Metafora della pace. OGGI IL FESTIVAL NO DAL MOLIN AL VIA DALLA ZONA «LIBERATA»

Stasera il Festival No Dal Molin – concerti, dibattiti, teatro, spettacolo – riparte dal Parco della Pace (non dal Parco delle Fornaci, sede della Festa). L’obiettivo è valorizzare uno spazio conquistato dai cittadini, contro la militarizzazione del territorio voluta anche dal centrosinistra

Stasera il Festival No Dal Molin – concerti, dibattiti, teatro, spettacolo – riparte dal Parco della Pace (non dal Parco delle Fornaci, sede della Festa). L’obiettivo è valorizzare uno spazio conquistato dai cittadini, contro la militarizzazione del territorio voluta anche dal centrosinistra

VICENZA. Il Festival No Dal Molin riparte dal Parco della Pace. Questa sera infatti a inaugurare la quarta edizione del festival sarà un evento speciale. Non al Parco delle Fornaci (sede della festa) ma bensì al Parco della Pace. «Vogliamo valorizzare uno spazio – dice Marco Palma – diventato dei cittadini grazie alla mobilitazione della città. E vogliano indicare un percorso che dovrà vedere nei cittadini il centro della progettazione, della realizzazione e della gestione di quest’area». Dopo la decisione con cui a giugno il demanio ha trasferito al Comune di Vicenza il trasferimento dell’area est del Dal Molin, la città ha cominciato a discutere del Parco della Pace. Un luogo comune, di quanti hanno lottato in questi anni contro la realizzazione della base americana al Dal Molin.
È dunque anche per celebrare questa vittoria che questa sera il festival sarà inaugurato proprio nel futuro Parco. Un concerto e una serie di interventi, sono stati pensati per aprire il festival. Il concerto è di Patrizia Laquidara che è stata una tra le prime voci a riempire di suoni i tendoni di Ponte Marchese. Questa sera canterà insieme a Mirco Maistro. Il festival poi procederà al Parlo delle Fornaci ma tornerà al Parco della Pace già domani sera con una tavola rotonda dal titolo, il parco della pace: un bene comune, con rappresentanti del movimento vicentino e l’università di Camerino. «Come per l’acqua che vi scorre sotto, – spiega Marco Palma – anche la terra che la ricopre – sottratta alla militarizzazione – deve diventare un bene comune: uno spazio che la comunità vicentina deve progettare e gestire affinché diventi il motore delle future iniziative contro la base statunitense e la militarizzazione del territorio. Abbiamo invitato tutte le anime del movimento NoDalMolin a un confronto per discutere insieme idee e iniziative sulla realizzazione del Parco della Pace. L’università di Camerino partecipa con dei contributi specifici pensati per l’area». Non si può non tornare con la memoria al 13 settembre 2007, come ricorda Olol Jackson. «Quel giorno – dice – un corteo di migliaia di donne e uomini, partito dai tendoni del Festival No Dal Molin, giunse davanti all’aeroporto con l’intenzione di piantarvi all’interno centinaia di piccoli alberelli. E così fece. Se un momento o un fatto può essere ritenuto il simbolo di questa storia, penso che sia proprio questo. Il Parco della Pace come nome, come desiderio, come obiettivo da rivendicare e praticare, nasce proprio lì, in quel momento festoso e quasi catartico, in quel rito collettivo di una rinnovata comunità».
Naturalmente il festival ospiterà come sempre decine di iniziative, concerti, dibattiti, teatro, spettacoli. Due i filoni, per così dire più legati al territorio vicentino. Oltre al percorso da avviare con la cittadinanza sul parco della pace, anche la questione dell’acqua. Vicenza è stata la provincia del Veneto in cui sono state raccolte più firme per il referendum per l’acqua bene comune. E per il movimento No Dal Molin il risultato è da attribuirsi anche alla particolare sensibilizzazione dei cittadini rispetto all’acqua e alla battaglia in difesa della falda acquifera che passa proprio sotto il parco della Pace. E poi naturalmente uno sguardo al di fuori. Non è un caso che l’11 settembre sarà proprio il festival No Dal Molin a ospitare l’assemblea nazionale della Rete Italiana per la Giustizia Ambientale che farà il punto della situazione verso il vertice di Cancun dove si riunirà la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici il prossimo dicembre.
Per il Presidio Permanente, poi si tratta anche di ragionare su prospettive e scelte future. Già il Presidio Permanente. Nato il 16 gennaio 2007, ne ha fatta di strada in questi tre anni. «Era una giornata di freddo e nebbia», ricorda Marco Palma. Pochi giorni prima l’ambasciatore statunitense Spogli aveva decretato il suo ultimatum: “gli Stati Uniti esigono una risposta definitiva sulla nuova base Usa al Dal Molin entro il 19 gennaio”. Il Presidio era nato per esistere fino a quella data, per dimostrare la determinazione dei vicentini a un governo (di centro sinistra) che ancora doveva esprimersi e che più volte aveva dichiarato di voler “riconsiderare la vicenda alla luce della volontà della comunità locale”. Invece quello stesso giorno, – continua Palma – mentre eravamo impegnati nei frenetici lavori di montaggio, la doccia fredda, “non mi oppongo ai progetti statunitensi”, dichiarava dall’estero Romano Prodi». Da quel momento il Presidio è diventato Permanente, la sua azione politica un divenire quotidiano fondato sulla partecipazione e sulla determinazione di tante donne e uomini che, provenienti da culture politiche, gruppi sociali, esperienze anche molto diverse tra loro, hanno identificato un obiettivo comune costruendo forme di agire nuove e mai sperimentate. «Il Presidio Permanente – dice con orgoglio Palma – è divenuto un crogiolo di idee, un percorso di confronto quotidiano in cui tutto è sempre in discussione perché tutti hanno qualcosa da dire ed hanno il diritto di esprimersi. È per queste sue caratteristiche che il tendone di Ponte Marchese è diventato, nei mesi, da una parte la metafora più bella di questo movimento – simbolo di resistenza e trasversalità, dall’altra l’obiettivo delle critiche e degli attacchi di quanti – in buona o cattiva fede – hanno nostalgia per le forme di organizzazione e di azione politica “storiche”, dove organizzazioni e gruppi competono per uno spazio politico e dove le pratiche di costruzione delle decisioni sono standardizzate, legate a pesi e contropesi, alleanze e compromessi».
Tutte le informazioni su come arrivare al Festival e sul programma su: www.nodalmolin.it

