È vero, la destra italiana è in crisi: esplodono le sue contraddizioni interne e diventa sempre più difficile tenere insieme gli appetiti del suo capo, il secessionismo razzista del nord e le clientele del sud. Tuttavia l’uscita «da sinistra» dal berlusconismo non è scontata. Stenta ad affermarsi la credibilità di un’alternativa.
È vero, la destra italiana è in crisi: esplodono le sue contraddizioni interne e diventa sempre più difficile tenere insieme gli appetiti del suo capo, il secessionismo razzista del nord e le clientele del sud. Tuttavia l’uscita «da sinistra» dal berlusconismo non è scontata. Stenta ad affermarsi la credibilità di un’alternativa.
Eppure basterebbe partire dalla realtà, dal declino italiano. Brucia l’aumento dell’ingiustizia sociale, il persistere di una disuguaglianza tra i sessi che non ha pari in Europa, l’aumento della disoccupazione giovanile (+ 4,5% nell’ultimo anno). Secondo i dati Bankitalia il 10% più ricco della popolazione italiana possiede il 45% della ricchezza netta in mano alle famiglie. L’Italia è uno dei 5 paesi industrializzati con la distribuzione del reddito più ineguale, un dato che, secondo le ricerche del Nens, è peggiorato negli anni ’90 anche grazie alle riforme del mercato del lavoro. Il 29% dei lavoratori meridionali non guadagna abbastanza per vivere (chi ha sentito citare questo dato nel dibattito su Pomigliano?), il 29,5% dei giovani sotto i 29 anni è senza lavoro.
Le donne italiane sono tra le più sfruttate d’Europa: guadagnano il 17% in meno dei loro colleghi uomini, vivono nel 72mo paese al mondo per tasso di disuguaglianza, si sobbarcano per intero il peso dell’attività di cura di bambini, anziani e persone non autosufficienti, spesso contemporaneamente e mentre lavorano fuori di casa. Per non parlare della quotidiana mercificazione del corpo femminile, della volgarità machista del discorso pubblico del nostro paese. Come non riconoscersi nello sguardo sull’Italia che propone Sofia Coppola in Somewhere?
Ma questo paese è anche nostro. Dei precari della scuola e delle arti, del milione e mezzo d’italiani che ha firmato il referendum per l’acqua pubblica, di amministratori come il sindaco Vassallo. Esiste proporre un paese più dinamico perché più giusto, dove c’è più «merito» perché si progredisce nel lavoro in quanto capaci e appassionati e non perché si è uomini e si è nati nella famiglia giusta o nella regione giusta. Le elezioni del 2008 sono state una debacle: mai Berlusconi aveva vinto con più di 9 punti di scarto. E’ successo perché alcune categorie sociali, come le donne disoccupate del sud, si sono spostate a destra. Ma soprattutto, si sono rivelati decisivi 2,2 milioni di astensionisti delusi dalle politiche del governo Prodi e scettici sulla possibilità che la politica, e soprattutto quella di sinistra, possa fare la differenza.
E’ questo il nodo che dobbiamo sciogliere per vincere, la politica utile, di tutti. Non basta mettersi attorno a un tavolo e ridare un nome a una coalizione. Bisogna ricoinvolgere uomini e donne in carne e ossa, affrontando il tema delle ingiustizie sociali e di genere e avviando – attraverso le primarie – una grande discussione pubblica che proponga idee in grado di cambiare la vita delle persone.
Le primarie ci servono per prendere di petto la realtà. Chi dice «prima l’alleanza», oppure «prima il programma» non vede che proprio così le primarie diventano la vuota scelta di un leader, di una faccia da spendere per un accordo già chiuso tra vecchie e nuove forze politiche del centro-sinistra, tutte egualmente inadeguate alle domande e alle aspettative di quella parte del paese che vogliamo riportare a sperare.
In questo modo le primarie perdono la funzione più importante, qui, oggi, nell’Italia di una sinistra dispersa: la capacità di mobilitazione e partecipazione di milioni di uomini e donne, unica possibilità per uscire «da sinistra» dal berlusconismo al tramonto.
* Vicepresidente Provincia di Roma (Sinistra ecologia e libertà)
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