La rete in gabbia. L’eguaglianza e la libertà  di stare on line

Il ridimensionamento del principio sulla neutralità  di Internet era l’obiettivo della proposta di Verizon e Google. La mobilitazione dei mediattivisti ha causato il momentaneo dietrofront delle due imprese. Da qui la necessità  di una regolamentazione del Web che limiti il potere delle corporation e garantisca il diritto di accesso alla Rete

Il ridimensionamento del principio sulla neutralità  di Internet era l’obiettivo della proposta di Verizon e Google. La mobilitazione dei mediattivisti ha causato il momentaneo dietrofront delle due imprese. Da qui la necessità  di una regolamentazione del Web che limiti il potere delle corporation e garantisca il diritto di accesso alla Rete

La discussione sulla regolamentazione della rete Internet è in agenda negli Stati Uniti da quando Comcast (una delle maggiori imprese di telecomunicazioni statunitensi) ha contestato l’autorità della Commissione Federale delle Comunicazioni (Fcc)). La Fcc si è così trovata nella spessa posizione di Jon Postel nel 1997, quando una causa promossa dalla «Image Online Design» contro di lui e la Iana (l’autorità che assegna gli indirizzi di tutti i siti internet) rivelò al mondo dei profani che la Iana non era altro che un acronimo privo di autorità e personalità giuridica. Una sigla dietro la quale si nascondeva solo una parte del lavoro che da anni svolgeva Postel, uno dei creatori della rete che l’Economist definì l’unico plausibile «Dio della rete», con l’aiuto di qualche impiegato del ministero della difesa americano e di qualche ricercatore. Fu allora che la gestione delle reti americane passò da Postel alla Commissione Federale per le Comunicazioni, evitando però di completare l’opera con la produzione di una legge per la rete e dando alla Fcc i poteri per farla rispettare.
Internet è ancora oggi largamente priva di regole con forza di legge che ne stabiliscano il funzionamento, in linea di massima funziona ancora come l’hanno concepita i suoi inventori, come un enorme progetto di ricerca aperto. Nemmeno in Italia ci sono regole certe e se capita di pagare l’accesso alla pagina di un quotidiano quando si naviga con un telefonino e di non pagarlo con altre connessioni, è perché qualcuno ha infranto il principio della neutralità della rete (che non ha forza di legge) e vi sta discriminando in base alla connessione che impiegate.
Insostenibili pedaggi
Anche negli Stati Uniti la discussione sulla neutralità o meno della Rete ristagnava, fino a che non è arrivata la proposta elaborata da Verizon e Google. La proposta ipotizza il superamento del principio della neutralità della rete, che stabilisce che tutti i pacchetti di bit che viaggiano sulla rete devono essere trattati allo stesso modo. Il che significa che nessun operatore delle telecomunicazioni può in alcun modo e per nessun motivo discriminare il traffico rifiutando il passaggio ad alcuni dati o privilegiandone altri. Se si creano dei colli di bottiglia o delle questioni di precedenza devono essere risolti mantenendo la precedenza della prima richiesta sulle successive. L’accordo rappresenta lo stato delle pretese dei maggiori player, per i quali l’Internet del futuro dovrebbe essere un sistema con la precedenza assicurata ai contenuti a pagamento e con la possibilità per i fornitori dei servizi di discriminare i contenuti fino a vietar loro l’accesso alla rete. La rete non sarebbe più la stessa se si dovesse sottoscrivere un gran numero di servizi diversi e pagare infiniti pedaggi per goderne appieno o in alternativa rassegnarsi a una navigazione lenta, sempre a rischio di blocco per lasciare il passo ai contenuti a pagamento.
Si tratta di un tipico tentativo di appropriazione di un bene comune, per recintarlo e trarne una rendita senza troppa fatica. Tanto più che le reti sono state pagate dagli utenti e dai contribuenti e che lo stesso valore di Internet è dato dall’insieme dei comportamenti e del lavoro in rete della massa degli utenti, più che dalle geniali intuizioni delle corporation. Altrettanto tipico è che la proposta nel suo complesso peggiori l’ambiente (Internet) che si vuole predisporre allo sfruttamento economico.