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IL PARCO PRESIDIO
«Contro la base militare Usa, vince la città»
Il Parco della Pace è realtà: una riunione interministeriale ha deciso la demilitarizzazione e la sdemanializzazione dell’area che ancora non è stata devastata dal cantiere militare statunitense.
È una vittoria della città; un segno tangibile che è possibile porre un limite alla voracità statunitense; una vittoria dei 150 alberelli che, nel settembre 2007, furono messi a dimora proprio lì, a presidiare un terreno sul quale gli appetiti militari statunitensi avrebbero voluto stendere il filo spinato. E la tenacia di quegli alberelli (…) è la metafora che meglio rappresenta la volontà della città, espressasi in mille manifestazioni e nelle urne della consultazione popolare.
Una volontà della quale l’amministrazione comunale aveva dichiarato di volersi far carico; in questo senso le dichiarazioni della prima ora – che dipingono il Parco della Pace come il punto di partenza della «riconciliazione della città» – suonano un po’ stonate. Non solo perché i cittadini avevano espresso la volontà di trasformare l’intera area in parco urbano (e non solo lo spicchio, seppur grande, risparmiato dal cantiere statunitense) e, dunque, di riconciliazione si potrà parlare soltanto quando questo sarà avvenuto; ma soprattutto perché risulta difficile comprendere come il cantiere statunitense possa conciliarsi con la falda sottostante – devastata, come hanno dimostrato geologi e idrogeologi, da cinque mila pali che hanno trasformato il terreno in un enorme scolapasta – e con il diritto dei cittadini di governare il proprio territorio e avere garantita sicurezza ambientale e salute.
Piuttosto, la sdemanializzazione di quel territorio non può che rappresentare un primo importante passo; i successivi sono il ritiro delle concessioni di volo a Esperia e l’avvio immediato di rigorosi studi scientifici su quanto sta avvenendo nel sottosuolo del Dal Molin, dove la terra custodisce la nostra più importante risorsa: l’acqua. Del resto, è evidente l’incompatibilità di un parco con il decollo e l’atterraggio di elicotteri, mentre l’iniquità e la falsità dei dati portati sul tavolo del sindaco Variati per rassicurare la città sullo stato della falda sono state palesate in modo scientifico e indiscutibile.
Infine, è evidente che quel parco non potrà che essere realizzato attraverso un grande processo di partecipazione popolare. Esso, infatti, nasce nella mobilitazione di migliaia di vicentini contro l’imposizione e l’arroganza di quanti pensano di poter decidere per tutti; e, dunque, dovrà essere realizzato a partire dai bisogni, dalle professionalità, dalla partecipazione delle donne e degli uomini che questa città la abitano. E dovrà essere, non solo di nome, ma anche di fatto, il Parco della Pace, ovvero uno spazio che si contrappone a quanto sta al di là dei muri che ne segneranno il confine ovest.
www.nodalmolin.it

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