Quando cresce l’esercito industriale di riserva

Negli anni ottanta destò stupore il fatto che, malgrado il successo dell’offensiva antisindacale di Margaret Thatcher, la disoccupazione di massa in Gran Bretagna, olre tre milioni, non riusciva a influenzare i salari industriali che fordisticamente ancora seguivano la dinamica della produttività . In Inghilterra, per sottolineare metaforicamente la distanza dei disoccupati da coloro che avevano mantenuto l’impiego nell’industria fu coniata l’espressione the unemployed are in Australia (i disoccupati sono in Australia).

Negli anni ottanta destò stupore il fatto che, malgrado il successo dell’offensiva antisindacale di Margaret Thatcher, la disoccupazione di massa in Gran Bretagna, olre tre milioni, non riusciva a influenzare i salari industriali che fordisticamente ancora seguivano la dinamica della produttività . In Inghilterra, per sottolineare metaforicamente la distanza dei disoccupati da coloro che avevano mantenuto l’impiego nell’industria fu coniata l’espressione the unemployed are in Australia (i disoccupati sono in Australia). L’esperienza degli ultimi vent’anni mostra che per funzionare effcaciemente da fattore di compressione sul salario e sulle condizioni di lavoro, il marxiano esercito industriale di riserva deve in realtà essere attivo e non formato prevalentemente da gente estromessa dall’occupazione e gettata alle ortiche.·
Nel 2005 vide la luce una ricerca, diventata rapidamente famosa, di Richard Freeman, esperto del lavoro presso l’università di Harvard, intitolata «Il grande raddoppio». Freeman mostra come negli anni Novanta la forza lavoro disponibile alle economie capitalistiche raddoppiò, passando da un miliardo e 460 milioni di persone a 2 miliardi e 930 milioni. La nuova offerta di lavoro provenne dal crollo del sistema sovietico e dei paesi dell’est europeo, nonchè dall’inserzione della Cina e dell’India nell’economia mondiale. Nei tre casi si tratta di lavoratori attivi o la cui attività è desiderata. Freeman sottolinea che la nuova forza lavoro non è solo complementare a quella dei paesi avanzati bensì largamente sostitutiva. Ciò è connesso al rapido ampliamento da parte della Cina – ed anche dell’India – della gamma di filiere produttive mentre ai salari cinesi/indiani occorreranno almeno tre decenni per raggiungere i livelli statunitensi. In quest’ottica l’evoluzione dell’Europa dell’est è particolarmente importante per la Germania e l’Italia. Ambedue i paesi hanno fatto di quella zona l’area di ristrutturazione delle proprie industrie. Ai bassissimi saggi di investimento in Germania, ormai in voga da oltre un decennio, corrisponde un’intensa attività d’investimento delle mutinazionali tedesche dell’auto e degli elettrodomestici all’est, prevalentemente per servire la domanda dell’Europa occidentale. Dal canto loro le piccole imprese del nordest italiano hanno fatto da battistrada, praticamente all’indomani della fine del blocco sovietico, usando l’esistenza di una vasta disoccupata classe operaia industriale per delocalizzare in Romania. Un processo molto informale ed opaco a dir poco. Oggi la Fiat lo copia in pieno ma finanziariamente ben protetta dai lauti aiuti pubblici europei e del governo serbo.·

Il raddoppio della forza lavoro mondiale non è finito: il Carnegie Endowment for Peace ne prevede un secondo per il prossimo trentennio, interamente proveniente dai paesi emergenti ma con impatto economico sul salario di quelli avanzati. È evidente che un così radicale cambiamento dei rapporti tra capitale e lavoro può essere affrontato solo politicamente, rifiutando questo tipo mercato del lavoro e di realtà – che non è razionalità – economica. Ma la debolezza sta proprio qui.

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