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La morte di Janaev il golpista rosso che depose Gorbaciov

Nel 1991 schierò i tank contro la perestrojka. Preso il potere, annunciò: “Il presidente è in vacanza, sta male e deve ristabilirsi”. Il putsch fallì miseramente dopo pochi giorni, e tre congiurati si suicidarono

Nel 1991 schierò i tank contro la perestrojka. Preso il potere, annunciò: “Il presidente è in vacanza, sta male e deve ristabilirsi”. Il putsch fallì miseramente dopo pochi giorni, e tre congiurati si suicidarono

In un ospedale di Mosca, nella notte tra giovedì e venerdì, all´età di 73 anni, è morto Ghennadij Janaev, l´uomo che per un brevissimo periodo fu vicepresidente dell´Unione Sovietica, ma che passerà alla storia come il leader del “golpe rosso” contro Mikhail Gorbaciov. Leader, almeno, formale, perché tutti sapevano che il vero ideatore del complotto era il presidente del Kgb Vladimir Krjuchkov.
Era l´agosto del 1991 e a Mosca si respirava una strana aria, un´aria da fine dell´Impero. Negozi vuoti, non c´era sale, non c´era latte, non si trovava lo zucchero, mettere in piedi il pranzo con la cena era un´impresa. Le voci di un golpe imminente si rincorrevano sulle pagine dei giornali quasi ogni giorno. E tutti aspettavano una data di scadenza già segnata, il 20 agosto, quando Mikhail Gorbaciov avrebbe dovuto rifondare l´Unione con un nuovo patto federativo tra le Repubbliche, per cambiare i rapporti politici tra di esse e spingere finalmente il Paese verso un cammino di crescita e benessere. Invece, tutto andò diversamente.
Quella mattina del 19 agosto il telefono cominciò a squillare prestissimo in casa. Era un amico da Jakutsk, sei fusi orari più a est. Ci avvisava che stava succedendo qualcosa di strano, perché le tv a reti unificate da ore trasmettevano soltanto “Il lago dei cigni”. Mai segnale avrebbe potuto essere più chiaro. La corsa in Parlamento; i deputati, fuori di sé, che arrivano alla spicciolata; i carri armati che entrano in città. Poi finalmente la musica tace e, ancora a reti unificate, radio e tv annunciano ai cittadini che il potere è nelle mani del Kgcp, il Comitato per lo stato d´emergenza, di cui fanno parte il capo del Kgb Vladimir Krjuchkov, il primo ministro Valentin Pavlov, il vice presidente della Federazione Gennadij Janaev, il ministro dell´interno Boris Pugo, il ministro della difesa Dmitrij Jazov. Gorbaciov era tenuto prigioniero con la moglie Raissa e con tutta la sua famiglia nella dacia di Foros, in Crimea, dove stava trascorrendo pochi giorni di vacanza. Al suo posto subentrava proprio il vice presidente, Ghennadij Janaev, il quale prendeva anche in mano la guida della radio e della televisione.
Al di là di ogni possibile supposizione, proprio lui, l´uomo più grigio, il più mediocre tra tutti gli apparatciki, era la figura chiave del golpe. Un passato di dirigente del Komsomol, l´organizzazione giovanile comunista, e poi alla guida del Sindacato, Janaev veniva descritto da chi lo conosceva come un brav´uomo, non troppo colto, non troppo intelligente, uno che amava le battute piccanti, le parole forti, i commenti maschilisti. Era diventato vice presidente solo otto mesi prima, pare per mancanza di alternative, dopo che il primo ministro Ryzhkov aveva avuto un infarto. Infatti, qualcuno raccontò che subito dopo l´elezione gli fu chiesto, per gioco: «E come va, la salute, compagno Janaev?». «Mia moglie non si lamenta», rispose.
Molti anni dopo, in una delle poche interviste da lui rilasciate, Janaev cercherà di prendere le distanze da quei giorni fatali del golpe. «Nella notte tra il 18 e il 19 agosto, i compagni cercarono a lungo di convincermi a guidare il Comitato, era una decisione difficile, moralmente e fisicamente. Alla fine accettai di assumente la carica di Presidente, ma solo fino al Congresso successivo».
Fu lui, però, a parlare per tutti i golpisti durante l´unica conferenza stampa di quei giorni. Disse: «Mikhail Gorbaciov è in vacanza. Si sta curando, sta male ed è molto stanco dopo questi anni. Gli ci vorrà del tempo per ristabilirsi». La parola fu data allora a un giornalista italiano, il corrispondente della Stampa, Giulietto Chiesa, il quale gli chiese: «E la sua salute come va, Signor Janaev?». Questo scambio di battute campeggiava all´indomani sulle prime pagine di tutti i giornali russi, segno della debolezza e anche della pochezza di quell´avventura.
Il putch si concluse nel giro di tre giorni, con tre vittime tra i giovani manifestanti e tre suicidi eccellenti: Vladimir Pugo, ex ministro dell´Interno, si sparò un colpo in bocca; Sergej Akhromeev, maresciallo dell´esercito, s´impiccò; Nikolai Krucina, amministratore del Comitato centrale del Pcus, volò fuori dalla finestra. Ghennadij Janaev, invece, non era uomo da grandi gesti, sopraffatto dal senso dell´onore. Il 4 settembre del 1991 fu destituito da tutti gli incarichi, arrestato e recluso nel carcere di Matrosskaja Tishina, dove rimase fino all´amnistia, decisa dalla Duma nel 1994.
Piccoli lavoretti, alla Fondazione degli invalidi e alla facoltà di storia dell´Accademia turistica. Poi, ieri, la morte. Resta il ricordo del suo tradimento. E forse non è un caso se oggi il presidente russo non ha un vice, e la seconda carica dello Stato è quella del premier.

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