FOA CENT’ANNI

Le tre lettere inedite di Vittorio Foa alla figlia Bettina tra 1978 e 1981 riflettono tutta un’epoca: la fabbrica che cambia, l’inflazione che imperversa. Foa ne tratta con leggerezza, capace di rovesciare il pensiero corrente e i luoghi comuni

Le tre lettere inedite di Vittorio Foa alla figlia Bettina tra 1978 e 1981 riflettono tutta un’epoca: la fabbrica che cambia, l’inflazione che imperversa. Foa ne tratta con leggerezza, capace di rovesciare il pensiero corrente e i luoghi comuni

Roma, 26 dicembre 1979
Carissima Betta, sono venuto a Roma per le feste, perché Modena era deserta e tanto valeva venire a trovare a Roma un po’ di gente. Faccio parecchi pranzi, ieri siamo stati a fare il Natale dalla Nonna con Lisa e Renzo. La Nonna ha fatto l’arrosto, Lisa ha portato gli agnolotti, io i dolci.
Non ho capito bene quali sono i tuoi progetti, se pure ne hai, cosa che non è affatto necessaria. Parli di mettere da parte i soldi per la tua futura disoccupazione in Italia. Non credere che qui ci sia una crisi terribile. Non so cosa ti hanno raccontato. C’è una situazione politica difficile, un senso di sfascio del potere e un progressivo affidamento dello stesso potere a una dittatura moderata.
Ma sul piano economico la situazione non sembra così grave. In tutta l’Emilia c’è piena occupazione, per lo più doppia (cioè due lavori a testa); Gildo che viene da Lucca mi diceva ieri sera che da loro è lo stesso, nelle fabbriche coi turni tutti vogliono lavorare al turno di notte per poter lavorare di giorno. A Roma e nel sud è diverso. Gli economisti dicono, ma non vedi che recessione abbiamo, il saggio di sconto è al 15%! Ma l’inflazione ha un saggio superiore e tira l’economia. Il petrolio aumenta di prezzo ma i prezzi dei manufatti aumentano ancora di più. Così in ottobre la produzione industriale è stata del 10% superiore all’anno scorso. Che crisi terribile. Vedessi che cosa è il consumo in questi giorni. Tutti fanno regali a tutti. Io solo non ho fatto regali. Ma ho ricevuto in regalo quattro meravigliosi maglioni, uno da Anna. Devo vivere molti anni per poterli consumare. Anche la situazione sociale è ribaltata, un vecchio sindacalista come me non ci capisce più nulla. I sindacati sono molto indeboliti, infatti i padroni danno aumenti molto superiori a quello che i sindacati chiedono e i sindacati protestano vivamente per questi arbitri. Ti giuro che non esagero. I padroni recuperano parte del loro controllo pagando sodo in termini di salario. Ma per ora almeno non toccano i poteri di autogoverno del loro lavoro che gli operai si sono conquistati in fabbrica (senza vertenze sindacali ma nei fatti) dopo le vittorie sindacali del 1969-73. Ai miei tempi si lottava contro la saturazione dei tempi (cioè l’eliminazione dei tempi morti) e contro il taglio dei tempi. Ora nelle grandi e nelle medie fabbriche gli operai fanno tutta la produzione ma lavorano come matti per qualche ora e poi si riposano, girano e conversano, giocano a carte, sentono la radio e parlano di musica. Non temono più il taglio dei tempi. Ti ricordi Tempi Moderni quando Charlot deve correre a valle dietro la catena di lavorazione che va troppo in fretta per lui. Ora alle catene il problema è quello di andare il più possibile a monte a fare singole operazioni così quando il pezzo passa davanti al tuo posto puoi riposare a lungo e andare in giro. Per questo non dare per scontato di essere disoccupata in Italia.
(…)
Modena, 24 maggio ’80
(…..)
Un’altra cosa che non capisco bene è l’ansia del tempo. Questa è proprio una categoria psicologica da paesi sottosviluppati. Credo che bisogna pensare molto al tempo, anzi ai tempi. L’era della borghesia vittoriosa è stata segnata dall’avvento di una macchina meravigliosa e onnipotente, l’orologio, che domina la vita della gente con l’imposizione di un tempo esterno che distrugge il tempo proprio di ciascuno. Una forma di rivolta contro le società ipersviluppate è il tentativo dei giovani di recuperare il controllo di un loro tempo: forse è questo che ti è piaciuto quando sei andata a trovare Stefano Giolitti.
Nelle giornate che ho passato a Lucca ai primi di maggio si è discusso molto del governo del proprio tempo: un compagno raccontava di aver fatto l’operaio per vari anni poi di essere passato all’artigianato per poter commisurare il rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo di vita, vincendo così anche la spinta consumistica, poi era arrivata Avanguardia Operaia che gli aveva insegnato la centralità operaia e l’obbligo di lavorare in fabbrica. Dopo altri tre anni di martirio in fabbrica era tornato all’artigianato di cui descriveva nelle minuzie i contenuti di libertà. Ti faccio una domanda scandalosa: tu non credi che i paesi sottosviluppati potrebbero fare a meno di passare attraverso il tempo della borghesia? Se una strada è impraticabile non è un dramma, ma è una cosa del tutto naturale, metterci molto tempo a percorrerla. Anche per fare il censimento. Per questo, per favore, non sentirti più oppressa dalle cose da fare che sai di non riuscire a fare, prendila come cosa del tutto ovvia e sorridi. E poi non avere paura delle responsabilità e di dover dirigere. Per favore non lasciarti angosciare dai torti che subisci e nemmeno da quelli che sei portata a fare esercitando una qualche funzione di direzione
