Il film si vedrà al Lido e poi tv. “Io, giurato alla Mostra”. Per la terza volta nella mia vita valuterò i film. Ho promesso a Quentin che rigiocheremo a fare i cowboy per le calli. Per il mio film devo dire grazie agli operatori di una volta: giravano con grande rispetto per le cose e per gli uomini
Il film si vedrà al Lido e poi tv. “Io, giurato alla Mostra”. Per la terza volta nella mia vita valuterò i film. Ho promesso a Quentin che rigiocheremo a fare i cowboy per le calli. Per il mio film devo dire grazie agli operatori di una volta: giravano con grande rispetto per le cose e per gli uomini
In tv Mario Riva conduceva Campanile Sera e al pomeriggio Vittorio De Sica raccontava le favole ai bambini, nelle strade si moltiplicavano gli scooter e le Seicento, al cinema c´erano La dolce vita e Rocco e i suoi fratelli, le ragazze ostentavano cotonature alla Mina e i ragazzi basette e capelli sul collo alla Elvis o si esibivano in atteggiamenti sgangherati alla Celentano. Era l´Italia del 1960, che scopriva la plastica, piangeva la morte di Fausto Coppi, aspettava l´arrivo della fiaccola olimpica per poi entusiasmarsi al trionfo di Berruti e commuoversi all´impresa leggendaria di Abebe Bikila. Le immagini di volti, noti o sconosciuti, e delle vicende che hanno segnato la realtà di quell´anno si susseguono in 1960 il nuovo film di Gabriele Salvatores, prodotto da RaiCinema e Raiteche, realizzato da Offside, che, dopo la presentazione a Venezia, si vedrà in tv e uscirà in dvd con 01.
Con la voce di Giuseppe Cederna, 1960 è raccontato con la semplicità e gli stupori di un bambino che all´epoca aveva dieci anni e che attraversa l´Italia da un paese del Sud fino a Milano con la famiglia. «È un pretesto, una finzione ispirata dalla realtà, del resto il cinema è sempre finzione, il realismo non esiste», dice il regista che qualche anno fa aveva realizzato un primo documentario sulle scuole di calcio in Palestina e nelle favelas. Colpisce in 1960 la ricerca delle inquadrature e la bellezza delle immagini in bianco e nero, materiale che viene soprattutto dagli archivi Rai e Luce. «Dobbiamo ringraziare gli operatori dell´epoca, grandi professionisti che giravano in pellicola con la macchina da presa, con grande rispetto per le cose e per le persone. Con la tv di oggi, come dice Wenders, ci hanno disabituato alla bellezza delle immagini. La tv non è il diavolo, ma si gira in corsa e se hai fretta non puoi cercare la bellezza».
In 1960 si ritrovano i mutamenti del costume e del modo di pensare. «C´è un diffuso antifemminismo, soprattutto nelle interviste tra i giovani “vitellini” di Rimini a caccia di tedesche. La donna ideale per molti doveva essere “non troppo intelligente” , le ragazze cercavano “un uomo che mi tenga a bada”. Alcuni amici che hanno visto il film oggi sospirano “bei tempi”», scherza Salvatores che è riuscito con poche immagini a ricostruire anche la realtà politica. Era l´Italia di Giovanni XXIII, il papa buono, ma anche di Tambroni e di Scelba, con gli scontri di Porta San Paolo a Roma e i poliziotti a cavallo in marcia sui dimostranti.
Come il bambino della finzione, anche lui aveva dieci anni. «Molte cose del film sono nella mia memoria. Ma non ricordavo la guerra fredda, avvertivo la tensione in famiglia e i discorsi su Kruscev, ma non sapevo della paura diffusa nel mondo: la paura è sempre stata usata per tenere buona la gente, per far abbassare la testa».
Si racconta il declino dell´Italia agricola e si racconta Milano. «Era la città del boom ma con i dormitori per i poveri dimostrava solidarietà per i meno fortunati. Gli industriali vecchia maniera avevano un concetto del lavoro molto più democratico di oggi. Oggi il padrone tipico è protettore e dominatore. Confesso che, venendo da Napoli, avrei preferito un po´ di smog in più ma una Milano più umana e solidale. E non potevo non mettere l´intervista al signore che dice “il boom è scoppiato grazie ai terroni”. Io all´epoca facevo a botte con i ragazzini milanesi che mi chiamavano terrone!».
C´è spazio per il cinema bello di allora, con Vittorio Gassman a più riprese, «con il suo meraviglioso viso di rughe che oggi sulle facce degli attori non ci sono più. Con Mastroianni e Troisi, Gassman è uno del tre con i quali rimpiango di non aver lavorato. Quando l´ho incontrato mi disse “non sono un grande attore, faccio finta, e sono bravo a fare credere di essere grande”». Il finale di 1960, con il proposito del bambino di “creare sogni per gli altri” è autobiografico. «Per il mio compleanno organizzai per parenti e amici un teatro dei burattini in cui facevo tutto io. Ebbi il primo applauso e ricordo chiaramente che pensai “è questo che voglio fare”, creare sogni».
Dopo Berlino e Shanghai, a Venezia sarà la terza volta di Salvatores giurato. «Quando Müller mi ha chiamato mi ha fatto parlare con Tarantino che mi ha detto “Dobbiamo finire la battaglia!”. Ci eravamo conosciuti proprio a Venezia e avevamo simpatizzato e, con lui e Uma Thurman, giocavamo ai cowboy inseguendoci per le calli: era una battaglia divertente». Ha accettato per questo, racconta, «ma anche perché mi aspetta un anno difficile per il film Educazione siberiana dal testo di Nicolai Lilin, storia autobiografica di una vita criminale. Tra la vacanza estiva e il lavoro, Venezia sarà come una camera di decompressione in cui abbandonarmi a godere dei sogni degli altri».
0 comments