Se oggi in poche ore la rete produce più d’informazione di quanta l’umanità ne abbia prodotto nella sua storia fino al 2000, è perché tra più di un miliardo di utenti della rete ce ne sono alcuni milioni che producono contenuti e perché tutti gli altri mettono comunque in rete i propri dati sensibili, frequentano e partecipano i siti e usano i servizi veicolati dalla rete. L’appropriazione e la messa a profitto di questo valore sono i fini della proposta Google-Verizon e lo hanno capito tutti, tanto che la proposta ha suscitato una rivolta che ha subito raggiunto i politici americani. Reazione rapida e ad ampio spettro, con un numero enorme di persone e siti mobilitati in poche ore.
Come spesso accade quando i media descrivono un confronto tra l’elite politica o economica e il resto del mondo, i sostenitori della neutralità della rete sono stati subito definiti estremisti, zeloti o utopisti, anche da molti di quelli che hanno ritenuto inguardabile la proposta di riforma.
Media che faticano a mettersi in contrapposizione con i maggiori attori economici e che mai definirebbero i fautori del neoliberismo come zeloti o estremisti e che riservano l’uso positivo della definizione di utopisti ai promotori dei più clamorosi scandali e fallimenti finanziari, almeno fino a che non fanno il botto. Riformisti, moderati e fan del dialogo, diventano così strumenti del business, perché in nome del dialogo si nega la legittimità di pronunciare il no e si apre la strada alla validazione, almeno parziale, di qualsiasi richiesta dei principali soggetti economici. Un espediente fin troppo abusato. Il problema è che la neutralità della rete, come molti altri princìpi e regole etiche e democratiche, c’è o non c’è, si applica o non si applica.
Il problema è dunque binario e non si può giungere ad alcun compromesso che non conduca alla soppressione del principio stesso. Vale per i diritti e vale anche per tutte le regole sociali, non è una trattativa economica, anche se ne derivano conseguenze economiche. Nonostante queste rituali interferenze, la terrificante proposta Verizon-Google sembra aver ottenuto l’effetto contrario al desiderato, procurando soprattutto a Google grossi problemi di pubbliche relazioni. Non è piaciuto il voltafaccia di un’azienda che ha goduto del vuoto normativo negli anni della sua affermazione e che fino a pochi anni fa sosteneva con forza l’assetto della rete proposto dai suoi inventori e fondatori, tanto che Google nel 2006 assunse Vint Cerf (con Postel uno dei padri nobili della rete) per sostenere il principio di neutralità di fronte al Congresso.
La battaglia del Wi-Max
La reazione della rete ha riattivato il dibattito e costretto molti a prendere posizione, dai politici che temono di veder penalizzate le proprie campagne di comunicazione, fino alle aziende concorrenti che hanno potuto segnare qualche punto nella battaglia d’immagine contro Google senza troppa fatica. I blog di Google sono stati travolti dalle proteste e l’azienda non è riuscita a fornire risposte convincenti alle critiche, mentre molti esponenti politici sono stati costretti a schierarsi a favore della neutralità della Rete, lasciando soli Verizon, Google e qualche disperato sparso a sostenere il contrario. Pochi giorni dopo l’emersione della proposta, la Fcc ha finalmente trovato il coraggio di pronunciarsi a favore del principio di neutralità e recentemente ha annunciato che aprirà l’accesso alle frequenze per il Wi-Max: un accesso gratuito e senza privilegi per nessuno. Non che questo unanimismo rappresenti alcuna garanzia, ma si tratta pur sempre di un ostacolo che potrebbe sconsigliare l’investimento di milioni di dollari per convincere deputati e senatori a sostenere il contraio e di un ottimo punto di ripartenza per la discussione sulla regolamentazione delle reti.
* Il nickname di un mediattivsta italiano

