ha concluso: «Senza partecipazione non c’è autonomia né dei lavoratori né dell’organizzazione, senza conflitto e contrattazione la fabbrica si riduce a luogo di autoritarismo». Ora, come ieri. Maria Epifania, giovane delegata alla Carrozzerie di Mirafiori, racconta i problemi dell’oggi in fabbrica: «L’aumento dei ritmi di lavoro, la difficoltà della rappresentanza, la necessità di rompere la gerarchia sindacale». Anche la crisi della democrazia. E il pensiero vola a trent’anni fa, 1980: la lotta dei 35 giorni e la sconfitta. Nel decennio prima «si era provato a trovare un equilibrio, i consigli di fabbrica, con una delega maggiore agli operai», dice Giorgio Airaudo, segretario regionale Fiom: «Non si tratta di copiare il passato, ma prendere spunto sì». Idee e riflessioni hanno trovato forma, ieri a Torino, durante il seminario «Democrazia e rappresentanza» organizzato dalla Fiom con la Fondazione Claudio Sabattini, a 30 anni da quel terribile autunno, quando la partecipazione fu spazzata via dalla marcia dei 40 mila a Torino. Arrivarono Reagan, la Thatcher, gli yuppie e i fast food. E il biscione: Canale 5, che il 30 settembre del 1980 apriva i battenti. Data che – come scrive Gabriele Polo nella versione aggiornata di Restaurazione italiana – coincideva con la giornata spartiacque dei 35 giorni a Mirafiori: ritirate le 14mila procedure di licenziamento e sospeso lo sciopero generale, la Fiat partiva all’attacco con la cassa integrazione a zero ore per 23mila lavoratori. Quella restaurazione ha chiuso, o meglio perfezionato, il suo cerchio oggi. «Si mette in discussione il conflitto e il diritto di sciopero» spiega Vittorio De Martino, che all’epoca lavorava alla Bertone. Ora come ieri, il Lingotto si fa aggressivo; Romiti come Marchionne (l’accordo di Pomigliano è un segno indelebile). Non tutto, però, è come un tempo. Adesso si nuota nel mare magnum della precarietà, un virus che ha frammentato relazioni e rapporti di forza. E il problema della democrazia è all’ordine del giorno: «Se la Fiom è il dito, la democrazia è la luna. Ed è legittimo porsi una domanda, la titolarità di fare sindacato è dei lavoratori? Sì, dovrebbe, ma sono gli unici che non hanno peso nelle decisioni che li riguardano» commenta Tiziano Rinaldini. Espropriati dei diritti. «La contrattazione nei Settanta era, invece, espressione di una soggettività» ha sottolineato l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti. «La democrazia è la condizione per ricostruire l’unità sindacale – ha affermato il segretario generale delle tute blu Maurizio Landini -, per ridare dignità al lavoro. Se domani (oggi, ndr ) si dovesse sancire la derogabilità dei contratti nazionali sarebbe un fatto grave, saremmo di fronte a uno strappo senza precedenti». Tira brutta aria: non si vorrebbero far votare tutti i lavoratori (solo gli iscritti), né scioperare. Come burattini. Che fare? Ne hanno parlato anche Bruno Manghi, Giorgio Benvenuto, Stefano Musso, Alessandra Mecozzi, Antonio Pizzinato, Alberto Tridente. Gli obiettivi sono ricostruire una partecipazione diretta e il valore della delega sindacale. «Per superare la crisi ci vorrebbe una stagione come quella dei consigli. Andare oltre le attuali Rsu» dice Airaudo. Ecco perché, per riaprire il dialogo con Confindustria, secondo Landini «il primo problema è l’accordo sulla rappresentanza». Poi, per superare la frammentazione, riunificare i contratti dell’industria. E Bertinotti ha concluso: «Senza partecipazione non c’è autonomia né dei lavoratori né dell’organizzazione, senza conflitto e contrattazione la fabbrica si riduce a luogo di autoritarismo».

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