OSKAR LAFONTAINE 5 proposte dall’ex segretario della Linke
OSKAR LAFONTAINE 5 proposte dall’ex segretario della Linke
ROMA. Oskar Lafontaine è uno dei pochi «statisti» espressi dalla Sinistra europea. Ieri era a Roma, alla festa nazionale della Federazione della Sinistra, per il confronto con Paolo Ferrero.
Mercoledì sarà presentata la riforma del patto di Maastricht; cosa prevede?
È un trattato neoliberista fin dalle origini. Il suo scopo è la stabilità dei prezzi, e questo porta a una politica economica sbagliata. Avrà per conseguenza l’aumento della disoccupazione e delle condizioni di vita precarie. Se l’Unione europea prosegue su questa strada, i problemi si aggraveranno.
Quale configurazione dovrebbe avere la Ue per evitare che le popolazioni vedano l’Europa come un nemico?
In molti paesi si registra già una disaffezione verso le elezioni europee. In Germania vota solo il 40%. Si è persa fiducia. I popoli hanno tutte le ragioni visto che le misure europee finora hanno portato al dumping salariale, sociale e fiscale. E il rischio è che la destra aumenti i consensi.
C’è una responsabilità della sinistra?
Se la sinistra non propone politiche alternative, la gente si rivolge alla destra. In Germania, invece, la Linke raggiunge il 12% e non c’è un partito di estrema destra. In tutta Europa la sinistra si pone il problema del governo; la questione decisiva è la credibilità.
Dall’inizio del prossimo anno, il bilancio sarà europeo. I singoli stati avranno meno spazio per politiche nazionali. Cosa dovrebbe fare la sinistra?
Bisogna capire cosa significa una moneta unica. Quando c’è, scompare un importante strumento di politica monetaria come la svalutazione o la rivalutazione. Oggi, in Europa, serve una politica salariale coordinata, che segua i movimenti della produttività. In caso contrario, avremo le tensioni attuali. Per esempio, in Grecia i salari aumentano troppo, ma la moneta non può essere svalutata. Al contrario, in Germania sono fermi, ma non si può rivalutarla. Una soluzione, per esempio, sarebbe aumentare i salari in Germania, mentre in Grecia li si modera. Altrimenti si sgretola la Ue.
È una proposta?
Abbiamo bisogno di un salario minimo europeo, stabilito per contratto. Ma vale anche per le tasse e i servizi sociali. La terza proposta proposta riguarda il potere. Una risposta per facilitare la redistribuzione dal basso verso l’alto è lo sciopero generale. A lunga scadenza, la soluzione è la redistribuzione delle ricchezze create dai lavoratori nel loro complesso, a livello delle grandi imprese. È necessario un nuovo ordine economico. E che lo stato prenda in mano la circolazione del denaro. La circolazione in mano ai privati non ha funzionato. Queste sono le cinque nostre proposte.
Quanto pesa il potere economico?
Il potere economico è per la vita delle persone ancor più importante di quello politico. La proprietà dovrebbe essere delle maestranze che l’hanno creata. Se lo stato dà soldi a Opel o Fiat, siano i lavoratori ad avere il controllo, non il management. La Linke non ha proposto la partecipazione statale, come in Volkswagen, ma quella dei lavoratori.
Cosa deve fare la sinistra per riguadagnare consenso a livello europeo?
Noi abbiamo il 12% perché abbiamo proposto un programma credibile e alternativo rispetto agli altri partiti. Che non hanno potuto esagerare nel diventare neoliberisti proprio perché c’era la Linke. Noi avremmo preso i loto voti, insomma; e i rapporti sociali sono migliori di quanto sarebbero stati altrimenti. Anche da noi si discute se partecipare a un governo oppure no. Ma la risposta è «sì» solo quando ci sono le condizioni per realizzare i progressi sociali reali, visibili, tangibili per l’elettorato.
È accettabile, come in Siemens, la sicurezza del posto di lavoro in cambio di minor salario?
Se lo fa una sola impresa può funzionare, se lo fanno tutte, no. E il sindacato diventa inutile. Il modello neoliberista è stato assunto dai partiti socialdemocratici, ma anche dal sindacato. È necessario un rinnovamento anche a questo livello.
Cambia qualcosa sul piano delle forme di lotta?
Le grandi manifestazioni non bastano. Le imprese e i governi ci sono abituati. Sono parte integrante di un «teatro». Bisogna incidere sui rapporti di distribuzione. Se la produzione viene paralizzata, allora c’è una reazione anche da parte delle classi dirigenti. Per questo la Linke ha per la prima volta nel programma anche lo sciopero politico. La tradizione socialdemocratica è sempre stata contro questa forma, per esempio.
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