Cinque giovani anarchici e un attentato camuffato

1970-2010 Le ‘ndrine e il golpe 40 anni dopo

1970-2010 Le ‘ndrine e il golpe 40 anni dopo

Il tempo in provincia non ha peso. La storia, quella ufficiale, dei libri, delle celebrazioni, scorre altrove. L’orizzonte a Reggio Calabria sembra diventato un eterno presente, frutto di una vita ormai americanizzata nello stile e nei costumi; se non fosse per la «sacra pedata» e il lungomare, la nostra città potrebbe essere uguale ad altre centinaia di piccole città di provincia, pronte a vedere la storia passargli davanti senza neanche accorgersene. Ed è nella nostra terra che Junio Valerio Borghese, uno degli uomini della Rsi graziato dal perdonismo post 25 aprile, trova fra il ’69 e il ’70 terreno fertile per le sue alleanze con le ‘ndrine, per un appoggio logistico militare utile al suo tentativo di Golpe.
Racconta Vincenzo Vinciguerra, il pentito storico dell’estrema destra, che «la ‘ndrangheta la notte del golpe aveva mobilitato circa 1.500 uomini, ai quali era stata consegnata una divisa dei carabinieri per arrestare oppositori politici democratici contrari alla svolta autoritaria».
In queste trame, più grandi e pericolose dei loro ventanni, si erano imbattuti cinque giovani anarchici calabresi.Critici, acuti, e creativi come nella migliore tradizione libertaria, avevano cominciato durante i mesi caldi della Rivolta per il capoluogo, a raccogliere prove e testimonianze finalizzate ad un dossier di controinformazione.
La Calabria in quegli anni è stata un vero e proprio polo meridionale della strategia della tensione; i gruppi del «Boia chi molla», la strage di Gioia Tauro, i legami con i colonnelli greci ne sono un esempio lampante che oggi a distanza di 40 anni trova la sua quadratura storica, in fonti e ricerche storiche. Ed è in questo contesto che la vicenda del coraggioso cronista dell’Ora di Palermo e gli eventi calabresi si intrecciano.
La tragica vicenda dei cinque giovani anarchici calabresi che trovano la morte in un attentato camuffato da incidente, nella notte fra il 26 ed il 27 settembre del 1970, mentre stanno andando a Roma per consegnare i risultati del loro lavoro, è a mio avviso il simbolo di questa strategia.
In quella notte di ora legale, due elementi raccolti successivamente alle indagini, rivelano la trama criminale ordita contro quei giovani mentre si dirigevano a Roma per consegnare ai compagni della Fai il frutto delle loro ricerche.
In loco interviene la polizia stradale, quella sera comandata da Crescenzio Mezzina, uomo dei servizi, quattro anni dopo condannato per il tentato colpo di stato «Fumagalli». La sua mano sottrarrà i preziosi documenti.
Il secondo elemento è legato alla diffusione della notizia. La prima informativa dei servizi segreti sull’incidente, telegrafata alle tre del mattino del 27 settembre, arriva da Palermo, molto strano per un normale incidente stradale, avvenuto a mille chilometri di distanza.
Fatto sta che la tessera ferroviaria di Angelo Casile, uno dei giovani anarchici, riporta poco prima della sua morte numerosi viaggi Reggio-Palermo. In quell’estate il giornalista de L’Ora Mauro De Mauro è spesso a Messina, e una volta è vittima di un pestaggio.
Come racconta nel suo libro Colpo di Stato, Camillo Arcuri all’epoca dei fatti inviato del Corriere della Sera, De Mauro sta raccogliendo i tasselli della sua inchiesta: Borghese, la Rivolta di Reggio, i collegamenti con la criminalità organizzata.
Molto c’è ancora da studiare in materia, e bisogna fare anche in fretta, perché una possibilità che la storia contemporanea offre è rappresentata dalle fonti orali.
Molti hanno ancora da raccontare, forse il tempo per «riguardare» alla nostra storia con oggettività e desiderio di verità, è davvero giunto.
Alla scuola, alle università, ai media, ai centri del sapere la forza di interpretare, studiare, e lasciar sedimentare un’altra storia che non è stata ancora scritta.
A tutti noi la forza di continuare quel viaggio interrotto quarantanni fa, un viaggio quello di Gianni, Angelo, Franco, Annalise e Luigi, verso la verità e la giustizia. Bisognerà aspettare più di vent’anni, e la tanto deprecata stagione del pentitismo, perché di quei cinque ragazzi si ritorni a parlare. Il 16 giugno del 1993, davanti al pm di Reggio Calabria Vincenzo Macrì, il collaboratore di Giustizia Giacomo Lauro, parla della «Freccia del Sud»: racconta che si è trattato di un attentato, compiuto da un fascista e da un mafioso su mandato del «Comitato d’azione per Reggio capoluogo».
Queste prime dichiarazioni vengono confermate da altri pentiti, e la Direzione investigativa antimafia può ricostruire il quadro generale: la strategia della tensione calabrese è stata alimentata da Avanguardia nazionale e boss della ‘ndrangheta, con l’appoggio di una certa massoneria.
Uomini chiave sono stati il boss Paolo de Stefano e il principe Borghese, ma nelle carte dell’inchiesta finiscono anche due teste calde di destra, che nel frattempo hanno messo il doppiopetto e sono stati eletti in Parlamento con Alleanza nazionale. Davanti al giudice Guido Salvini, che indaga su Piazza Fontana, uno dei pentiti parla anche dei cinque ragazzi di Gioia Tauro. Dice di essere certo che la loro morte «era dovuta ad un’azione omicidiaria commessa da gruppi di destra». Altri particolari utili vengono da un cugino di Gianni Aricò, che finalmente trova un giudice cui raccontarli. Ma i fatti sono ormai troppo lontani, il dossier è sparito, sottratto dai faldoni del ministero dell’interno ritrovati nel ’97 in una discarica sulla via Appia a Roma.
È necessario scrivere ancora, per fissarli nella memoria, i nomi di quei cinque ragazzi che in una bella giornata di settembre invece di andarsene al mare, partirono per Roma col loro carico di verità: Gianni Aricò, Annalise Borth, Angelo Casile, Luigi Lo Celso, Franco Scordo. Eroi involontari di una storia d’Italia mai scritta.
* Fabio Cuzzola è autore del volume «Cinque anarchici del sud», ed. Città del Sole , 2001

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