La copertina
ROMA – ”Sono nato, invecchiato e morto, facendo quell’album”: cosi’ disse Bruce Springsteen nel 1976 parlando di Born to run, l’album che domani compie 35 anni e che lo trasformo’ da uno scapigliato ragazzotto del New Jersey in un’icona del rock. Al disco manifesto dell’America di meta’ anni Settanta e’ dedicato ‘Runaway Dream – Born to run e la visione americana di Bruce Springsteen’, un saggio di Louis P. Masur, edito da Arcana (pp. 230 – 17,50 euro), dal 26 agosto in libreria.
La copertina
ROMA – ”Sono nato, invecchiato e morto, facendo quell’album”: cosi’ disse Bruce Springsteen nel 1976 parlando di Born to run, l’album che domani compie 35 anni e che lo trasformo’ da uno scapigliato ragazzotto del New Jersey in un’icona del rock. Al disco manifesto dell’America di meta’ anni Settanta e’ dedicato ‘Runaway Dream – Born to run e la visione americana di Bruce Springsteen’, un saggio di Louis P. Masur, edito da Arcana (pp. 230 – 17,50 euro), dal 26 agosto in libreria.
Per milioni di persone, Born to run, pubblicato il 25 agosto 1975, dopo il Watergate e il Vietnam, e’ molto piu’ di un semplice album rock: e’ un’esplosione poetica, un grido di strada che esprime frustrazione e ansia di liberta’.
Basterebbe solo quello a ribadire la figura di Springsteen come la quintessenza del performer: il rocker che piu’ di ogni altro da’ voce alle nostre speranze, paure e aspirazioni. ‘Runaway Dream’ racconta la gestazione dell’opera che lancio’ Springsteen e la sua E Street Band nel firmamento della musica americana.
Bruce – che il 23 settembre compira’ 61 anni – voleva che Born to run fosse il piu’ grande disco rock mai realizzato: ”Era il mio tentativo di gloria. Un ventiquattrenne che puntava a fare il piu’ grande disco rock si sempre”, disse qualche tempo dopo l’uscita. Per un musicista che veniva da due album di modesta fortuna commerciale, si trattava di un’ambizione sovrumana. Session dopo session, canzone dopo canzone, l’autore ci racconta come il genio e la determinazione riuscirono nell’impresa (per incidere il disco ci vollero sei mesi), accompagnandoci in un viaggio negli esperimenti e nel trionfo del suo lavoro. Masur – professore di Studi Americani al Trinity College di Hartford, Connecticut, che nella prefazione confessa di aver scritto il libro ”in veste di fan sfegatato, ma non cosi’ ingenuo o acritico” – analizza minuziosamente le canzoni di Born to run, da Thunder Road (Bruce prese il titolo dal manifesto di un film con Robert Mitchum, ‘Il contrabbandiere’) a ‘Night’, dalla title-track a ‘She’s The One’, passando per ‘Meeting Across The River’, ‘Backstreets’ e ‘Jungleland’.
Ma si concentra anche sull’impatto dell’album nella cultura americana, dimostrando come le immagini delle ragazze, delle strade bollenti e delle notti del New Jersey abbiano sfidato il tempo e siano ancora oggi vivide. ”Io sono il Presidente, ma lui è il Boss”, ha dichiarato Barack Obama riferendosi al rocker che ha saputo riflettere sull’identita’ americana e che, 26 anni dopo, e’ riuscito a cogliere l’umore di un Paese ferito dall’attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle, ma pronto al riscatto, nell’album The Rising.
”Io sono un cantautore, non sono un uomo di poesia”, preciso’ qualche tempo dopo l’uscita di Born to run. A quei tempi ci teneva a non essere avvicinato a Bob Dylan: ”Il favore piu’ grande che possono farmi e’ di non menzionare Dylan”, disse nel 1974 a un reporter del Time. Totalmente diverso il suo rapporto con Elvis Presley: ”Elvis e’ la mia religione – disse – Se non fosse per lui adesso venderei enciclopedie”’.
Guardarlo all’Ed Sullivan Show lo spinse a comprare la sua prima chitarra (ma a sette anni le mani erano troppo piccole, cosi’ la accantono’ per qualche anno). Nel ’75 scavalco’ il muro di cinta di Graceland a Memphis per conoscere il suo idolo. Elvis – scrive Masur – ”salvo’ Bruce per ben due volte. Gli diede un sogno da inseguire e tramite la sua vita gli insegno’ come sopravvivere al sogno che si avvera”.
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