Pochi controlli e attrezzature inadeguate. “Colpa della spirale dei sub appalti”
Pochi controlli e attrezzature inadeguate. “Colpa della spirale dei sub appalti”
Quelli che ne escono vivi devono ringraziare di aver messo da parte il loro senso istintivo di solidarietà operaia. Le cisterne killer, infatti, usano le loro prime vittime come esche per attirare le seconde. Una dinamica ricorrente, nella ricca casistica delle morti per asfissia registrata dalle cronache e dagli istituti che si occupano di sicurezza.
Negli ultimi quattro anni 35 operai sono morti così. Grandi tragedie che impressionano per il modo atroce con cui si consumano e per le stragi che determinano: i sei morti di Mineo, in provincia di Catania, che l´11 giugno 2008 stavano pulendo la vasca di un depuratore; i cinque che tre mesi prima a Molfetta, in Puglia, lavavano la cisterna di un camion; i tre addetti agli impianti di raffineria della Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, soffocati in pochi minuti nel maggio del 2009. Uno stillicidio che è proseguito fino al 25 agosto, quando nelle campagne di San Ferdinando, in Puglia, le esalazioni di gas hanno ucciso il 51enne Antonio Della Pietra, che s´era calato in fondo a una cisterna di acqua piovana profonda circa sei metri per impermeabilizzarla.
L´ingegner Vincenzo Bennardo, dei vigili del fuoco di Torino, fa un´accorata raccomandazione: «I lavoratori, quando non hanno dispositivi di protezione individuali che consentano di filtrare le esalazioni, devono vincere l´istinto di soccorre e chiamare noi». Ma perché silos e cisterne uccidono così frequentemente? Per Paola Agnello Modica, responsabile sicurezza della Cgil, la colpa è della «mancata valutazione dei rischi da interferenza». Ovvero? «Le aziende affidano le attività di manutenzione a ditte esterne. E burocraticamente ci si limita a considerare i pericoli per la sicurezza solo per pezzetti di lavorazione, non si guarda l´intera catena della produzione». Marcello Magarelli, avvocato, ha difeso le vittime di Molfetta nel processo che s´è chiuso a ottobre con tre condanne per i morti della Truck center, azienda che lavorava in subappalto per Fs Logistica: «Quella storia avrebbe dovuto fare scuola e invece non è servita a niente – commenta amareggiato – Le aziende continuano a non dare ai lavoratori le istruzioni necessarie. I lavoratori di Molfetta non sapevano che c´era il rischio di inalare sostanze nocive, si calavano senza precauzioni e invece avrebbero dovuto agganciarsi a un cavo. Per evitare queste sciagure, è emerso durante il processo, basterebbe dotare le aziende di un semplice strumento chiamato esposimetro, già in dotazione dei vigili del fuoco: segnala con un suono la presenza di gas nocivi e costa solo 120-130 euro». Anche per lui il problema sono gli appalti: «Gli appaltatori dovrebbero verificare almeno che la società appaltante abbia i requisiti per operare. La società a cui Fs Logistica aveva affidato i lavori la pulizia o la bonifica delle cisterne non ce l´avevano neppure nell´oggetto sociale. Per controllarlo sarebbe bastata una visura camerale». Ora la procura di Trani vuole risalire ancora più in alto, nella catena di responsabilità, e ha chiesto il rinvio a giudizio di quindici persone, tra i quali anche dirigenti dell´Eni: non avrebbero evitato che lo zolfo caricato dai serbatoi di stoccaggio della raffineria di Eni di Taranto, ai quali attingeva la cisterna di Molfetta, fosse trasportato e messo in circolazione senza una preventiva valutazione dei pericoli derivanti dalla presenza dell´acido solfidrico nella stessa cisterna. Del resto, sempre più spesso i pm, puntano alle responsabilità dei vertici delle aziende madri: la procura di Milano, estendendo agli infortuni la legge 231 sulla responsabilità delle persone giuridiche, sta iscrivendo nel registro degli indagati diversi dirigenti di società, dal presidente di Rfi Luigi Lenci a Franco Berti, titolare di una delle più importanti imprese italiane della logistica.
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