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LA LEGGE DEL WEB
Un bene comune negato dalla proprietà intellettuale
Benedetto Vecchi
La proposta di Google e Verizon ha avuto come risposta una mobilitazione che, dopo essersi spostata di nodo in nodo, è riuscita di rompere quell’impalpabile diaframma tra la realtà dentro e quella fuori lo schermo, portando, in un torrido pomeriggio estivo, alcune centinaia di mediattivisti di fronte alla sede californiana di Google per protestare contro la prospettiva di cancellare la neutralità della Rete in nome dell’efficienza della Rete e del sacro principio del «business». Mobilitazioni e proteste che hanno provocato, per il momento, un rapido dietrofront alla Società di Mountain View e alla sua alleata Verizon. E tuttavia il principio della neutralità della Rete non solo è violato perché mancano regole «globali» certe, ma anche perché si sono intensificati gli interventi di alcuni stati sovrani per censurare la rete, proprio quando Internet sta diventando un medium davvero globale. Così, in Cina ma anche in Iran, la neutralità è stata sacrificata, di volta in volta, in nome dell’interesse nazionale o degli affari. Pechino non ha infatti mai nascosto l’obiettivo di imporre «armonia» alla Rete, bandendo così ogni forma di conflitto o di dissonanza intellettuale, garantendo così quel clima favorevole alle imprese transnazionali e autoctone. Allo stesso modo, il governo di Teheran è più volte intervenuto per bloccare ogni possibilità che fuori dai confini iraniani si sapesse cosa stava accadendo in quel paese.
Ma se in questi due casi il venire meno della neutralità veniva criticato in base a quel diritto alla libertà di espressione acquisito in due secoli di conflitti sociali e politici, meno indagato è il fatto che sempre più spesso anche le norme sulla proprietà intellettuale sono usate per stabilire rigide gerarchie all’interno della Rete, privilegiando chi le rispetta e provando a mettere alla gogna chi invece le ignora. La battaglia contro il peer to peer, ad esempio, ha visto spesso esponenti politici e portavoce di imprese chiedere ai governi nazionali di istituire forme di controllo del traffico nel web che discriminasse chi si collegava a siti per la condivisione di «contenuti». Va in questa direzione la legge fortemente voluta da Nicolas Sarkozy, in base alla quel chi infrange la legge sul copyright deve essere penalizzato nell’accesso alla Rete, fino al punto di bloccarlo nel caso la violazione del copyright si ripete. Anche in questo caso, non viene mai nominato il principio sulla neutralità della Rete, ma di fatto le forme di controllo invocato lo rendono nullo.
Gli esempi di questa continua pressione affinché il World Wide Web sia «omologato» alle divisioni di classe della società contemporanea potrebbero sono molti, ma ciò che è significativo nella «logica profonda» della proprietà intellettuale è la dimensione «governamentale» delle leggi, regolamenti sul copyright o sui brevetti applicati alla produzione dei programmi informatici. Senza indulgere ulteriormente con il lessico foucaultiano, in questo caso per governamentale non si intende un mero esercizio di governo dei comportamenti, bensì alla costruzione di soggettività in linea con quella figura dell’«individuo proprietario» che costituisce l’alfa e l’omega delle politiche sociali e economiche elaborate nel capitalismo globale contemporaneo. Il singolo, recita il mantra dell’individuo proprietario, è il depositario unico delle sue capacità generiche (di pensiero, di riflessione, dei suoi affetti) e le usa, in quanto capitale umano individuale, per ottimizzare le sue capacità di trarre profitto dalle relazioni sociali in cui è immerso. E questo vale anche per chi è on-line e si sposta di sito in sito. In questo caso, la neutralità della rete potrebbe risultare un ingombrante contrappeso e una altrettanto insopportabile limitazione al potere accumulato nel mercato non solo dalle imprese, ma anche dai singoli. Da qui il necessario riconoscimento di tali differenze di status e di censo attraverso la possibilità di avere delle priorità nella navigazione in Rete: priorità vincolate alle possibilità di accedere, mediante il pagamento di canoni differenziati, a corsie più o meno privilegiate nel Web.
Dietro la figura dell’«individuo proprietario» in Rete c’è quindi la negazione di quella caratteristica del World Wide Web come bene comune: caratteristica che ha impedito dinora di «recintare» Internet.
Allo stesso tempo le norme sulla proprietà intellettuale definite dal Wto (L’Organizzazione mondiale del commercio) e teorizzate dalla Wipo (l’Organizzazione delle Nazioni Unite a difesa della proprietà intellettuale) sono state confezionate per essere in armonia dell’«individuo proprietario», Per questo, sempre di più stabiliscono il principio che chi rispetta le legislazioni sul copyright, sui brevetti e sui marchi deve avere un trattamento privilegiato rispetto a chi, invece, le rifiuta o semplicemente ignora, partecipando al peer to peer o accedendo a uno de tanti siti gratuiti di videostreming per vedersi un film da poco uscito o un classico della cinematografia. La necessità di difendere la neutralità della Rete è quindi propedeutica alla critica dell’ideologia dell’«individuo proprietario» e di quel suo necessario corollario che è la proprietà intellettuale.
Detto questo, va sciolto il nodo se servono o meno regole globali per affermare la neutralità della Rete. Sono in molti che sostengono la tesi che bastano le norme formalizzate o tacite già esistenti per fermare la cosiddetta «colonizzazione del cyberspazio». Posizione non priva di fascino, ma che sconta il limite che la Rete è una realtà in continua trasformazione. In divenire, direbbe qualche incallito lettore di Gilles Deleuze. Più realistica è invece la posizione che sostiene che la Rete non è una superficie liscia, ma che è il contesto dove il conflitto tra chi la considera un bene comune e chi un possibile strumento per fare affari riesce a definire linee di sviluppo della Rete che mantengo aperto l’esito di quel conflitto. Detto più pacatamente possibile: sta a chi partecipa a quel conflitto imporre regole, norme e istituzioni che tutelino quel bene comune che è Internet, garantendo allo stesso tempo che tali leggi, norme e istituzioni non impediscono l’innovazione tanto per i contenuti che per le modalità di stare in Rete.

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