(….)
Roma, 14 agosto 1981
Carissima Bettina, di passaggio a Roma a ferragosto trovo le tue lettere del 30 luglio e dintorni e mi dispiace che tu non abbia avuto una lettera mia e di Anna, speditati certo parecchio tempo prima. Non devi avere paura di annoiarmi con i particolari del tuo lavoro: a me pare di capirli, mi pare di capire la differenza fra investire nel trasporto locale e in quelli grandi nazionali, dal punto di vista della successiva mobilitazione per lo sviluppo economico.
Sono sempre più persuaso che il pensiero e la pratica socialista, non solo dei paesi socialisti ma anche e soprattutto in quelli capitalisti, hanno creduto che il capitalismo fosse debole e quindi in crisi perché plurimo, così sul piano dell’iniziativa economica come su quello delle formazioni politiche mentre quel pluralismo era la sua forza, il suo modo di essere; noi abbiamo invece creduto che l’unità di decisione economica e di rappresentanza politica fosse la forza e invece ne siamo, ovunque, stati sconfitti. Con questo non voglio dire che sempre il piccolo è bello, ma …caso mai che il compito del grande è promuovere il piccolo, il compito dell’unità è di promuovere il diverso.
Su consiglio di Natalia mi sono messo a leggere Dostojevski: ora molti lo leggono perché davvero sembra abbia posto allora i più grossi problemi di oggi, con una forza sublime anche se sostanzialmente reazionaria. Sto leggendo i Karamazov e poi passerò ai Demòni. Se uno legge nei Karamazov la Leggenda del Santo Inquisitore si trova di fronte, a un livello tragico, i temi di oggi. Gioia cara, adesso ti lascio e ti abbraccio molto (Anna mi ha telefonato adesso dal mare Adriatico dove è con la famiglia, ho parlato anche al telefono con Renzo, sempre più importante nel giornale, ai primi di agosto ho visto anche Lisa, elegantissima come non mai, adesso credo sia a Torino per non essere troppo lontana dalla nonna a Torgnon). Baci
Vittorio Vittorio Foa nacque a Torino il 18 settembre 1910. Per questo lo ricordiamo oggi con affetto e riconoscenza. La memoria ritorna alle molte attività e molte vite di un maestro e di un giusto – cospiratore antifascista e recluso in carcere per nove anni quando ne aveva 25, poi capo nella Resistenza, parlamentare alla Costituente, organizzatore sindacale, e poi ancora deputato e più tardi senatore, politico militante della sinistra, studioso di storia e di economia, condirettore del manifesto, professore a Modena, scrittore. Pochi giorni per il ruolo di padre di famiglia, meno di quanti tra tutti gli abbiamo sottratto, meno di quelli che avrebbe voluto.
Bettina, l’ultima figlia di Vittorio e Lisa, era andata a studiare economia a Modena, forse per liberarsi un po’ dei suoi ingombranti genitori. Così quando fu offerta a Foa una cattedra proprio dalla facoltà di economia di Modena, da buon padre chiese – e ottenne – dalla figlia il permesso, prima di accettare. «Ma sia chiaro, disse Bettina, che abiteremo in case diverse». Dopo la laurea Bettina andò in Mozambico per lavorare da economista per quel nuovo paese indipendente che aveva bisogno di tutto, a partire dai numeri che nessuno aveva contato mai.
Le lettere inedite che pubblichiamo sono appunto tre di quelle indirizzate a Bettina: un padre che scriveva alla giovane figlia lontana. A quel tempo del secolo ci si scriveva ancora. Vi sono frasi che riguardano la vita della famiglia, le feste di natale, le vacanze. Poi lo sguardo si allarga alla vita di tutti, ai regali inutili ma pieni di affetto, di qui alle stagioni dei consumi obbligatori e poi al lavoro, al nuovo modo di stare in fabbrica. Poi il discorso si modifica ancora, diventa più astratto: sono due economisti che discutono, si scambiano osservazioni acute e pertinenti. Vittorio probabilmente risponde alle accuse di eccessi consumistici che dall’Africa arrivano alle opulente tavole romane. Qui invece domina l’orologio, inventato dal capitale per prendere le vite di tutti. Si può evitarlo, in Africa? Infine, c’è un padre affettuoso che rassicura la figlia, preoccupata per il lavoro che potrebbe mancare. (Guglielmo Ragozzino)

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